Inverno

 

“Mai pensato all’Altro che cura,
meglio evitare,
Evitarlo!”

Piove sfiducia.

Eppure siam lì tutti
e proprio per questo,
per definizione
la sfida è questa:
mettere in comune, curarsi
con l’Altro.

…“Inunmondochenoncivuolepiùilmiocantoliberoseitu”.

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Prima di me

Io che mi specchiavo su laghi di narcisi
e ora rifletto sul mio viso nei tuoi occhi.

Io che riascoltavo aliena la mia voce
e ora ascolto l’eco saggio delle tue parole.

Io che mi sono perso tra le strade delle mie rughe
per poi trovare la piazza della tua nuova pelle.

Io che coprivo tutto con profumo non mio
e ora mi scopro per sentire il delicato tuo.

Io che pensavo di aver assaggiato tutto
e poi ho assaporato il gusto della tua vita.

Io che al primo ronzio mi nascondevo
e ora offro le mie vene per risparmiare le tue.

Io che prima ero solo io e ora sono te prima di tutto.

Dovete ascoltare “Piedi in acqua” di Carmelo Pipitone, punto.

Io non sono una critica musicale, né tantomeno una musicista professionista, quindi dire che Carmelo Pipitone è uno tra i migliori chitarristi del nostro tempo è una percezione totalmente empirica. Eppure…

Eppure io riconoscerei la chitarra di Carmelo tra mille. Vi ricordate, amici di Abattoir, quante serate passate al Bocadillo a saltellare sotto al palco cantando a squarcia gola le canzoni dei Marta sui Tubi? E quella volta a quel secret concert nelle campagne trapanesi, in acustico, picciotti ho ancora la pelle d’oca al ricordo!

Ebbene, quella chitarra per me riconoscibilissima, la chitarra di Carmelo, è la protagonista indiscussa di “Piedi in acqua”, l’album uscito lo scorso gennaio e terzo disco da solista per Pipitone.

E se come me siete fan della chitarra di Carmelo, non potete non ascoltare il disco: un sound potente, viscerale, a tratti onirico, accostato a testi introspettivi e a tratti diaristici.

In un’intervista Carmelo racconta che i 13 brani del disco racchiudono sensazioni provate scaturite dagli ultimi tempi in cui abbiamo vissuto: con la pandemia si è avuto molto tempo per pensare, interrogarsi su ció che ci circonda da vicino ed, eventualmente, passare avanti. Una sorta di diario di bordo. E noi di Abattoir ne sappiamo qualcosa di diari di bordo!

I brani, dal sapore ruvido, tagliente, sono dominati da temi quali il tempo che scorre, l’assenza di un Dio e altri dubbi esistenziali ma intervallati da scorci di speranza e bellezza. Insomma, raga, è un viaggio: ascoltatelo!

fallimenti relazionali

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Prima di me

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