Tra società e individuo non c’è rapporto dicotomico, ma l’individuo si pone come punto di sintesi di una società in evoluzione in cui ogni individuo è a sua volta prodotto e produttore.
I primi pensieri e le prime parole di ogni individuo sono pensieri e parole di altri, che a loro volta li avranno appresi da altri ancora: le prime parole e i primi pensieri di ogni individuo sono provenienti dalla società.
La società, invece, non è qualcosa di mistico, che esiste di per sé, regolata da leggi divine, ma è l’insieme caotico della molteplicità degli individui. Non ci sono leggi che prevedano con esattezza i comportamenti di una società, come non è possibile trovare una causa dei loro comportamenti, che sono dovuti sempre da un insieme di cause e concause. Ognuno di noi, quindi, è una piccola parte della società tutta. Qualche soggetto ha più potere nell’influenzare la società rispetto ad altri. Il potere individuale è determinato, a sua volta, da una società che, lasciandoglielo esercitare, lo legittima fino a far sì che egli si ponga come rappresentante.
Non c’è certo bisogno di studiare sociologia per notare che in ogni gruppo sociale c’è un membro che si contraddistingue (per forza, per età, per carisma e via dicendo) dagli altri e che ha una forte influenza sugli altri.
Tolstoj diceva che i grandi uomini di storia sono i nomi con il quale si etichetta un evento storico, proprio per sottolineare come alcuni individui siano una sorta di “etichetta” dell’evento storico nella sua complessità sociale, e non soltano fautori di avvenimenti.
Da Hitler a Gandhi abbiamo delle etichette, non passive ma pur sempre etichette. Se non ci fossero stati dei problemi sentiti dalla società del loro tempo, né Hitler né Gandhi sarebbero arrivati ad avere appoggio dal basso, cosa che li ha portati all’ascesa come capi carismatici delle loro società: due nazioni impoverite e disastrate da guerre e guerriglie contro nemici esterni e nemici interni.
Hegel inoltre vedeva questi grand’uomini come coloro che esprimono l’essenza del proprio tempo.
Se avessero ragione loro, potremmo concludere che Berlusconi non è solo la causa dei nostri mali, ma ne è anche l’espressione, e forse non è così? L’arrivismo spregiudicato, la corruzione, il maschilismo, la prepotenza, l’ignoranza sono tutti doni di Berlusconi e della sua manipolazione mediatica o esiste un substrato acritico pronto a farsi modellare credendo che così sia più facile vivere tranquilli e magari pure più ricchi?