“Senza mafia la disoccupazione sarebbe più alta” : questa affermazione fu fatta dal grande Fabrizio De André nell’agosto del ’98 e rientrava nel suo solito modo di esprimersi in modo politicamente scorretto.
De André, come gli altri cantautori della sua generazione, esprimeva nelle sue canzoni la sua idea di società, idea non tratta da studi sociologici basati su sondaggi, ma dalle impressioni quotidianamente vissute.
Per capire cosa volesse dire il caro buon vecchio Fabrizio, dobbiamo analizzare il corpus dei suoi testi e comprendere la sua criticità nei confronti dello stato, tanto da farsi definire anarchico, e poi ancora leggere il testo in cui tratta in modo specifico della malavita: Don Raffae’.
Nel testo incontriamo Pasquale Cafiero, brigadiere del carcere di Poggio Reale, uomo di legge, uomo dello stato, uomo che si trova per lavoro davanti “infamoni briganti, papponi, cornuti e lacchè”, gente di scarso valore morale e intellettuale, che non merita il suo rispetto, capaci di far danni più grandi della loro infinita pochezza.
Al centesimo catenaccio però, l’uomo di stato, incontra il vero uomo di malavita, il Don, un uomo sceltissimo immenso, geniale.
Il Don descritto è un vero Padrino a cui si chiede consiglio e col quale si riflette sulle reazioni dello Stato che “si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità” come risposta alle ingiustizie.
Se lo Stato non ha risposta migliore ai problemi, Don Raffae’ invece sembra avercela, lui come tutto il sistema malavitoso che lui rappresenta, e così quest’ultimo si sostituisce al primo nel soddisfare le insicurezze della gente.
E’, infatti, una scena verosimile qui al sud che un brigadiere, uomo di stato, chieda conforto e lavoro ad un Don per un fratello senza lavoro.
A conferma questa impressione ci sono i dati, quelli di un questionario sulla percezione del fenomeno mafioso, per cui in Lazio e in Sicilia il 25% degli intervistati che sia più vantaggioso rivolgersi ad un mafioso per trovare lavoro che seguire iter più legali, infatti solo il 6% crede che l’arretratezza economica del sud dipenda dalla presenza delle mafie.
La mafia non è percettibilmente nociva e lo Stato è visto come un’entità lontana, composta da politici corrotti e amorali.
Nel documentario La mafia è bianca alcune persone confessano addirittura davanti alle telecamere di conoscere il Don Tal dei Tali e di reputarlo come una bravissima persona che quando può aiuta disinteressatamente.
A piegare il brigadiere al mafioso (vi faccio la barba? vi faccio o’ café?) non è la paura, ma il rispetto, rispetto per chi ha risposte concrete ai problemi che lo Stato lascia scoperti.
Inoltre la presenza della mafia non solo garantisce un certo ordine economico (alcuni lavori non verrebbero mai avviati se non per fare mangiare qualcuno), ma anche un certo ordine sociale, infatti la mafia da più sicurezza delle forze di polizia, c’è più microcriminalità dove sembra non esserci mafia.
La mafia vive dei vuoti lasciati dallo Stato e finché lo Stato lascerà dei vuoti da riempire , la mafia funzionerà come un sistema parastatale a cui la società si affiderà per ricerca e la creazione di lavoro e della sicurezza.
Come nelle dittature, anche la mafia si poggia su figure di leader carismatici (i boss) e di forze violente a loro sostegno, soldati o assoldati che siano, ma è soprattutto l’appoggio della società civile a sostenere questi poteri, nonostante spesso questo appoggio sia passivo, fatto di silenzi e assenzi.
Nessuno pagherebbe il pizzo, per esempio, solo perché convinti da un leader carismatico se questo non mandasse dei malandrini, ma il pizzo non verrebbe chiesto se non si avesse la quasi certezza di ottenerlo.
Contro le mafie siamo tutti chiamati in gioco, dallo Stato ai cittadini che ne sono parte costituente e costituiva, e non dobbiamo permetterci di lasciare buche libere alle mafie: solo così sarà possibile costruire una società libera di progredire e innovare con creatività e trasparenza, in modo da costruire di più e meglio di quanto qualsiasi organizzazione a delinquere posso proporci.
Ironia della sorte, “La mafia vive dei vuoti lasciati dallo Stato” ed il nostro Stato ha più buchi di un formaggio svizzero..
Commento a parte, aggiungo un meritato complimento per il sito =)
Amen compare.
L’anno scorso mi sono trovata a spiegare a Dalia, una ragazza mezza egiziana e mezza tedesca, che se zio Peppino è disoccupato ed ha quattro figli da sfamare, ma lo Stato non lo aiuta, va da Don Tony a chiedere aiuto. Don Tony, che ha appena vinto un appalto per costruire un centro commerciale, manda zio Peppino a lavorare con i suoi muratori. Allora si può star sicuri che zio Peppino, da quel momento in avanti, giurerà solennemente che Don Tony è una brava persona, perché gli deve la vita.
Welcome to the mafia world, Dalia.
Sono curiosa di conoscere la reazione della ragazza, mi chiedo se è una realtà sconcertante per chi non ci vive dentro o se vige la regola del tutto il mondo è paese. In ogni caso ci sarà sempre il Don Tony di turno, fin quando qualcuno ci farà il “favore” di farci lavorare, da quando il lavoro ha smesso di essere un diritto per gli onesti cittadini…e banalmente mi torna in mente lo Stato groviera.