Quando uscì Tanguy al cinema, il compianto Padoa Schioppa non aveva ancora coniato il termine “bamboccione”, termine con cui intendeva prendere di mira tutti quei figli di mammà che non volevano schiodarsi da casa manco a cannonate. Forse il sugo buono, le lenzuola sempre fresche, l’armadio pieno di camicie stirate e inamidate spingono i non più giovani a rimanere nel proprio nido domestico. Capita così che fior fiori di uomini di quarant’anni con una carriera avviata, un buon stipendio, una fidanzata paziente, fatichino a spiccare il volo.
Tanguy, il protagonista dell’omonimo film francese del 2001, è un giovanotto occhialuto, allampanato, timido e insicuro, con due genitori sprint desiderosi di liberarsi del delizioso frugoletto di quasi trent’anni. Ci provano in tutti i modi e quando pare che ci siano riusciti (il nostro eroe parte per Pechino per seguire chissà che studi) il pargoletto decide che vuole tornare da mammina e papino, con grande disappunto dei genitori, che pregustavano già una nuova vita di coppia e che invece si ritrovano di nuovo il figlio fra capo e collo.
Questa è la fiction. Ma in Francia, come in tutto il resto d’Europa, la condizione del bamboccione è quasi inesistente o comunque poco comune. I ragazzi lasciano la casa paterna subito dopo le scuole superiori e conducono una vita del tutto indipendente dal nido materno.
Forse Tanguy fotografava una realtà isolata, per questo fece tanto scalpore.
In Italia, la dimensione del bamboccione è invece la più diffusa. Un vero e proprio fenomeno di costume, come si dice in questi casi. Ma da cosa dipende questo “strano” fenomeno? Di certo le ragioni sono anche di ordine pratico; il precariato in questo senso ci ha messo del suo per far sì che sempre più giovani e non decidessero di rimanere a casa coi genitori: affitti troppo alti e surplus di spese che riducono un già magro stipendio in pochi spiccioli. Da questo dipende anche la carenza di matrimoni, la crescita zero e chi più ne ha, più ne metta.
Sì, questo lo considero un deterrente; ma fino a un certo punto, perché tale situazione dipende anche da un certo retaggio culturale diffuso soprattutto al sud, prendo me come esempio lampante: decido che dopo la tanto sospirata laurea voglio andare via di casa, lo comunico ai miei con molta calma: PANICO, giuro, panico puro, lo leggo nei loro occhi, anche se con le parole mi sostengono, mi dicono “sì, noi ti appoggiamo…” Ma.
Un “ma” aleggia nell’aria, non riescono a dirlo ma io so già che le loro menti vanno al rallentatore e pensano: ehi, ma se lei va via di casa, non si fidanzerà mai, andrà a convivere con qualche balordo e di sposarsi non ne vorrà mai sapere; e poi, noi siamo avanti con l’età, saremo soli. SOLI. …Il contrario di quanto accadeva coi genitori di Tanguy, che invece agognavano una rinnovata vita a due.
Non credo che questo sia un pensiero solo dei miei genitori; sono convinta che la maggior parte di genitori più o meno aperti sentano il distacco dal figlio come un tradimento, come un abbandono. E quasi quasi, tu, figlio, finisci col sentirti in colpa.
Per questo sostengo con forza che il fenomeno dei bamboccioni dipenda anche da questa forma di amore/possesso che i genitori esercitano su noi figli che sentiamo l’esigenza di andare via, di spiccare il volo, ma che nello stesso tempo siamo frenati, perchè abbiamo paura e ci sentiamo in colpa. Allora ecco che lì i genitori tentano di aprire un varco fra il senso di colpa e la voglia di scappare, esercitando la loro personalissima patria potestà, cominciando a fare del terrorismo spicciolo, tipo: “ah, ma se non trovi lavoro, torna subito, se ti finiscono i soldi, non te ne mando, se non trovi casa, torna a casa”. Insomma, una lotta estenuante fra te che vuoi andartene e loro che ti tengono per i piedi.
Esistono invece situazioni limite, come nel caso di quel padre che ossessionato dalla presenza costante del figlio che lo denuncia adducendo come spiegazione il suo essere un bamboccione cronico che pretendeva addirittura una “paghetta “ di mille euro al mese. Caso limite, certo, ma come si gestisce una situazione simile? Che si fa? Davvero si agisce per le vie legali senza avere rimorsi di coscienza? Boh, da figlia mi sentirei umiliata nel chiedere una tale cifra a mio padre, così a cuor leggero. Ma torniamo al discorso di sempre: che grado di sopportazione si può avere in questi casi? Fino a che punto si tratta di pigrizia, indolenza e reale necessità? E quindi chi lo fa per indolenza come fa a sopportare un tale peso? Per non parlare di chi rimane a casa per necessità, si sentirà una nullità. Ecco, sta qui la differenza sostanziale, tra lo scegliersi una situazione e il subirla.
Ricordo che il famoso appellativo coniato da Padoa Schioppa ai tempi suscitò un grande scalpore, ci sentimmo tutti colpiti da questa accusa lanciata niente meno che dal ministro dell’Economia. Ci sentimmo tutti vulnerabili e forse anche un po’ in colpa (io ai tempi ero ancora una giovincella, potevo ancora permettermi di rimanere a casa!), e forse è giusto che sia così, perché a mio avviso chi rimane a casa lo fa per vigliaccheria mista a insicurezza. Diciamolo, stare a casa è comodo, non ci sono ma che tengono, mentre vivere soli è faticoso e comporta una certa dose di coraggio; per certi versi, lo stipendio misero è solo un alibi dietro al quale ci si nasconde. Forse non sappiamo adattarci alle situazioni e preferiamo rifugiarci tra le braccia sicure di mammà. …Per quanto farci chiamare bamboccioni sembra indignarci sul serio, nella realtà, pesa alzarci dal desco familiare e dire ad alta voce: “IO NON CI STO! Preferisco fare sacrifici, ma crescere finalmente”.
Probabilmente, questo mio discorso offre il fianco a polemiche senza fine; forse la mia visione è da illusa ma preferisco dire “chi sacciu, che dire, chi sapia”*.
E io speriamo che me la cavo.
* Modo di dire siciliano: “è meglio avere rimorsi che rimpianti”.
Beh, sentirsi chiamare Bamboccioni da un (compianto?) banchiere ricco sfondato figlio di assicuratori fa un certo effetto…
il compianto era ironico..ahahahaha …
Ahahah quanto è vero…
“affitti troppo alti e surplus di spese che riducono un già magro stipendio in pochi spiccioli. Da questo dipende anche la carenza di matrimoni, la crescita zero e chi più ne ha, più ne metta.”
Questo lo hai aggiunto dopo aver parlato con me?:D
Comunque mi piace molto, al di là del tema specifico, la chiusura del tuo articolo:
<>, massima che andrebbe applicata in tutti i campi della vita.
Tornando al tema specifico, tu dici giustamente di lasciare il nido e abbandonare le comodità. Pienamente d’accordo ma solo se si parte con un progetto preciso e con qualcosa già in mano e la nuova vita e il nuovo nido uno se li mantiene da solo o con un minimo aiuto iniziale dei suoi, che può continuare parzialmente finchè il quadro non si definisce, ma se si deve partire in cerca non si sa bene di cosa e per un periodo tanto indeterminato quanto lungo ci si fa campare dai nostri fuori invece che a casa per me si è in uno status anche più comodista (nonché più oneroso per i nostri) di quello del bamboccione.
Non mi è comporsa la citazione finale della tua massima in dialetto. Ovviamente mi riferivo a “Preferisco dire chi sacciu che dire chi sapia”.
be’, partire all’avventura è da stupidi….ovvio che quanto meno devi avere un’appoggio inziale, perchè altrimenti è come scalare una montagna. Poi il resto viene da sè……… =)
Angelo, perché sei tu: “Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est.” (Seneca)
Ottima citazione, Michele
sono andata a leggere la traduzione della citazione (ahimè, ho delle latin-lacune.) e devo dire che è piuttosto calzante come citazione…=)