Di solito non scrivo, non parlo e non discetto mai – se non con la giusta dose di cautela – di questioni serie, spinose, o comunque troppo grandi per me e per quella che può essere la mia esperienza (limitata) di esse; a parlare siamo tutti bravi, ci insegna il detto, ma finché non ti bruci e non provi sulla tua pelle il sapore del fuoco amaro dell’esperienza, ogni teoria e discorso astratto, beh, lasciano il tempo che trovano.
Premessa indispensabile, per me, e utile ad evitare i tanto odiati e facili toni demagogici di chi con superbia e convinzione pontifica e sentenzia su cose che in realtà non conosce, delle quali ha soltanto una pallida idea formata su libri, leggi e opinioni impersonali, senza collegamento alcuno con la realtà, con la vita reale, di persone reali. In carne ed ossa. Come di carne e di ossa, di sangue e dolori e motivazioni private, intime e sacre, sono le donne che, per un motivo o per un altro, sono costrette a prendere la più dura e difficile, forse, delle decisioni che una donna si trova ad affrontare: l’interruzione della gravidanza. Porre fine volontariamente ad una vita che sentiamo nascere e crescere a poco a poco dentro di noi, buttare via e sdradicare dalle nostre viscere un esserino indefinibile che, misteriosamente e senza nessuna ragione apparente, finiamo per considerare una parte di noi, importante e degna di esser protetta. E poco importa se la ragione ci fornisce tutte le spiegazioni scientifiche sulla sua origine, poco importa se un materialismo a lungo coltivato e ben attecchito nelle nostre coscienze nega ogni valore, ogni parvenza di vita a quel qualcosa che vita non è, o non lo è del tutto, perché l’uomo è colui che nasce, cresce e si sviluppa in un preciso contesto storico, politico, culturale. Prima non è niente, è solo un feto. Vita in nuce, progetto di uomo e nulla più.
Ma chi se ne frega. Sai benissimo che non è un individuo, sai benissimo che non stai compiendo un omicidio inghiottendo, o apprestandoti a farlo, una pillolina che non ha niente di illegale, niente di immorale, no, non è la tua coscienza a tormentarti, e nemmeno la ragione, zittita dalle sue stesse spoglie e quasi ciniche convinzioni. A torturare e a dare fastidio è una voce proveniente da oscure regioni e profondità inaccessibili, ed è solo con questa, nel silenzio altresì perfetto della propria intimità e solo da essa turbato, che si deve avere a che fare. E basta. Ogni altro brusio proveniente dall’esterno, ogni moralistica predica, ogni proclamo retorico ed ideologico, è solo chiacchiericcio vano e sterile. E fastidioso pure. Solo, che ti lascino la libertà di tenere o no dentro di te, di proteggere e continuare a far crescere, se lo vuoi, quell’universo, quel potenziale di uomo, senza sentirti una criminale. O senza lasciarci la pelle, se deciderai di sfrattarlo.
Non mi schiero con nessuno; non mi azzardo a dare definizioni perentorie di cosa è vita e cosa no; non oso definire l’aborto omicidio, né mi sogno di augurare la dannazione eterna, o riservare la mia disapprovazione, a quelle donne che di questa pratica, giusto o sbagliato che sia, hanno usufruito o decideranno di servirsi in futuro. Proprio per questo, non posso evitarmi di essere presa da una gamma di potenti emozioni negative, che vanno dal lieve fastidio alla rabbia più acuta, di fronte alle più subdole e bieche manifestazioni di ignoranza e povertà, non solo intellettuale, ma spirituale anche, riguardo questo delicato argomento; quando si fa della vita pretesto di slogan e proclami ideologici, quando ci si fa scudo dei propri lontani valori da imporre a tutti, quando ci si allontana tanto, troppo, dalla concretezza di una vita dura che morde, e ti violenta, e ti sbatte in faccia crudelmente problemi vivi e pressanti, in nome di astrazioni e regni dei cieli che, per quanto puri e ammirevoli e perfetti, non hanno niente a che vedere con la lotta selvaggia, cruda, impietosa e per niente ammirevole, che si combatte ogni giorno, tra uomini, e donne, che ad essere simili a santi ci possono pure provare, ma sempre un po’ bestie sono e restano. A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio.
Non è lo sfogo anticlericale di una laica che non ammette ingerenze di santa madre chiesa in questioni che non le competono, affatto. A infastidirmi allo stesso modo, forse di più, sono le rivendicazioni spietate di coloro, radicali o pseudo-tali, che a gran voce si vantano di affermare che il feto è solo un ammasso di cellule e organi non formati, un peso di cui disfarsi come fosse spazzatura in nome di una libertà di scelta e controllo del proprio corpo che viene travisata, e diventa semplicemente pretesto per giustifare l’egoismo, per fomentare l’irresponsabilità e la mancata presa di una posizione seria, motivata e soprattutto personale, di donne che scambiano libertà di far del loro utero quel che vogliono con la pretesa di fare lo stesso di quel che c’è dentro, che potrebbero – sottolineo potrebbero – guardare alla semplice assunzione di una pillola come alla soluzione più facile, celere e indolore, tutto pur di non rinunciare ad una falsa emancipazione che si nutre di avventurette, irresponsabilità e storie senza prosieguo.
Ma sono singoli, molteplici casi, che non è possibile – e nemmeno giusto – indagare e valutare uno ad uno per trovarvi la giustificazione o la prova ad affermazioni sentenziose date a priori. Non è la vita a dover seguire valori o leggi universali sorti dal nulla, ma sono questi a doversi adattare ad un’esistenza sempre mutevole e mai certa, nella quale in ogni caso l’unico sacrosanto principio, una volta compreso che non è possibile far andare tutti d’accordo sotto l’egida di ideali immutabili, dovrebbe essere quello del rispetto e della libertà. E se è pur vero che ognuno, ognuna, può e deve decidere autonomamente del proprio utero e, quel che è più importante, col proprio cervello, allo stesso modo bisogna diffidare di leggi impersonali e divieti autoritari che impediscono di fare qualcosa in nome di norme etiche scollegate dalla realtà e impossibili da rendere valevoli per tutti. Il fatto che la RU486 sia in commercio e l’aborto permesso e legalizzato non implica automaticamente che le donne vi ricorreranno a piè sospinto o che siano giustificate a farlo. Ma impedire per partito preso una pratica che, per quanto dolorosa, può essere necessaria in molti casi, non è per niente la risposta opportuna. Da sole, di fronte alle nostre coscienze, faremo quel che ci sentiamo di fare; è compito nostro, non dello Stato, né della Chiesa, andare alla ricerca delle motivazioni morali e applicarle. Che il primo si limiti a stabilire leggi imparziali a misura di cittadino, non di cattolico. E la seconda a dare i suoi consigli e i suoi precetti, se è ancora in grado di farlo, a chi è disposto ad ascoltarla. A Cesare quel che è di Cesare…
“Il fatto che la RU486 sia in commercio e l’aborto permesso e legalizzato non implica automaticamente che le donne vi ricorreranno a piè sospinto o che siano giustificate a farlo.”
Mi hai tolto le parole di bocca…