Palazzo Comintini, un tempo sede della Prefettura e dell’Alto Commissario per la Sicilia, ospita oggi una lapide con i nomi di chi il 19 ottobre del 1944 ha calcato le strade della nostra città affamato e davanti a quel palazzo ha trovato la morte. La data a molti non ricorderà nulla, solo un giorno qualunque nelle nostre vite che vanno avanti tra doveri e divertimenti, tra strade sempre uguali, viste e riviste.
Ma il 19 ottobre del 1944 quelle stesse strade, oggi affollate da gente di corsa, sono state attraversate da palermitani affamati, uomini senza neanche un pezzo di pane, in un’Italia martoriata e dilaniata dalla guerra: nella zona settentrionale si combattevano i tedeschi mentre Palermo vede ancora fumare le sue strade, sventrata e affamata.
È il 19 ottobre del 1944 e un corteo parte da Piazza Pretoria, ci sono giovani, uomini, disoccupati e lavoratori, la città quel giorno è deserta, vi è uno sciopero generale, contro il carovita, contro l’insopportabile arroganza di chi ha sempre la pancia piena. Partono da Piazza Pretoria, li anima la consapevolezza di non potere andare avanti senza mangiare, senza vestiti, senza pane. E tra quelle strade deserte è proprio questa la parola che risuona, che si fa voce del popolo, al grido “Pane!”. Quella Palermo del secondo dopoguerra si porta tra le sue vie, gridando la propria fame, la propria disperazione, indignata, fortemente indignata e offesa, tra ferite e ricordi di parenti, figli, mariti e amori persi per sempre tra fuochi lontani o troppo vicini. E una tavola vuota su cui neanche trovare la consolazione di un pezzo di pane, di un piatto di pasta, un dolore vuoto e freddo, quando davanti ai loro occhi quei mai estinti “Vicerè” ingrassano le pance e allargano i vestiti.
E uniti in marcia, mettono un piede dietro l’altro e scendono le scale di quella bellissima piazza, si immettono in quella via della nobiltà che il Duca di Maqueda fece costruire secoli prima e lo splendore dei palazzi guida il corteo del popolo, lo conduce quasi a guardarlo dall’altro entrare nelle sue viscere, uscire dalle carni di quella nobiltà marcia, dai vicoli di una Palermo che vive dietro i palazzi, tra il pesce e la carne del mercato, nascosta tra i suoi fumi ancestrali.
A gran voce il grido “Pane!” si diffonde tra le ricche costruzioni e si fa strada verso Palazzo Comitini, sede della prefettura, ma ad accogliere quella gente non c’è nessuno, la loro rabbia spaventa il viceprefetto e i poliziotti lì a guardia dell’istituzione, così lo scalpitare affamato spaventa chi dovrebbe solo stare ad ascoltare, senza timore, con la consapevolezza dell’ emergenza che quella città stava vivendo. Ma non è andata così, arrivano, per fronteggiare il corteo degli indignati di quel secondo dopoguerra, 50 soldati del 139° fanteria “Sabaudia” guidati dal sottotenente Calogero Lo Sardo. L’indignazione della gente diventa rabbia feroce, l’emergenza sociale diviene violenza e lotta disperata. La folla lancia sassi contro le forze dell’ordine, le quali risponderanno lanciando bombe a mano e sparando ad altezza uomo: 24 morti e 158 feriti. Questa era la Palermo del 1944, questo è ciò che il silenzio per tanti anni non ci ha fatto conoscere, la storia di chi non si arrende alla fame. Leggere l’elenco delle vittime fa riflettere, sia per quell’eroico passato per tanto tempo nascosto sia perché mai come oggi possiamo capire lo stato d’animo di chi nel 1944 è sceso in piazza, noi, come loro alla ricerca di quel “pane” per sfamarci, di un futuro e di giustizia, oggi come ieri chiediamo di essere ascoltati, di poter dare voce alla nostra indignazione, stanchi di arrancare nella ricerca di un futuro.
Chi quel giorno è morto non era un supereroe, non era un paladino della giustizia, era solo un uomo stanco di sentirsi ignorato, di soffrire perché troppo debole in una città, in una nazione che ascolta solo il più sazio e fa morire l’affamato. Ecco i nomi di chi il 19 ottobre del 1944 scese in piazza a chiedere ciò che gli spettava di diritto: Giuseppe Balistreri, 16 anni – Vincenzo Cacciatore, 38 anni – Domenico Cordone, 16 anni – Rosario Corsaro, 30 anni – Michele Damiano, 12 anni – Natale D’Atria, 28 anni – Andrea di Gregorio, 16 anni – Giuseppe Ferrante, 12 anni – Vincenzo Galatà, 19 anni – Carmelo Gandolfo, 25 anni – Francesco Gannotta, 22 anni – Salvatore Grifati, 9 anni – Eugenio Lanzarone, 20 anni – Gioacchino La Spia, 17 anni – Rosario Lo verde, 17 anni – Giuseppe maligno, 22 anni – Erasmo Midolo, 19 anni – Andrea Oliveri, 16 anni – Salvatore Orlando, 17 anni – Cristina Parrinello, 61 anni – Anna Pecoraro, 37 anni – Vincenzo Puccio, 22 anni – Giacomo Venturelli, 70 anni – Aldo Volpes, 23 anni.
Brava. Mi ha emozionato. Vedo la gente smagrita, quasi bavosa di fame che lotta per la vita o per la morte. Leggo di bambini, di giovanissimi e anche di 2 anziani, e questo mi fa capire il tipo di partecipazione disperata e corale.
Ma noi? …Noi non siamo veramente affamati e forse mai lo saremo, perché la povertà oggi è diversa: abbiamo le menti vuote o frustrate, ma non + le pance vuote (se non in sparute minorante e in Africa). Forse questo è il nostro “male”. Come ci dice anche Maslow nella sua piramide, i bisogni fisiologici sono i primari e almeno quelli sono oggi soddisfatti, così non siamo spinti dalla morte che ci sta alle calcagna a lottare in modo sensato, e produttivo. Immobili.
A qualche anno di distanza, trovo in posta un sentito ringraziamento per questo testo:
Oggetto: Ringraziamento
Testo: Grazie per aver ricordato le vittime di quel 19 ottobre del’ ’44. Un bellissimo articolo che fa i nomi delle persone innocenti, massacrate dalla furia omicida di chi comandava quei soldati. Il primo della lista era mio zio: Giuseppe Balistreri, caduto a 16 anni!