Il film di Bellocchio del ’65 è un bellissimo film. Tristissimo, bisogna dirlo, ma al contempo sopportabile per i suoi incredibili lampi di crudeltà vs. sensi di colpa, vividi squarci di una società in disfacimento. La scena è rappresentata nella campagna del nord Italia in una grande casa abitata da una famiglia borghese, quattro figli e la madre. Un film che ricorda due pellicole: una precedente Germania Anno Zero (Rossellini) e una successiva Bianca (Moretti) che sintetizzano due tematiche qui presenti: l’indifferenza di chi ti circonda e il narcisismo spietato.
Non appare né si sa niente del padre, il capofamiglia che ha lasciato da sola nella sua cecità, la madre dei quattro ragazzi, oramai adulti. Augusto, il più grande, ne prende il posto con la sua aria totalitaria e superiore. Giulia è l’unica figlia femmina, ha un rapporto morboso nei confronti di Augusto. Alessandro è il terzo, vive in una condizione di inferiorità rispetto ad Augusto, è depresso, dispettoso. L’ultimo, non a caso, Leone, è malato, soffre di epilessia, non conta un granché nell’economia familiare. Come società in miniatura questa casa non offre spunti positivi di maturità ed al contrario sembra rivelarsi una prigione di disadattati, annoiati, passivi ed ininfluenti.
Il momento topico della quotidianità di ogni famiglia è quello del pranzo, da lì si possono individuare le dinamiche generali dei rapporti tra i vari componenti.
Ecco come qui si svolge:
Augusto entra nel salone dove è apparecchiata la tavola, Giulia richiama la madre e dopo la preghiera si ricade nel silenzio interrotto dal miagolio del gatto che salendo sulla tavola mangia dal piatto della madre, dal rimprovero di Ale nei confronti di Leone che succhia il brodo, dal litigio di Giulia e Ale interrotto da Augusto. Non c’è gioia, né tristezza, prevale questo limbo compassionevole in cui non c’è confronto ma solo la sfida e la dinamica tutta istintiva di prevalere sull’altro.
Costrizioni ed impedimenti sono quelli che dominano il naturale corso delle cose, dalla figura imperante di Augusto all’invalidità della madre e del figlio minore .
Altro momento di unificazione familiare è rappresentato, con un certo retrogusto macabro, dal 2 novembre, il giorno dei morti, in cui ogni anno la famiglia si reca al cimitero. Tutto si svolge in maniera del tutto lontana dai sentimenti e dalla partecipazione emotiva (solo la madre ne sembra interessata). Tutto passa, in attesa che un evento tragico cada dal cielo e cambi la vita di ognuno di loro.
Questo non prendersi la responsabilità, anche nei momenti più tragici e questo non acchiappare con le mani quello che si vuole porterà ad un’ironica e divertita anarchia (che ricorda l’infanzia) per poi prendere le sembianze di una commedia dell’orrore dove ognuno come di regola avrà l’onere di indossare la maschera del carnefice con le armi dell’egoismo più sadico.
Invitando alla visione di questo film e poi anche degli altri due che ho citato (si tratta di grande cinema, eh!) ho volutamente cercato di celare le parti salienti tentando di usare un punto di vista un po’ esterno per sottolineare la contemporaneità di certe tematiche e/o certi disturbi dell’individuo alle prese con i fattori di crescita e di confronto sano con gli altri.
E poi spiegatemi perchè il protagonista usa a volte mangiare un cucchiaino di zucchero.. che ricorda lo strano rapporto con la nutella del Nanni Moretti di Bianca.