Testo di Noemi Venturella,
con la collaborazione di Fabio Campoccia e Pigi Arisco
Ero a un reading a lume di candela organizzato da “Garage Art Gallery Palermo”; nonostante il buio, ho visto persone leggere visceralmente delle storie in un’atmosfera perfetta, ho visto la parabola interiore, intrapsichica, che una storia disegna dentro i cervelli riuniti ad ascoltarla, sono stata rapita dalla sua intensità, dal bisogno urgente di scavalcare il paletto, di entrarci dentro e di fare la mia parte. Lì in mezzo ho incontrato Fabio Campoccia e Giuseppe Arisco, incontro che non poteva restare casuale, visto che il loro Storiealcubo raccoglie molto dello spirito della scrittura, della creazione, del darsi voce attraverso la comunicazione che è anche l’ovulo da cui è nato Abattoir.
Il bello di Storiealcubo e di questi due narratori entusiasti è l’aver creato al contempo una biblioteca, un progetto e una comunità; un trittico inscindibile che si propone di inventare e mettere online “racconti tridimensionali” sulla base del meccanismo dell’estensione: ogni storia può essere estesa da utenti che desiderano dettagliarla ulteriormente o reinventarne gli aspetti originari. A tal fine, all’interno di ogni racconto vengono inseriti un numero minimo di due hyperlink associati ad una o più parole del testo; ogni hyperlink re-dirige il lettore ad un altro racconto che avrà come titolo la frase-parola-concetto che è stato esteso.
La costruzione di storie avviene così in piena collaborazione tra gli utenti: ogni racconto si presenta come un grande murales comune che cresce spontaneamente e in modo libero, senza alcun vincolo di contenuto o di stile. I racconti possono avere personaggi, avvenimenti o luoghi in comune, ogni autore può disseminare i suoi racconti di immagini congruenti al suo universo personale, ogni personaggio può partecipare a numerosi racconti ed essere in questo modo punteggiato tridimensionalmente.
Nascono così delle storie-creature vive che si evolvono nel tempo.
Dunque, Storiealcubo è una biblioteca online ad incastro e contemporaneamente una comunità in cui ogni utente contribuisce ad un’auto-mutua-evoluzione scrivendo, leggendo e votando; inoltre, ad ogni racconto sono associate delle “pagine discussione”, fonti di consigli o di proposte di modifica al testo.
Ancora, Storiealcubo è un progetto che esce fuori dagli schermi più o meno evoluti dei nostri pc per trasportare i racconti dal web alla realtà dei reading ed è attualmente orientato alla creazione di un portale di letteratura multimediale che raccolga storie ancora una volta tridimensionali, narrate dalla voce dei loro autori e corredate da musiche e foto ad hoc.
Questo mi affascina, ci vedo il seme, ci vedo le radici di qualcosa in comune con noi che cresce e spende l’acqua bevuta nel suo percorso per resistere, dire, e continuamente rinnovarsi.
Da lì, l’importanza di riflettere sulle storie, sul loro senso, sulla loro spendibilità. L’importanza di capire che l’atto di costruire storie è un naturale processo umano da incoraggiare, grazie al quale gli individui comprendono profondamente le proprie esperienze e se stessi e migliorano la loro qualità della vita.
Come ci insegna Giovanni Cattabriga (alias Wu Ming 2), la narrazione è un momento in cui l’essere umano attribuisce significato alla sua esistenza; una storia strutturata, infatti, è una forma di conoscenza che ci consente di:
– organizzare e ricordare gli eventi e le loro sfaccettature in modo coerente (costruire una storia comporta coerenza, ordine nella sequenza degli eventi, struttura e causalità);
– integrare pensieri e sentimenti;
– semplificare l’evento e sfumarne i dettagli in funzione della loro rilevanza soggettiva, cosicché la mente non debba affaticarsi per attribuirvi continuamente struttura e significato;
– metabolizzare e archiviare in memoria l’evento così elaborato, integrandolo con le altre aree esperienziali;
– padroneggiare la propria esistenza e l’impatto emotivo di un evento passato, presente, futuro.
In sintesi, costruire storie ci dona un senso di risoluzione personale che comporta un calo delle ruminazioni mentali e allontana le esperienze disturbanti dal pensiero conscio, alleggerendo anche i sistemi somatici. Non a caso, una crescente quantità di ricerche psico-immunologiche mostra che tradurre in parole le proprie esperienze ha un impatto positivo sullo stato di salute.
Al contrario, non riuscire a strutturare gli eventi di vita in un contesto narrativo può comportare la persistenza di pensieri e sentimenti negativi che sottopongono l’organismo ad uno sforzo endosomatico di natura stressante; ciò causerebbe numerose disfunzioni dei sistemi vegetativo, ormonale e immunitario che, se prolungate nel tempo, alterano l’omeostasi psicofisiologica dell’organismo, predisponendo alla patologia psichica e fisica.
Centinaia di studi condotti da James Pennebaker hanno effettivamente dimostrato come un’attività di self-disclosure, di riflessione costruttivo-narrativa sulle proprie esperienze, migliorasse la funzionalità psicologico-immunitaria. In particolare, l’autore ha documentato un effetto benefico della “tecnica della scrittura” sull’utilizzo dei servizi sanitari (minore ricorso all’uso di medicine e consulenze mediche), sulla funzione immunitaria (migliora la risposta anticorpale, riduce l’intensità del dolore e i livelli di depressione), sulla qualità della vita e sulla riuscita nelle attività quotidiane (maggiore successo accademico, minor tempo impiegato per trovare un nuovo lavoro dopo esser stati licenziati).
Dunque, la codifica verbale delle proprie esperienze di vita più pregnanti è una forma di auto-medicamento, di auto-terapia che in casi di disturbi lievi si è rivelata assolutamente paragonabile ad un colloquio con un terapeuta. Allora che ben venga storiealcubo, e che ben vengano anche le ragazzette adolescenzialmente psicolabili che aprono un blog a settimana, i maschietti autodopati di ormoni in rivolta che narrano della propria anima sensibile su una moleskine, le cinquantaduenni che iniziano ad usare splinder o wordpress o chicchessia per parlare delle loro frustrazioni da casalinga o della meringa appena sfornata; per fortuna, siamo liberi di non leggere.
Intanto, però, sappiamo dove scrivere.