Fermare l’attimo e scomporlo in tanti minuscoli frammenti è un’operazione ardua e non capita molto spesso. Riuscire nell’intento di aver capito alcune cose di ciò che ti circonda e diventare parte del sublime porta una strana contentezza, simile a quella successiva alla risoluzione di un estenuante rebus. Puoi viaggiare quanto ti pare, vedere luoghi che qualcuno ha detto essere indimenticabili ma restarne del tutto indifferente. Puoi andare a vedere i concerti che tanto hai atteso e ritrovarti completamente senza una nuova emozione decifrabile. La ricerca del momento “alto” è qualcosa che invece capita all’improvviso, che ti stordisce quando non te lo aspetteresti, che ti sconvolge quando pensi non ce ne sarebbe la possibilità.
Sarà tutta una questione soggettiva, una giusta convergenza di stati d’animo, apertura alle visioni, una certa ambientazione del fuori da te. Sarà che quando accade accade e rimani ad occhi aperti, ed anche quando torni a casa non sai che farne di tutte queste sensazioni perchè hai paura, o forse l’incapacità, di scriverle su un foglio di carta.
Una chitarra sta suonando, il pubblico chiede sonoramente dei bis, le sedie sono tutte occupate, lo spettacolo gratuito ha interessato fino alla fine. Non è da tutti. Sul palco, illuminati da una luce tonda, ci sono un batterista che spacca le pelli e anche la gran cassa, un chitarrista elettrico, oltre che manipolatore di synth, gelido e attento ai movimenti degli altri. Il protagonista ha invece il capello fluente ed imbraccia una chitarra acustica. Notevole ciò che canta. Per nulla banale. Per nulla ambizioso. Odio le poesie create artificiosamente e qui, nonostante si facciano diversi voli pindarici con le parole e gli accordi, salta fuori una “storia di vita quotidiana” condivisibile per i più, come nei casi migliori, leggerainquieta, sinteticamenteispirata, in maggiore.
Cantori nostrani sul palco, tele disegnate sapientemente come se ci fosse una lunga esperienza alle spalle a dettare le regole.
Il pubblico chiede sonoramente dei bis, dicevo, e all’ultima canzone il palco si denuda dell’elettricità e dei tamburi. Rimane solo vestito di arpeggi e delle sue parole. Sembriamo tutti ipnotizzati da un momento, che chiamerei “Il Momento”. Qualcuno sorride per l’emozione, che ci ha presi tutti, che ci ha preso tutto.
Vedo il senso di qualcosa. Che per ora non so.
La song era “Tela n. 21”, il concerto è finito, e stasera ha cantato Nicolò Carnesi.
Avevo voglia di ascoltarla… ma ho trovato solo un video che è stato rimosso da youtube… comunque i concerti unplugged sono i più emozionanti. La cosa più bella è quando una canzone “movimentata” diventa molto più dolce con solo un arpeggio di chitarra e qualche nota di pianoforte.
http://www.youtube.com/results?search_query=nicol%C3%B2+carnesi&aq=f ascolta un po’ qui (: