Cinque anni fa, uscito dalla scuola superiore, avevo un desiderio che per me coincideva con una necessità. Senza conoscere Aristotele, sposavo la sua idea che la felicità stava nella conoscenza, e così l’università mi sembrava il luogo ideale per soddisfare questa necessità.
L’università era il luogo in cui si diviene dotti, dove tutto era circondato da un’aura quasi mistica. Mi dicevano che il bello dell’università è frequentarla, e immaginavo forse che immergendosi in quell’aura, appunto, si crescesse intellettualmente. Oggi l’università la conosco bene.
L’ho frequentata e vissuta e ci sono ancora immerso. Posso guardarla da dentro e da fuori, considerando un anno in cui pensavo di averla lasciata per sempre. Oggi sono disilluso, so che quanto mi aspettavo non era vero, almeno non lo è più oggi e il mio ritorno all’università è dettato da necessità politiche e sociali che non mi danno molte scelte. Oggi l’università è un luogo triste come il resto della società, in cui vigono giochi di potere interni ed esterni all’università stessa, e l’interesse a mantenere questo potere con la suddivisione in classi, dove la classe senza potere è quella dei mediocri.
Anche nella culla del sapere le pretese dei professori si abbassano parecchio, e nella pratica il voto più basso non è più 18 ma 24, la biblioteca non è la chiesa dello studio ma un luogo d’incontro quanto i gradini antistanti la facoltà, dove si entra coi tacchi a parlare e i bagni vengono scambiati con le cabine telefoniche, frequentati più per telefonare che per bisogni fisiologici. Le biblioteche di dipartimento sono inaccessibili, mentre nei miei sogni erano nicchie votive al determinato settore del sapere. Anche l’accesso ad internet, il nuovo (come minimo ha 15 anni) strumento di studio, non è facilmente accessibile, per via di reti wifi che non funzionano bene e pochi pc a disposizione nelle biblioteche.
Ero un mediocre prima di andare all’università, e per quanto io mi chiuda in biblioteca, forse uscirò da lì altrettanto mediocre. Infatti, il mio studio è limitato ai libri in programma, giacché se non mi do le materie, posso salutare la borsa di studio e le agevolazioni economiche e, di conseguenza, salutare l’università.
Penso che forse dovrei adeguarmi al sistema, studiare di meno e prendere dei 24, dati come se fossero regali e dedicarmi a quello che più mi interessa.
C’è qualcosa di positivo ancora in tutto ciò: frequentare l’università ti permette di incontrare altri disillusi come me che provano vergogna per questo sistema e dà il suo meglio nello studio e nelle attività socio-politico-culturali per migliorare il mondo che ci circonda. Abattoir ne è un piccolo esempio.
Probabilmente hai scritto questo articolo in un momento-scazzo. Condivido la speranza che riponevo nell’università, gli Afterhours in una delle loro peggiori canzoni dicono “Il tuo diploma è un fallimento, una laurea per reagire”, e in qualche modo il senso è questo. Pensi che all’università non ci saranno dei coglioni costretti a studiare, ma ci saranno persone che lo vogliono fare, persone interessanti, con le quali avere degli scambi profondi, e poi capisci che da certi punti di vista l’università è un liceo più grande.
Del resto però una grossa parte delle mie amicizie migliori l’ho trovata all’università, persone con le quali parlare non di cazzate, ma di cose serie, senza vergognarmi di essere “secchiona” (perchè al liceo se non parli di maschi ed hello kitty, sei fuori di testa). La mia coscienza critica è cresciuta tra quelle pareti graffitate, e ogni tanto ho trovato professori stimolanti, e in senso positivo, non nel senso della regolarità intestinale.
Viviamo un’epoca di decadenza. Qualche giorno fa, un ragazzo da quel settimo piano che mi ha vista studiare, cazzeggiare, innamorarmi, e altre mille cose, e penso valga per molti altri, ha deciso di togliersi la vita. E lo ha fatto lì, lanciandosi dalla finestra del palazzo rosa, quello dove ci dividiamo tra lo studio di Aristotele e gli scritti su Dante. Vorrà dire qualcosa, continuo a pensare. Vorrà dire qualcosa, se un ragazzo di 28 anni mette un punto alla propria esistenza, e lo fa all’università, e non a casa sua, nel chiuso della sua stanzetta. Qualcuno mi ha detto “lo ha scelto”, ma io continuo a pensare che sia assurdo, e che il confine tra avere scelta e non averne, in questi casi, si fa subdolo e invisibile.
Speriamo di avere sempre scelta, dunque.
“Il tuo diploma è un fallimento, una laurea per reagire”
Sta andando all’esatto contrario maledizione, non mi sono mai pentito del mio diploma di “perito capotecnico” ma continuo a pentirmi di aver scelto ingegneria informatica, le conoscenze informatiche che ho aggiunto dal diploma le ho aggiunte in maniera quasi accidentale, sono argomenti su cui sono andato a inciampare studiando ma non sono l’argomento di studio, e adesso sono sufficienti a farmi notare l’incredibile quantità di percorsi di conoscenza che potrei ( e vorrei) percorrere e che non percorrerò mai per via universitaria e quasi sicuramente nemmeno per conto mio, a cominciare dall’intelligenza artificiale che è una cosa che mi interessava tantissimo, così tanto che ho dovuto togliere la materia ( a scelta) dal piano di studi perché era fatta così male che la giudicavo offensiva.
E per quanto riguarda la gente interessante… anche quella è accidentale e guardandola in maniera statistica probabilmente se avessi incontrato tanta gente alle superiori ne avrei comunque trovato un numero paragonabile.
La maggior parte dei colleghi non lo è.
Quando ho fatto questi pensieri ero indeciso se pubblicarli su abattoir perché li consideravo frutti di un momento di scazzo, ma dopo un paio di mesi a fare questi pensieri capisci che non è un momento e forse è il caso di buttare giù due parole e confrontarti con gli altri e capire se anche loro vivono questo disagio.
Ho scritto questa lettera prima che succedesse il triste fatto qualche giorno fa qui a lettere, a pochi metri dalla postazione in cui sto scrivendo in questo momento. Il fatto che fosse uno student di filosofia ti rende inevitabile l’impersonificazione: il mio scazzo era il suo scazz forse e forse la sua tristezza era la mia tristezza. Ho troppi pensieri in merito e nessuna parola e tanta rabbia da sfogare.
Come ho scritto, all’università non ho trovato solo merda, ma anche gente seria e stimoli interessanti, ma non era quel paradisio intellettuale che immaginavo.
L’università è un liceo più grande, il fatto che io la scuola superiore, come l’università, l’ho fatto con lo stesso sacrificio di un lavoratore, ogni mattina mi alzo presto e comincio a studiare. Investo tempo e denaro e non mi posso permettere di fare diversamente.
L’articolo di Miriam poi conferma quanto l’università sia considerato per lo più un posteggio o un posto dove ritirare un pezzo di carta più che il luogo dove apprendi.
forse siamo degli illusi a breve termine sul serio: ci aspettiamo meno merda dal mondo universitario-amicale-sociale-monetario. Poi la troviamo e puff: immersi, senza strumenti per uscirne (colpa della società), senza capacità di mobilitarci per uscirne (colpa di chi? genitori, società, berlusconi e gelmini vari… e anche nostra, purtroppo).
E’ vero: è un’epoca di decadenza, che ci rende a nostra volta decadenti.
Però non è tutta merda. Siamo qui a parlarne, qualcosa da salvare ci sarà. Oggi la mia relatrice mi ha ricevuta fuori dall’orario di ricevimento, mi ha prestato un suo libro, perchè il dipartimento ha casini con l’acquisto di alcuni volumi, mi ha tenuta un’ora a parlare di cose che non erano necessariamente relative a quanto scritto sui fogli davanti a me, eccetera eccetera. Sono uscita dal dipartimento con un sorriso, e la sensazione di aver conosciuto una persona come ce ne sono poche. E sono sicura che nella nostra facoltà ce ne siano altre, che siano studenti o professori, poco importa. Il sistema fa schifo, e lo schifo ci circonda, ma in mezzo allo schifo dovremmo guardare bene e scoprire cosa schifo non è, e dargli spazio e voce.
Che poi è il motivo per il quale siamo qui, anche. No?
Manu come ho scritto più volte non è tutta merda e ci sono anche tante persone meravigliose e ho la fortuna di conoscerle e averle accanto.
(“Abattoir ne è un piccolo esempio.” cit.)
Provo queste sensazioni da circa un anno e mezzo o più.
Quelli che dovrebbero insegnarti la letteratura, la lingua italiana, l’amore per i libri, per la cultura sono in questa facoltà persone senza anima, persone che si sentono onnipotenti, che hanno perso per strada i modi civili ed incoraggianti di trattare il prossimo, oltre che il proprio allievo prezioso. Persone che hanno dimenticato il tuo nome, gente che non sa che di fronte ha degli individui con la loro storia, seppur giovane, professori che sanno benissimo quanto sei “sufficiente” ed “ignorante”. Esperienze che segnano.
Qualcosa si salva, certo. Vallo a trovare però. Da solo.
Se ne sei in grado.
Sono una matricola di Lettere. Non ho ancora avuto il piacere di seguire una lezione. Da due mesi sogno davanti a quel piano di studi: sogno di imparare, sogno di studiare, di preparare una materia, di aver paura il giorno dell’esame. Sogno. Come avete sognato voi.
Ma non sono scema: ho già capito come andrà. Maledico ogni fottuto giorno passato in questa città. La amo… e la odio (ricorda un pò Catullo). Qui i sogni sono solo illusioni. Odio quei mezzi sorrisi di scherno, quell’espressioni scettiche dipinte sul viso di chi ha qualche anno in più di me quando dico: “il mio sogno è fare l’insegnante”. Non c’è niente da ridere. E’ il mio sogno. Anche se resterà tale me lo tengo stretto.
E aspetto, aspetto che qualcuno mi insegni qualcosa, aspetto, dentro casa mia, con una buona dose di noia a farmi compagnia e i miei amati poeti.
Leggo i vostri commenti e mi sembra di conoscervi tutti, nelle vostre parole, nelle vostre antiche speranze, leggo le mie.
Mi auguro, da brava sognatrice, di poter scrivere una lettera aperta alle matricole fra 3 o 4 anni. Vorrei poter dire loro: “Benvenuti, questo è il luogo ideale per coltivare i vostri sogni”.
Ciao Giulia, sembri proprio una dei nostri spero di leggerti ancora tra i commenti e perché no, anche in qualche articolo sul nostro blog!