Zeta Lab: l’importanza di “essere là dove le cose accadono”

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Dove viviamo e con chi

Me lo chiedevo il 20 gennaio, mentre guardavo i video delle cariche affamate di violenza, mentre ascoltavo l’assemblea sotto la pioggia di via Boito, mentre osservavo la dignità mortificata e mortificante di un ragazzo scurissimo in attesa di una doccia per cui dovrà ringraziare e ancora ringraziare.
I fatti dello Zeta Lab non sono fatti isolati, i volti di ragazzi come quello non sono casi rari, non più.
Gente buttata fuori a pedate da un luogo in cui era stata accolta, gente violentata, trascinata per strada; gente riversa sull’asfalto, accuratamente evitata come escrementi di cane o reificata come male del mondo che non merita altro che questo. Persone trattate come sacchi di scomoda immondizia.
E’ questa bassezza che l’essere umano si è ridotto a toccare con mano, girando poi l’angolo dell’indifferenza interiore più noiosa e raccapricciante che esista. Perversa.

Io ero lì, e ad un certo punto non ho potuto resistere: fissavo quei poliziotti e la loro carica aggressiva, nei miei meandri cerebrali divampava la curiosità di capire i loro sguardi alteri, non ho potuto non chiedere a quello di fianco a me con la faccia tutta un grugno rivolto contro la folla se non si annoiasse; e lui non ha scomposto neanche un secondo quel suo grugno, anzi, se possibile lo ha reso ancora più scuro nel dire, breve: “no, assolutamente.”
Assolutamente, lui non si annoia, capite? Non si annoia ad essere un poliziotto che non arresta i mafiosi e gli spacciatori e i pirati della strada; lui prende a calci un progetto ben riuscito come quello rappresentato dallo Zeta Lab e probabilmente è anche fiero di farlo, mastino ben sbarbato per l’occasione. Lui che aveva scritto addosso “italiano”. E probabilmente è vero: è uno di quegli italiani che raccolgono milioni di euro per i lontani popoli stremati dalle calamità (quattro milioni orgogliosamente sbandierati da Bruno Vespa per Haiti) …ma che sono anche quegli italiani che lasciano morire qualcuno per strada, che passano avanti perché hanno fretta, che dimenticano di denunciare un omicidio davanti a un bar, scandaloso avvenimento dello scorso maggio napoletano, con foto e video di gente che passava sopra un uomo supino e sanguinante senza neanche controllare se fosse vivo o morto.

E’ bello pensare che viviamo in una società “moderna” che tende ad allontanare da sé l’idea stessa della barbarie; si arma per questo, combatte la guerra, crea un diritto apparentemente democratico, etichetta il Terzo Mondo come sottosviluppato e naturalmente incivile, regola la convivenza umana, vigila sulla serenità delle sue città.
In realtà, a ben guardare, è più corretto dire che la società moderna amministra la barbarie, la gestisce dall’alto, e più efficacemente: si pulisce la coscienza con fazzolettini imbevuti che a mala pena bastano per il sudore, manda un euro a Gesù, a Bruno Vespa o a Maurizio Costanzo per lenire il senso di colpa sociale dovuto al bombardamento mediatico, e chi si è visto si è visto.
Questa stessa società, però, non abdica al potere di trascinare per terra un pacifista che è lì, non violento, a esprimere la sua idea; né si oppone all’indifferenza imperante che porta madri di famiglia, guardie giurate, colletti bianchi e ragazzini a non soccorrere un ubriaco in come etilico.
Piuttosto, la società moderna accetta e giustifica la desensibilizzazione di massa, la violenza della massa col distintivo, gli interessi della cieca massa impicciolata, cosicché, ad oggi, “l’uomo ha una capacità limitata di emozionarsi, di soffrire per gli altri, di solidarizzare” (M. Fini).
E allora andiamo avanti come muli individualisti: non c’è tempo per impegnarsi e informarsi socialmente, ma si trova sempre del tempo ad hoc per fermarsi a curiosare o per dare addosso ai neri, ai rumeni e ai marocchini o musi gialli che ci rubano il lavoro che nessuno vuole in Sicilia: cacciamo gli immigrati dallo Zeta Lab! Fa comodo pensare che non abbiano il permesso di soggiorno e punto; eppure quando ho spiegato a mio padre ciò che stava accadendo, quando lui ha visto la verità e non il comodismo che gli avevano propinato sotto forma di parole omologate contro il negro di turno, l’ho visto stupito, mortificato.

Quello che è più preoccupante è allora l’orda di individui privi di un Io in grado di assumersi la responsabilità di se stessi e di ciò che li circonda; questi soggetti farciti di luoghi comuni che di “comune” non hanno niente tendono a sfuggire all’analisi razionale della realtà, tendono a non affrontare i propri problemi, tendono a scaricare la “colpa” del proprio disagio e la propria aggressività su gruppi minoritari e impotenti (come le minoranze etniche), che divengono così dei capri espiatori. Questi soggetti ammorbano le nostre strade, cazzo, e anche noi, se non fermiamo questo scempio di cui lo Zeta Lab è solo l’esempio dietro casa mia, siamo tra quelli che stanno a guardare.

“L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo. Prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è ora il fascismo. […] L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti “moderati”, dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto.” (Pier Paolo Pasolini, 1962)

2 thoughts on “Zeta Lab: l’importanza di “essere là dove le cose accadono”

  1. Il tuo post è uno di quelli che preferisco tra quelli della lunga serie sullo Zeta. Partendo dallo sgombero del centro sociale, sei riuscita a fare un’ottima disgressione sull’ipocrisia andante del nostro bel paese. E senza scadere nel banale. Complimenti :)

  2. Sono d’accordo con l’autore dell’articolo e lo ringrazio per avermi fornito l’ispirazione per lo sviluppo di un nuovo progetto.

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