Coinquilini – la micro-comunità del vivere fuori di casa

Una cucina in comune, un cesso in comune e un corridoio in comune. Vivere assieme a qualcun altro è un’esperienza tanto esaltante quanto stressante. Una comunità tutta nuova dove diventare consapevole della propria personalità tra spazi condivisi con altri. Dove sviluppare i propri limiti e capire, se lo si vuole, cosa si riesce a fare per il bene proprio e per quello del vicino di stanza. Quando si decide di abitare lontano dalla propria famiglia si deve optare innanzitutto per scelte ben precise: in quale zona andare a stare, con chi stare e per quanto tempo. Dopo un paio di chiacchierate con amici e parenti, il primo e l’ultimo punto sono piuttosto facili da raggiungere.

All’avventura, invece, può capitarti di tutto, basta saperlo che c’è un’alta percentuale di rischio. All’avventura, intendo, è cercarsi un posto completamente sconosciuto, con gente nuova: prendi annunci come se fossero carta salvifica e inizi a chiamare prima quelli meno convincenti, sapendo di cestinarli subito.  Ti prepari una lista di cose da chiedere per telefono, assolutamente prima di spostarti il sederino da casa e solo se c’è vero interesse nelle condizioni descritte dal padrone di casa, inizi, con cartina alla mano, a visitare probabili appartamenti che offrono probabili stanze singole, sperando che siano invitanti, convenienti, con finestre, ammobiliate e con individui almeno all’apparenza accettabili. Ad aprirti la porta è un signore o, ad esempio, una vecchina tanto simpatica ed esperta in questo tipo di affari, che ti descrive la casa e i suoi abitanti in maniera sorridente, ti mette a tuo agio; tu pensi che vada bene, finché non vedi la stanza dei tuoi peggiori incubi: una 5 x 4 m² senza finestra. Luce gialla. Letto. Comodino. Armadio non pervenuto nella mia memoria. Prezzo? Esorbitante per una catapecchia da raggiungere in alto ad un palazzo senza ascensore. Insomma “Ciao, ciao signora simpatica e gentile”.

Assolutamente è impensabile riuscire a trovare la perfezione, ma almeno un minimo di accettabilità è richiesta.

Quando finalmente trovi una sistemazione, il prossimo obbiettivo è ambientarsi.

Coinquilini

Sono gli esemplari della specie umana che ti fanno spesso capire che il mondo è davvero diverso dal quello che appare ai tuoi occhi, che anche se ti trovi in una grande città, ci possono essere “giovani” abitanti di essa che mai e dico mai lasceranno il proprio paese d’origine per le attrazioni del venerdì o sabato sera, per le innovative realtà culturali e sociali che mai più (forse) potranno avere a disposizione. Sono studenti che tornano a casa puntualmente il venerdì, che hanno amici e zite al paesuzzo, le quali non accetterebbero di buon grado un non-ritorno in patria per il weekend. Poi ci sono quelli che invece al paesuzzo non ci tornano mai e quasi lo desidereresti per quanto rompono i balloons. Quelli che sporcano di continuo e nascondono altrettanto i loro misfatti: è rimasta nella leggenda una larga macchia di caffè celata sotto la pattumiera; altre imprescindibili lordure sono: le chiazze di piscio sulla tazza come se nessuno avesse un culo da poggiare prima o poi o la megagalattica rasatura della peluria delle gambe in piena cucina che mai ebbe una spazzata, nemmeno leggermente improntata. Poi ci sono quelli che ci provano a pulire, ma lasciano sporco. Che gli dei degli inferi abbiano pietà di loro. Poi ci sono quelli che dal paese rivelano le asprezze della lingua, l’entroterra nisseno è proprio ciò che ci vuole se vuoi percepire alcune somiglianze col calabrese. Ma i peggiori non sono quelli che votano a destra, gli ingegneri, i muti asociali, i puzzoni (che dopo anni t’incolpano di robe mai vere), i cocainomani, no. Sono i padroni di casa o i parenti di essi che abitano con te. Mai fare questo errore. Che mi fulminino la prossima volta che accada.

Osserveranno ogni minimo tuo gesto e un bel giorno, aspettati che ti sputeranno in faccia la cruda verità, l’odio nei tuoi confronti per come hai trattato la loro dimora.

Ingrato coinquilino dei miei cojoni e padrone de sto c…. .

È proprio qui che si perde ogni minimo accenno a una micro-comunità costruita assieme, passo dopo passo, mattoncino dopo mattoncino, rispetto dopo rispetto. Una casa è costituita da più di quattro mura e se vuoi starci bene davvero, devi sapere che per condividere cucina, cesso e corridoio, devi tenere a mente delle regole. Te come gli altri. Che se paghi una quota al mese hai dei diritti ben precisi. C’è persino il sindacato dei coinquilini con tanto di sito web.

I doveri sono una cosa un po’ più ardua, perché non sono scritti da nessuna parte. Basterebbe il buon senso, ma si sa che tra gli uomini ciò non serve dirlo a voce. Ci vogliono le firme, i contratti, i patti col sangue. Eppure in una casa puoi comunque starci bene, accettando che il resto della comunità si faccia gli affari propri ogni dì. Solo che è una contraddizione. Stare assieme vuol dire parlare e confrontarsi per forza di cose, anche sulla monnezza da buttare. E quando manca questo, praticamente stai in pratica da solo, tranne quando saluti di sfuggita il coinquilino del momento che intravedi di passaggio. Eppure l’importante è provarci: chi entra in una nuova comunità ha il dovere di capire i connotati di una “nuova famiglia” che lo aspettano e di presentare i propri.

La micro-comunità deve pur nascere in qualche modo. Ma puoi beccare quelle strane abitazioni dove vige l’assenza di regole e in cui non sembra che si voglia migliorare una situazione a dir poco arcaica e stagnante. No, non sono i paesi d’origine, non voglio dire questo, certe tradizioni popolari hanno più rispetto per la persona che molti modi di fare della città. È l’educazione di certi individui e il loro sguardo nei confronti dell’altro.

La comunità quindi decade, come in politica o in qualsiasi altro ambito sociale, quando manca il dialogo, delle regole condivise e una normale propensione al rinnovamento.

E dopo tante avventure e qualche amaro in bocca, ti rimane la voglia di scrivere dei racconti esilaranti, anche se non ne sei in grado, perchè i coinquilini che hai incontrato nel bene e nel male, che con te hanno vissuto archi di tempo più o meno lunghi, avevano ognuno dei tic e dei modi di fare assolutamente bizzarri che ti hanno fatto sospirare almeno una volta qualche incredulo “mah!”.

Da dove sono usciti questi qua? Ma lo sanno che vuol dire stare in una casa insieme ad altre persone?”

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