Un siciliano che arriva a Vienna “tocca” e “vede” subito il silenzio.
Dopo il silenzio, “sente” la compostezza, l’ordine, la tranquillità e il cielo plumbeo che gli risuonano nella pancia come grancasse ammutolite. E ovviamente, sente freddo.
Sono arrivata a Vienna in una giornata di agosto “meravigliosamente” piovosa, e in fondo le città continentali ti accolgono così, in modo un po’ soft ma sempre un po’ stupendoti, visto che hai lasciato almeno 36° a Palermo e sei salita sulla scaletta dell’aeroporto temendo di non riuscire a toccare l’ultimo gradino perché prima saresti svenuta (e quindi rotolata giù) per il caldo.
Lì, invece, la gente ha la pioggia per amica, si lascia bagnare placida e veloce insieme, non apre l’ombrello; in fondo, è quella la loro estate e i viennesi la accettano seraficamente, soddisfatti anche solo di non dover mettere maglioni su maglioni per uscire in mezzo alla neve.
E nessuno impreca per strada, né urla; tutti parlano così a bassa voce che la città – a meno che tu non sia in perfetto centro – sembra quasi morta. Il grigio del cielo collabora ad accentuare la nefasta sensazione, tanto che io – donna sicula al 98% – appena giunta nella capitale dei primi sovrani illuminati ho avuto un attacco di ansia da perdizione silente-nuvolosa.
Sarà stata l’assenza del sole, il silenzio da funerale che per loro è fondamentale mentre a noi è altrettanto estraneo, e un po’ anche la trepidazione di esplorare territori nuovi rimanendo a bocca aperta di fronte a un volto, un rumore, un cielo diverso.
Eppure, dopo il primissimo panico, quest’ansia sicula non altrimenti specificata è stata metabolizzata, ha invaso il mio corpo sotto forma di voglia di stupirmi dell‘altro da me e mi ha permesso di guardare la città con gli occhi dello straniero che vuole divertirsi, bere, mangiare sentire tutta la perfetta estraneità del luogo, che se ne fa carico e la osserva, la sente nello stomaco e infine la digerisce soddisfatto.
Non ho voglia di parlare degli scintillanti barocchismi di Vienna e dei suoi composti neoclassicismi.
Non ho voglia di descrivere le regge degli Asburgo, la compostezza dorato-spontanea della città, i musei enormi o le mille iniziative.
Piuttosto, ho voglia di dire della poli-multi-etnicità in cui asiatici di ogni tipo passeggiano accanto ai siculi, ai polentoni e agli arabi con turbanti e burqa; in cui la gente è così riservata che se la guardi per troppo tempo si offende e ti manda a quel paese; in cui i chioschetti taiwanesi aprono e proliferano accanto a quelli di tipici wurstel dell’Österreich.
Ho voglia di dirvi di quanto possa essere sereno ed eccitante insieme passeggiare ed esplorare una città che ti accompagna nel tuo psicoviaggio in tutti i modi in cui può: offrendo biciclette gratuite, posizionando nelle piazze principali distributori d’acqua, curando i suoi spazi, organizzando un sistema di trasporti impeccabile che in 5 minuti è in grado di portarti da un capo all’altro della città. Per farvi capire l’efficienza di questa città, vi basti pensare che io ho perso i documenti a Vienna, erano le 14 e dovevo recarmi a rifare documenti entro le 16; pensate che se fossi stata in Italia, spostarmi in 2 ore tra municipi e consolati sarebbe stato così facile? Probabilmente sarei ancora a Vienna ad aspettare un visto, se Vienna fosse l’Italia (proprio come due ragazze di Prato che ho incontrato due giorni fa al municipio di Palermo, che non sono riuscite a partire perché il comune di Prato da giorni non era in grado di mandar loro un fax con il nulla osta!).
E poi i parchi.
Ho voglia di parlarvi dei parchi, perché non mi sono mai resa conto come in questo viaggio di quanto sia fondamentale essere pieni di verde anche nei luoghi in cui si svolge la frettolosa quotidianità. I viennesi amano i loro parchi. Gente di tutte le età e di tutti i tipi (non solo bambini, coppiette e anziani come qui!) va lì, si rilassa, legge, osserva, pensa sul “quack” delle papere e sul “cra” dei corvi, ascolta musica e prende il sole. E’ stato bello sentirmi felice e libera di fermarmi, di rinunciare a qualche museo per passeggiare al Prater, al Donau Insel o a Stadtpark, di sedermi e di riuscire a sentire tutto quello che avevo in testa senza la fretta di fagocitare il tutto che troppo spesso anima le vacanze, di toccare l’erba umida sotto le mani, i piedi e le cosce. …E’ una possibilità di riconciliazione tra te, il vecchio e il nuovo quella che vivi in posti come questi. (E forse un palermitano sarebbe una persona migliore se avesse anche solo un terzo dei parchi di Wien?)
Vienna per me è stata la città in cui puoi essere in grado di mescolare tutto, di prenderti il tempo che vuoi, di ricordare i profili della tua cattedrale di fronte a un duomo di infinite fatture gotiche che potrebbe al contrario sollecitarti la fuga.
Apertura verso nuovi pensieri, nuovi spazi esteriori-interiori che rendono il viaggio è una metafora attraverso cui allontanarsi dai binari noti, dai nostri confini mentali, per ritrovarsi vivi.
Questo è quello che sentivo davanti a ogni nuovo tipo di wurstel e di strudel, a ogni nuova via, a ogni nuovo mercato e a ogni nuova pioggia che mi batteva sui capelli appena asciugati: movimento umano, ricerca di altro da sé e immersione dentro di sé, balzi in avanti, in un continuo procedere curioso che è evoluzione.
Non si può viaggiare impauriti, contratti, restando fermi dentro. Se ci si ancora alle proprie abitudini, se non si vuole assaggiare il sushi, il seitan, il pretzel o il quark si fa resistenza al nuovo, si filtra tutto, non si lascia entrare niente e si torna a casa uguali a sempre, e spesso insoddisfatti.
Questo non è veramente “andare”, lasciarsi andare.
E diciamola tutta: Vienna, così composta, inquadrata nei suoi ritmi, nei suoi orari di apertura e chiusura dei negozi che non sforano le 18, rischia di fagocitarti in una routine veloce e immobile… ma apparente! Perché in realtà questo è solo il mezzo efficientissimo grazie al quale hai tutte le possibilità per arrivare al resto, alla conquista dei mezzi per muoverti dentro e fuori e per guardare ogni chiesa, ogni piatto di gulash, ogni stravaganza secessionista, ogni nuovo frammento del Danubio, ogni capolavoro di Klimt, di Schiele e di Kokoschka, la casa del mio amato Freud ed ogni parco con gli occhi di chi vuole andare oltre i singoli punti di una parete e di un quadro.
Emozioni pure, dolci, scorrono ancora in lenta endovena.
E non si sarà più gli stessi, poi, se è così che avrai guardato.
(Danke.)
*Dal tedesco “tempeste ed emozioni”
Insomma…da tornarci a Natale ;)
Si percepisce che questo articolo è molto sentito, e poi è vero: viaggiare è aprirsi solo se ci si immerge e ci si lascia trasportare dal nuovo contesto, senza ancore culturali ma solo con curiosità e sensibilità per tutto ciò che è nuovo!
bello :)
grazie (: