di Rosita Baiamonte
Il conto delle minne di Giuseppina Torregrossa, edito da Mondadori, è un libro strano, dalla doppia anima. Un’anima sicula, antica, che affonda le radici nella tradizione siciliana più arcaica, e un’anima spenta, figlia della modernità, che rivela la parte più squallida di sé.
La storia di Agatina e delle donne della sua vita ci riporta indietro nel tempo e, leggendo, si ha come la sensazione di poter toccare quelle mura spoglie, umide e umili, che rivelano la spartanità di antichi modi di vivere, ti sembra quasi di poter affondare le mani in quel dolce impasto di pasta frolla che darà vita alle Minne di Sant’Agata1, dolcetti a forma di minna dal forte potere taumaturgico, che le donne di Catania preparano a due a due perché : “il conto delle minne deve essere pari: due seni, e due dolci per ogni fanciulla” ripete instancabilmente nonna Agata nella sua grande cucina in via dell’Alloro a Palermo2.
Le minne segnano una parte importante nella storia di Agata e della sua famiglia, minne ammalorate3, grandi, materne, secche, vuote. Morbido viatico di gioia e nutrimento , il seno ha lo straordinario potere di attrarre a sé prepotentemente o al contrario di destare totale indifferenza e senso di vuoto, perchè una donna che non sa attirare a sé un masculu con le sue minne non è una vera donna.
Una donna senza una minna è una donna a metà. Ogni donna ha con le sue minne un rapporto speciale, quasi esclusivo.
Le donne di questo libro mi hanno travolta come non mai, con la loro forza, fragilità, tenerezza, aridità, tutto e il contrario di tutto. Come solo le donne riescono ad essere. Mi sono lasciata coinvolgere da quell’atmosfera di calore casalingo, riuscivo quasi a vedere quei volti, ora arcigni, ora morbidi.
Fin qui l’anima vera. Poi tutt’a un tratto irrompe l’anima squallida, che mi colpisce come un insulto.
Non c’è più poesia ma solo un racconto freddo, arido, noioso, faccio fatica a finire, avverto una delusione cocente.
Poi capisco, d’un tratto capisco, Agata sta solo fuggendo da sé stessa, fugge da quello che sa di essere ma che non vuole essere, e allora comincia ad odiarsi, ad auto debellarsi come una malattia sgradita, annulla sé stessa, non si ritrova, ma poi alla fine, le voci di dentro, quelle che fin da bambina la tenevano per mano, la riportano sui suoi passi, quelli cadenzati e sicuri di nonna Agata e quelli incerti e incespicanti di un bambino.
1 Dolcetti devozionali, simili a cassatedde ripiene di ricotta e ricoperte di glassa bianca e decorate al centro da una ciliegia candita, che le donne di Catania preparano in onore di S,Agata, Patrona di Catania.
2 Nel noto quartiere della Kalsa.
3 Ammalate, colpite da malattie.