Come pensare a Facebook come ad una macchina da soldi? Difficile, troppo complicato, se ci si passano troppe ore in maniera lobotomizzante, cercando di aspettare il commento del nostro “amico” o l’ultima foto “caricata”.
La moda è diventata quotidianità, e l’attività di controllare le notifiche sui nostri profili sta per molti umani alla stessa stregua o di più del lavarsi, stare a tavola, leggere e studiare, fare la cacca. Gli animali stanno a guardarci senza capire, forse.
La puntata di Report di domenica è stata illuminante nella sua veloce, anche troppo, rassegna delle contrastanti situazioni riprovevoli o semplicemente fruttuose del panorama che sta dietro al quadratino blu con la F bianca ed ai suoi consimili 2.0.
Mi interessa solo informarvi di un’operazione simpatica e considerata pericolosa dalla schiera di pecore che seguono il giovane Zuckemberg: Seppukoo.com! Un urlo di battaglia. Il suicidio per onore, in lingua giapponese, termine usato da due artisti ed internauti, Clemente Pestelli e Gionatan Quintini, componenti de Les Liens Invisibles, per mettere a nudo le peculiarità del rapporto privacy con gli utenti. Progetto nato nel 2009, il Seppukoo si poteva effettuare a carico del proprio profilo FB compilando un veloce form che avrebbe poi inoltrato a FB una frase d’addio da comunicare ai tuoi amici, mentre su seppukoo.com avresti avuto un nuovo “non-profilo”, perché parliamo di un’identità suicida che, rispetto a quante altre persone avrebbe portato con sé nell’aldilà di fb, avrebbe ricevuto il suo avanzamento in una classifica interna. Genialata o diavoleria?
A parte un gusto prevalentemente cazzone della cosa, dall’altro lato quelli di FB si sono incazzati. Si conta che circa 20.000 utenti si sono suicidati dalla comunità virtuale più vissuta al mondo, ma un giorno questo meccanismo ironico è stato completamente vietato. Se provate infatti a scrivere sulla vostra bacheca “Seppukoo.com”, non potrete pubblicarlo, vi si spiegherà che si tratta di contenuto esplicito e non adatto alla comunità. Beh. Cosa avranno fatto questi ragazzi di Seppukoo per meritarsi questa censura? Ma poi ce n’era bisogno? Quali altre parole non vogliono che vengano pubblicate?
Hanno criticato il sistema, non uno dei tanti, ma quello più giovane ed apparentemente privo di qualsiasi lato oscuro. Apparentemente privo di lucro. FB è totalmente gratuito, dicono. Ed effettivamente non paghiamo nulla per usufruire del suo servizio giornaliero, a parte la connessione di rete. Ma badate. Le informazioni che costellano i nostri ben curati profili sono dei lascia passare per chiunque voglia conoscere tutto su di noi. Non parlo dei nostri amici. I nostri dati salienti, i nostri gusti musicali, il nostro voto, le nostre aspirazioni. Siamo messi a nudo mentre accanto scorrono i messaggi pubblicitari. Non sono messi a caso. Guardate bene. Il mio da un po’ di tempo mi incita a cliccare per avere una maglietta di Roger Waters, ex cantante dei Pink Floyd. Naturalmente in passato avrò messo un “mi piace” alla loro pagina. E poi. Avrete avuto a che fare con mai sentiti amici che vi mandano strane mail. Di strano non c’è nulla, se inizi a pensare che qualcuno conoscerà il tuo profilo per attaccarlo con virus o spam o truffe.
Quindi dove c’è FB c’è puzzo di capitalismo d’avanguardia? O sono solo le paranoie di un grande fratello che pensiamo continuamente possa un giorno incombere su di noi?
Ma non è che il prezzo da pagare sia proprio… la nostra identità?
I più furbi almeno riescono a farsi i soldi, imprenditori, o soltanto giovani inserzionisti, facendo una ricerca a tutto campo e sapendo peculiarmente a chi mandare la loro pubblicità. Si campa di click come è giusto che sia. E mentre noi stiamo cliccando un mi piace su un prodotto alimentare, così, per ridere, il meccanismo virale metterà in moto una serie di mi piace di quelle persone che lo vedranno fare a te, con interesse. E il prodotto alimentare in questione avrà tanti fan su cui potrà contare, e magari quel click per loro non sarà proprio senza un compenso.
Nonostante tutto, Seppukoo ha fallito la sua avventura di boicottaggio folle contro Facebook, oscurato, processato, censurato; ma almeno riconoscetele l’onere di aver cercato di far mantenere una certa dignità alle nostre identità, perché, anche se virtuali, non possiamo dire che valgano meno di quelle reali. Perché lì dietro i nostri schermi, ci sono linee invisibili, connessioni che mai conosceremo, informazioni private che girano senza sicurezza e che, se finite in mani sbagliate, potrebbero determinare la fine della nostra indipendenza ed autonomia.
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Certe volte accade che cercando qualcosa su Google non si riesca a trovare l’oggetto o l’argomento che volevo e non capisco il perché. Mi dico che è un’ impressione che prima le ricerche fossero più esaurienti. Ma se dietro Google ci fossero dei censori? E tu non riuscissi mai a trovare ciò che vuoi sapere perché ti è vietato? E se Google preferisse farti comparire dei risultati piuttosto che altri, lontani dalla tua ricerca? E se i magnati dell’economia mondiale ormai avessero in mano anche il web?
Uè pischelli, questa è la realtà! Tenete gli occhi aperti.
(Riferimenti alla puntata di Report del 10/04/11)
che ansia… la distopia del web!!!
Il capitalismo d’avanguardia l’abbiamo anche tra le mutande; i nostri neuroni sono pilotati fin dalla panza materna, temo. bell’articolo.