Il termine “città” deriva dall’accusativo “civitatem” della parola latina “civitas“, passando per l’arcaico “cittade”, che, per un processo molto frequente nell’evoluzione delle parole, perde il -de finale, rimandendo tronco.
La parola “civitas” indicava in latino l’insieme dei “cives“, ossia dei cittadini, ed era, come è comprensibile, un termine più politico che geografico, rivelando l’insieme degli appartenenti a un gruppo, accomunati, appunto, dalla cittadinanza, e non semplicemente dal vivere entro certi confini. A Roma, infatti, non tutti erano “cives“, ossia dotati di cittadinanza, e quindi di diritti civili: gli schiavi, per dirne una, o i plebei, prima del 367 a.C, non erano considerati parte della civitas.
Città, dunque, ha un collegamento etimologico con questo senso “politico” di diritti/doveri che spettano e sono concessi ai cittadini.
Quei gran geni degli Illuministi introdussero addirittura una distinzione fondamentale tra “citoyen” e “sujet“: il primo termine indica l’uomo libero dotato di diritti e doveri, il secondo il soggetto della monarchia, ossia il suddito. Forse non è necessario specificarlo, ma non si sa mai: il termine “citoyen” è positivo, il termine “sujet” no, dunque dovremmo desiderare essere cittadini, e non sudditi, dovremmo ogni giorno reclamare i nostri diritti, e rispettare i nostri doveri, e non dormire passivamente nella condizione di sudditi annichiliti dall’illegalità e dalla televisione.
A questo proposito mi chiedo se il palermitano medio sia cittadino o suddito. Me lo chiedo non senza una certa vergogna, non senza una certa rabbia. Me lo chiedo, includendomi all’interno della categoria. Me lo chiedo nei 60 minuti che passo immobile alla fermata del 101, autobus che dovrebbe avere una frequenza di 10 minuti, attorniata da altri palermitani medi, come me, immobili e tutto sommato silenziosi, tranne qualche raro sbotto, dopo aver guardato l’orologio e l’orizzonte. Me lo chiedo sulle strisce pedonali brutalmente invase da auto che ignorano l’esistenza e la sensibilità del pedone medio, ma soprattutto che non hanno alcuna conoscenza della semiotica dei segnali stradali.
Una volta per tutte, amici automobilisti palermitani medi: quelle bande bianche che ci sono sull’asfalto non sono decorazioni animalier urbane, no, in realtà segnalano il passaggio di pedoni palermitani medi in carne ed ossa come voi. Se non vi fermate, commettete un’infrazione del codice della strada, se non addirittura un pedonicidio. Inoltre, cercate di ricordarlo, quando la lucetta del semaforo è arancione, non vi sta invitando a schiacciare l’acceleratore, ma vi scongiura di rallentare, e fermarvi PRIMA delle maledette strisce pedonali.
Io non ho la patente, ma queste cose le so dall’asilo. Non posso dire lo stesso dell’automobilista palermitano medio che ogni giorno rende caotico l’incrocio tra via Cordova, e via Marchese di Villabianca, bloccando il traffico a causa della sua presunta furbizia (“passo anzichè aspettare il mio turno”, “voi siete fessi ed io no”), che in realtà non è altro che mancanza di senso civico, o anche incapacità di leggere i segni, se proprio non vogliamo supporre un daltonismo cronico.
Ma il palermitano medio non si limita soltanto a fare il furbetto al semaforo, è anche molto creativo, quando si inventa parcheggi come fossero poesie, è un po’ sbadato, quando lascia cadere i propri rifiuti dal finestrino dell’auto, come se l’asfalto sotto di lui avesse la proprietà di disintegrare la munnizza (ma a quel punto ci sarebbero molti meno palermitani medi), è snob, quando non se la sente di raccogliere la pupù del proprio cane, e si aspetta che lo faccia qualcun altro, è poliglotta, quando tenta di mercanteggiare con i venditori ambulanti usando l’infinito (“tu fare sconto me”), e non capisce che magari ha di fronte un uomo che, sebbene provenga dall’Africa sub sahariana, parla l’italiano meglio di lui, è un po’ musicista, quando suona il clacson a sproposito, sebbene a scuola guida gli abbiano detto che l’uso del clacson è emergenziale, è pacifico, quando i suoi diritti civili vengono calpestati, e un servizio pubblico è scadente, nonostante sia pagato a peso d’oro, ed è aggressivo e ribelle, quando apre il “Forum”, e c’è l’ultimo cellulare in offerta, allora sì, si batte, si sbatte, preme, spinge, urta, urla e ottiene, una buona volta, quello di cui ha bisogno, l’ennesimo oggetto inutile che fa di lui un sujet, non certo un citoyen.
La frequenza del 101 per la precisione è di 6 minuti, o almeno dovrebbe, e che non cambia nulla, perché anche questo “cosa cambia” ci rovina a noi, per cui, 6 o 10, 10 o 15 e già il bus arriva con 11 minuti di ritardo. Quando timbri il cartellino al lavoro digli che non cambia nulla e ti dicono che non ti cambiano nulla nemmeno i 20€ dalla busta paga.
Il palermitano medio non è parte della civitas perché, sempre per fare analisi filologiche, non ha res publica. Quando parli di senso civico parli di rispetto per la cosa pubblica, della cosa comune e se non ce l’hai sei suddito.
Tanto per fare il finto intellettuale: per società civile (quella appunto che vive la civitas con con tanto di senso civico-civile) gli inglesi intendono Civilization, ovvero coloro che sono usciti dallo stato primordiale della comunità è si sono civilizzati dandosi delle regole chiare per migliorare le condizioni di vita (teoricamente di tutti).
Sono sempre più convinto, studiando giorno dopo giorno, che se ognuno di noi si adegua le cose non cambieranno mai (ma adeguandoci non ce ne fregherebbe più nulla), e che purtroppo la sola azione dal basso non è abbastanza per l’emancipazione dell’individuo/della classe.
Siamo sudditi e seguiamo i nostri monarchi, abbiamo bisogno che le direttive per l’emancipazione ce le diano dall’alto, così penso, che forse, dovremmo anche provare cambiando le cose in alto.
A Madrid una volta aspettavo l’autobus. Alla fermata c’era un tabellone elettronico che segnalava quanti minuti mancassero all’arrivo di tal numero. C’era altra gente che aspettava. L’autobus arrivò, io mi avvicinai alle porte per salire. Una signora allora venne verso di me e mi rimproverò: dovevo rispettare la fila! Se la signora era arrivata prima di me aveva il diritto di salire prima di me. Questa cosa mi ha sconvolto. Non perché mi avesse rimproverato, e neanche perché dovevo fare la fila. Mi ha sconvolto perché mi ero comportata incivilmente. E, voglio dire, io sono una di quelle che rispetta anche le regole inutili (salvo scazzature e esigenze varie), io sono una di quelle che se scarta un pacchetto di sigarette infila la pellicola in borsa anzi di gettarla dal finestrino.
Per cui, dobbiamo prima essere NOI a cambiare, e ad insegnare la civiltà ai nostri figli. Solo un ricambio generazionale fatto bene potrà cambiare le cose, perché noi, ormai, siamo fottuti!