Il 17 marzo 1861 il parlamento subalpino proclamava Vittorio Emanuele II “re d’Italia, per grazia di Dio e volontà della nazione”. Nel luglio 1871, Roma divenne la capitale del Regno d’Italia, a seguito del celebre episodio della Breccia di Porta Pia, che pose fine al potere temporale del Papa.
Da allora sono trascorsi 150 anni. All’epoca su 22 milioni di italiani, l’80% sguazzava nell’analfabetismo. Oggi, guardando alla Lega Nord e al rispettivo elettorato ci si accorge di quanto le cose, alla fine, siano cambiate di poco.
Quale migliore modo, dunque, di festeggiare l’anniversario dell’Unità d’Italia se non quello di ricordare un fatto realmente accaduto qualche anno fa.
Era il 22 luglio 2008. Padova, Congresso della Liga Veneta – Lega Nord. L’uomo che viene usato come interprete della lingua dei suini, Umberto Bossi, diede quel giorno un saggio della sua preparazione unita ad un’intelligenza fuori dal comune.
“Non dobbiamo più essere schiavi di Roma. L’Inno dice che ‘l’Italia è schiava di Roma‘, toh! dico io“. Ed ecco un dito medio sollevato per dare maggior enfasi alla frase.
A quel punto bruciare tutte le prove che attestassero la mia nazionalità italiana sarebbe stato un obbligo morale.
Lo sproloquio continuava in questo modo: “Dopo il federalismo bisogna passare anche alla riforma della scuola” – “Non possiamo lasciare martoriare i nostri figli da gente (i professori ndr.) che non viene dal nord.[…]La Padania ormai è nel cuore di tutti. Noi ai bambini insegniamo fin da quando nascono che non siamo schiavi e non lo siamo mai stati”.
Ricordando questo avvenimento che contribuì ad inserire Bossi tra i candidati ad ottenere il posto di anello mancante nella catena evolutiva dell’uomo, mi balena nella mente un detto siciliano, mai così appropriato:”A lu viddanu nun ci toccanu ‘nguanti, ma a zappa in coddu e ‘u sceccu davanti” 1.
Quel giorno Goffredo Mameli dall’aldilà benedisse il fato che lo aveva fatto crepare a soli ventidue anni.
Che Bossi non avesse capito nulla delle parole dell’Inno nazionale, non desta particolare sorpresa. Cosa ci si poteva aspettare da uno che è specializzato nel fare lo spelling di Windows coi rutti. Il senatùr non seppe mai che il verso che recita “Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma ché schiava di Roma Iddio la creò” ha tutt’altro significato rispetto a quello da lui carpito. Oh bestia secessionista, “schiava di Roma” non è l’Italia, ma la Vittoria! Dato che l’Inno di Mameli è un canto risorgimentale, contiene numerosi rimandi alla Roma antica. La Vittoria deve offrirsi alla nuova Italia e a Roma, di cui la dea fu schiava per volere divino 2.
I telegiornali si guardarono bene dal metterlo alla berlina e condannarlo per vilipendio in seguito a questo discorso pregno di ignoranza. Nessuno si preoccupò di far studiare la storia al signor Ministro così come nessuno fece pressioni per fargli prendere quella benedetta licenza elementare.
La Repubblica Italiana ebbe tuttavia modo di vendicarsi bocciando il figlio Renzo Bossi, detto ‘il Trota’3, per ben tre volte alla maturità. La terza volta il degno erede di cotanto padre aveva presentato una tesina sul federalismo dal titolo «La valorizzazione romantica dell’appartenenza e delle identità». Mah.
Oggi la nostra unità nazionale è ancora minacciata dagli sproloqui dei membri della Lega. Il ‘Trota’ è il nuovo “ministro della Comunicazione” leghista, già consigliere povinciale. Umberto Bossi si pulisce sporadicamente il sedere con il Tricolore e continua a credere che Cavour, Mazzini e Garibaldi siano delle vie da visualizzare sul TuttoCittà.
Malgrado la Lega, VIVA L’ITALIA!
1Sicil.: Al contadino non spettano i guanti, ma la zappa sulla spalla e l’asino davanti.
2http://www.quirinale.it/qrnw/statico/simboli/inno/inno.htm
3Il soprannome ‘trota’ gli fu dato dal padre Umberto. Durante un’intervista un giornalista chiese chi fosse il giovane brufoloso a fianco a lui e Bossi rispose: “Mio figlio, Renzo”. Il giornalista chiese se fosse dunque il suo ‘Delfino’ (termine con cui veniva definito l’erede al trono di Francia) e Umberto rispose: “Chel pirla lì l’è minga un delfin,ma l’è una trota”.
spassoso nella forma, triste nei contenuti. Gli attacchi all’Italia e alla sua storia da parte di questi novelli troll che scorrazzano in terra di Padanìa (e non padània come si ostinano a chiamarla) ormai non si contano più, l’ultima in ordine di tempo arriva dall’uomo dalla cui bocca sgorga merda di sorgente: Mario Borghezio, specie di aborto umano malriuscito, che in una trasmissione radiofonica ha avuto la capacità di definire Garibaldi (per cui personalmente non ho tutta sta ammirazione) come una specie di maschera carnevalesca. Ora, aldilà della mia poca simpatia verso Peppinello, mi chiedo ma può un’europarlamentare quindi rappresentante l’Italia al parlamento Europeo, sparare certe minchiate contro la stessa patria che rappresenta????? Ancor più paradossale che lo facciano i nostri cari ministri al governo, che alzano il dito al grido di ROMA LADRONA, ma da quella stessa Roma ciucciano il latte.