Rivolta
Quello morto è stravolto e non guarda le stelle:
ha i capelli incollati al selciato. La notte è più fredda.
Quelli vivi ritornano a casa, tremandoci sopra.
E’ difficile andare con loro; si sbandano tutti
e chi sale una scala, chi scende in cantina.
C’è qualcuno che va fino all’alba e si butta in un prato
sotto il sole. Domani qualcuno sogghigna
disperato, al lavoro. Poi, passa anche questo.
Quando dormono, sembrano il morto: se c’è anche una donna
è più greve il sentore, ma paiono morti.
Ogni corpo si stringe stravolto al suo letto
come al rosso selciato: la lunga fatica
fin dall’alba, val bene una breve agonia.
Su ogni corpo coagula un sudicio buio.
Solamente, quel morto è disteso alle stelle.
Pare morto anche il mucchio di cenci, che il sole
scalda forte, appoggiato al muretto. Dormire
per la strada dimostra fiducia al mondo.
C’è una barba tra i cenci e vi corrono mosche
che han da fare; i passanti si muovono in strada
come mosche; il pezzente è una parte di strada.
La miseria ricopre di barba i sogghigni
come un’erba, e dà un’aria pacata. Sto vecchio
che poteva morire stravolto, nel sangue
pare invece una cosa ed è vivo. Così,
tranne il sangue, ogni cosa è una parte di strada.
Pure, in strada le stelle hanno visto del sangue.
( C.Pavese, Lavorare Stanca, 1934)
Soffermarsi su una poesia è uno degli atti più interessanti che si possano fare davanti ad un libro.
Appare sin da subito una sorta di distacco voluto da parte di chi sta raccontando una vicenda e chi dall’altro lato, prende parte alla situazione: “quello” è l’aggettivo dimostrativo che vuole identificare qualcosa di lontano a noi, e usato in questa circostanza pare mettere proprio dei paletti di disprezzo. Viene ripetuto al 3° verso e all’ultimo della 2° strofa. Giace un cadavere sulla strada, riverso in un bagno di sangue. Che sia stato vittima di un’uccisione non è improbabile, chissà magari proprio una rivolta, una di quelle che spontaneamente avvengono in tempi difficili. Forse queste immagini così crude, non stupiscono più lo scrittore, probabilmente vissute troppe volte. Manca l’impressione. C’è un particolare che stona: il cadavere non guarda le stelle, non è rivolto verso il cielo. Colpito alle spalle, forse. Fatto sta che la notte è fredda, più del morto (deceduto da poco?), e i passanti dal canto loro, tremano, su di esso, di freddo, non di terrore, perché sembrano vivere nell’indifferenza. Questi ritornano a casa, ma non sono proprio persone per bene, “si sbandano tutti”. Sorride malignamente qualcuno mentre pensa al lavoro, ma è un attimo. Detengono il potere? E passano notti insonni alla faccia della fatica dell’uomo comune. I morti assomigliano a questi “vivi”, quando questi dormono da soli capovolti sul letto, mentre quando c’è una donna, il paragone non vale, i letti s’impregnerebbero di pulsioni, movimenti, e vitalità. Ma il morto, quello morto per chissà quale giusta rivolta, ha ottenuto un privilegio: dormire/morire sotto le stelle e per una volta il buio della notte, le tenebre della morte, o dell’incoscienza del sonno, possono rivelarsi così, fortemente schiarite.
Un’altra immagine ci appare: degli stracci sono riversi sotto il sole cocente (non è più notte, ma è sempre una stella ad emanare luce) ed un altro individuo giace appena riconosciuto. Forse è morto, forse è solo un vagabondo, solo che le mosche lo hanno preso di mira, come fermarle… Di lato i “vivi”, anche loro “mosche”, l’ennesimo segnale che ci fa capire quanto siano parassiti, che vivono sulle spalle degli altri. Sicuramente è presente un’estrema infelicità in queste strade, ma alcuni tendono a nasconderla, godendone sotto i baffi, come un prato verde rende momentaneamente tranquillo un paesaggio in guerra. Vecchi muoiono, e diventano oggetti da strada, dai quali il sangue è l’unica cosa non riconosciuta come tale. In tutto quest’inferno quotidiano i “vivi” chiudono gli occhi affinchè continuino rigorosamente il loro “mestiere di vivere”. Sole, restano ancora le stelle, lassù, la luce adatta, che illumina tutto senza alcuna discriminazione.
Calvino, in queste scene, aveva visto la rappresentazione dell’infame repressione fascista, e non gli si può dar torto. Sono immagini attuali, che sentiamo raccontare, di gente che non si ferma, se qualcuno è caduto, di gente non aiutata nel momento del bisogno. Ma è attuale non solo l’indifferenza dell’uomo comune, ma anche la figura del potere repressivo, che sia il presidente, o un casco blu con i manganelli, c’è un’attualizzazione pericolosa di forme che contrastano la libertà di espressione, e l’uso della violenza per zittire. La letteratura si fa, in questo caso, testimonianza storica, fredda solo per abitudine, ma della storia, delle grandi rivolte, dovremmo più spesso prenderne spunto per rifiutare, una volta tanto, il morbido letto per un “rosso selciato”.
Tutto mi ha tristemente raccontato, ricordato, una scena: quella di quel cadavere, a Napoli, riverso per strada, calpestato dai passanti indifferenti, ri-ucciso dai passanti indifferenti. Ed era probabilmente l’unica cosa vera che scorresse in quella strada, quel sangue. Come qui, la verità ad ogni ora sotto le stelle, con coraggio (ingrato).
Quando un uomo “anticipa” ed “evoca” in ogni epoca, allora per me è un poeta, insostituibile. Grazie per questa poesia.