Oggi, mentre saltavo come al solito di frequenza in frequenza sulla radio del mio bistrattato cellulare, cercando speranzosa qualche amata canzonetta che mi cullasse delicatamente e mi accompagnasse nel mondo dei sogni, nell’inevitabile pausa di sonno che tocca al valoroso studente che ha ormai superato ogni pericolo, mi imbatto casualmente in uno speaker che, con tono semi-serio, adeguato al tema, parla di uno degli argomenti principe di questi ultimi tempi, il dilemma dei dilemmi, il quesito esistenziale ultimo: l’attesissima, stra-annunciata, stra-temuta (da chi ci crede) fine di questo nostro pazzo mondo, che ha (avrebbe) da venire tra due annetti circa: 22 dicembre 2012.
Prima, fulminea osservazione sarcastico-cinica della mia parte intollerante e iper-critica: ma veramente si può credere a queste cose? Sul serio esiste chi prende per oro colato le fantasie poetico-visionarie di uno studioso dalla fervida immaginazione e dotato della capacità di farne, di queste fantasie, simbolo e metafora di qualcosa di altro? Davvero c’è chi si fa i calcoli basandosi su calendari fatti iniziare da dei e personaggi mitici, tra storia e leggenda? La solita interpretazione letterale e pretenziosamente (quanto falsamente) scientifica di fenomeni simbolici e atti dell’immaginazione e della creatività che non è con la ragione che vogliono essere spiegati, che nemmeno la chiedono, una simile spiegazione.
Il breve sfogo polemico viene però subito messo a tacere dalla vocina accondiscendente che ho imparato a sviluppare per sopravvivere senza grossi scossoni dei miei fragili nervi in un mondo che del buon senso ne fa volentieri a meno, e preferisce credere all’incredibile piuttosto che accettare l’inaccettabile; quella vocina che mi spinge a chiudere un occhio, e pure due, sulle umane debolezze e fragilità, ché in fondo vivere non è facile per nessuno, e ognuno si illude come vuole e tira a campare come può. Pazienza se il comportamento del singolo influenza- o sarebbe in grado di farlo- l’andazzo generale di una società confusa che ha perso la bussola; pazienza se il più piccolo gesto, dal più nobile al più sconsiderato, può, nel bene e nel male, contribuire al cambiamento generale; e pazienza se così facendo si giustifica in maniera indiretta l’indifferenza, l’ignoranza che è ignorare la verità, di chi fa del “vivi e lascia vivere” il suo motto e modus vivendi, dimenticando però che non è di certo a questo menefreghismo egoistico che l’abusata formula si riferisce. Siamo esseri umani, e sbagliare è umano. Non possiamo farci niente. Si campa come si può.
Penso tutto questo con amara ironia, la bizzarra ironia che ha deciso di non prendere troppo sul serio niente, perché niente merita tanto; e poi c’è sempre la fiducia, l’incrollabile fiducia nell’umana ragione e capacità di discernimento che tutti, almeno un po’, devono possedere, pur facendone scarso uso magari. Insomma, giungo alla conclusione che no, non è possibile crederci, a ‘ste cose, che la maggior parte della gente non le prende seriamente in considerazione, e se lo fa, se si sofferma anche solo per un secondo su simili bislacchi pensieri e paure senza fondamento, di certo è per riderne e scherzarci su, mica per crederci. E su questa consolante constatazione, mi addormentai.
Ma la riflessione più illuminante, la più illuminante verità da tre soldi, è al risveglio che mi sorprese, quasi fosse stata lì a fermentare tra i miei sogni inquieti e strampalati; e a dare il la alla straordinaria rivelazione, la solita, immancabile, fondamentale domanda: ma se veramente il mondo finisse- domani come tra due anni, poco importa- cosa faresti come ultima cosa? Le risposte si sprecano: trombare con chiunque capiti a tiro, in tutti i modi e in tutti laghi, direbbero i più ardenti; stare con la famiglia in attesa del giudizio divino, godendo degli ultimi momenti insieme, i più devoti; svaligiare negozi e pigliarsi tutto quello che in vita, quando ancora il mondo aveva un lungo avvenire davanti a sé e non ci pensava proprio a finire, han solo sognato- e peccato se adesso è tutto inutile, troppo tardi per goderselo- i più avidi; e non mancano gli psicotici sadici, che si metterebbero a sparare all’impazzata ai terrorizzati passanti alla disperata ricerca di qualcosa da fare, prima che il mondo sparisca per sempre, quasi si trovassero in un videogioco di quelli violenti e censurati- che-fanno-il-lavaggio-del-cervello e più gente ammazzi, più punti fai. Tanto, quelli devono morire comunque. E poi mica mi possono mettere in galera e darmi l’ergastolo? Qualcosa devo pur guadagnarci, da ‘sta benedetta fine del mondo. Via libera ai bassi istinti, quindi. Qualche sfizio me lo levo. E senza punizioni da temere.
Sollecitata da ‘sto popò di quesito, sono giunta ad una conclusione: ho pensato che la gente con le esistenze agli sgoccioli, la maggior parte di uomini e donne di ogni nazionalità, cultura, religione- tranne forse gli ardenti, i devoti, gli avidi e gli psicotici sadici di cui sopra, troppo impegnati a fare altro- ormai messi alle strette, senza più niente da perdere, proprio alla fine, nell’ultimo dei giorni loro concessi per recitare la loro pantomima, avrebbero finalmente smesso i travestimenti e gli sgargianti quanto finti costumi, e si sarebbero mostrati per quello che sono: fragili, impauriti, confusi esseri umani bisognosi di comprensione e calore e affetto fraterno. E tutti gli egoismi, gli scontri inutili, le prepotenze e la competizione di chi nella vita vede solo nemici da abbattere e vette da raggiungere a costo di buttar giù qualcuno nell’ambiziosa salita: tutto sparito. Che importanza può ormai avere? Come formiche unite e solidali di fronte al fanciullo crudele che annega il cantuccio terroso duramente costruito e protetto, così noi al capitolo finale di una vita che, ci rendiamo conto, abbiamo sprecata a rincorrere l’inutile, tralasciando quel che più importa, quel senso di solidarietà, quel riconoscersi tutti uguali e in balia dello stesso destino, tutti ugualmente deboli e indifesi, che solo in occasione di terremoti, ondate assassine e altre simili catastrofi, accenna per poco ad apparire. Poi si ritorna alla guerra.
Ma non è strano, non è tragicomico, che bisogna che noi si aspetti la fine del mondo, o qualche calamità che le si avvicini, per comportarci per ciò che siamo: esseri umani?
non ricordo in quale Final Fantasy il cattivo di turno vuole portare la terra sull’orlo della distruzione perché è l’unico modo per far risorgere il lato umano dell’uomo… ma siccome non succederà non lo vedremo mai.
Però sarebbe interessante… la mia prima apocalisse, magari con Chtulhu che risorge dagli abissi per distruggere la terra
Non essere troppo ottimista eh! :p