di Maria Cristina Di Rocco
Due enormi navi bianche tagliano l’orizzonte e si avvicinano al porto come maestosi palazzi galleggianti. Minuscoli puntini colorati si riversano sul ponte per vedere dal vivo la città che molti descrivono come una cartolina che non deve mai essere guardata troppo da vicino.
Ed eccoli quindi ammirare spaesati l’imponente castello angioino, la schiera di palazzi sulla destra, quel golfo che, come una bocca, sembra sorridere e allo stesso tempo li inghiottisce; la piazza che si stende come un tappeto di macchine e cantieri eterni e termina con l’edificio del Municipio.
Ecco alle sue spalle la collina del Vomero e quel castello bianco che guarda la città dall’alto e questa gli restituisce lo sguardo con ammirazione. Ecco Napoli. Ecco settembre, file di macchine di chi riprende il lavoro dopo le ferie, traffico di persone, veicoli, voci, rumori nell’animata zona del porto. Ecco finalmente i turisti che attraccano e si preparano a scendere, a curiosare o ad allontanarsi verso la storica Pompei, l’ambita Capri, l’affascinante penisola amalfitana.
Chiamiamolo José. Lo chiamiamo così perché José è un bel nome. Ma potrebbe chiamarsi François, George, Ian o, perché no, Ludwig.
Josè è un uomo di mezza età, abbastanza in carne, abbastanza pelato. Ha uno spirito allegro, ottimista e curioso. Fa l’imprenditore agricolo nel suo paese, guadagna, ma non troppo, quanto basta per regalarsi un viaggio a fine stagione con la donna che è sua moglie da trent’anni. Sua moglie è rimasta in cabina perché ha sofferto il mal di mare durante la traversata da Barcellona, nonostante il mare fosse liscio come una tavola, e non se l’è sentita di avventurarsi in città, tanto più “in una città come questa, pericolosa, sporca e… ”. Come sempre Josè ha incassato il pessimismo nero di sua moglie, le ha sorriso e le ha detto “Riposati cara, vedrai che non è così terribile, ti porterò un regalino”. E così, maglia bianca e calzoncini azzurri, zainetto e cappellino per proteggersi dal sole ancora caldo dell’interminabile estate napoletana, Josè saluta la consorte e si appresta a scendere dalla nave da crociera.
Il molo crocieristico di Napoli è davvero stupendo. Essendo la prima volta che visita il capoluogo campano, Josè non l’ha visto qualche anno fa, quando era ancora spoglio e i negozi erano in tutto tre, quando l’aria condizionata non funzionava e si gelava d’inverno e si soffocava nell’afa estiva; quando c’era solo una macchinetta per il prelievo di contanti e nessun bar. Questo mini-centro commerciale di supernegozi, di supermarche e supercaffetterie gli piace, sembra quasi un aeroporto. Napoli promette proprio bene! Uscito dal molo, Josè scarta l’idea di prendere l’autobus rosso, quello turistico, perché vuole fare una breve escursione a piedi e poi ritornare in cabina, e dimostrare a sua moglie che non è tutto vero ciò che si dice. Ha sentito di turisti aggrediti per orologi costosi, di gente che va in giro a vendere merce rubata, di borseggiatori così abili da riuscire a sfilarti il portafoglio dalla tasca dei pantaloni senza che tu te ne accorga minimamente… Ma a lui non succederà niente di tutto ciò. Non indossa nulla di valore, lo zainetto l’ha girato previdentemente in avanti e i pantaloncini… beh, non hanno le tasche. È ottimista sì, ma anche prudente.
Attraversato lo spiazzo antistante al Molo Angioino, Josè attende che il semaforo pedonale diventi verde. Ha sentito dire da altri crocieristi che se attraversi questo semaforo con il rosso vieni travolto perché tutti corrono come saette. Quindi sorride guardando quel fiume di macchine che resta paralizzato anche quando dovrebbe circolare.
Un’altra cosa che ha sentito dire è che a Napoli fanno tantissimi imbrogli, ma sfiziosi, intelligenti, quasi divertenti. Pare, per esempio, che siano particolarmente abili nel noto gioco delle tre carte, che avviene per strada, su tavoli di cartone improvvisati. Il banco, il croupier della strada, mischia tre carte e il giocatore deve indovinare dove si trova una in particolare (Josè non ricorda bene chi sia a sceglierla) e scommette dei soldi. Il trucco per cui il giocatore perde sempre Josè non lo conosce. Sa che a volte ci sono dei complici ad allargare il gruppo e a invogliare chi gioca. Sa che all’inizio sembra che vinci, ma poi dopo… Un altro imbroglio che fanno a Napoli, ha sentito dire, è la vendita di oggetti falsi, telefonini, orologi, addirittura netbook. Josè si è sempre chiesto come possa una persona non accorgersi che sta comprando un falso. Pare che si chiami “fare il pacco” ma chissà cosa significa… Lui non sarebbe tanto ingenuo.
Eccone uno. Attraversando rapidamente la strada, Josè vede sulla destra, all’angolo del marciapiede, un uomo sulla quarantina, capelli ricci, neri, impomatati di gel, occhiali scuri tipo Ray-Ban, jeans e un’improbabile giacca di pelle decisamente inadatta alla stagione. Al passaggio della ciurma di turisti apre e chiude rapidamente la giacca mostrando un tablet bianco e dicendo qualcosa che Josè, un po’ distante, non riesce a sentire. D’un tratto l’uomo si accorge che Josè lo sta fissando e gli si avvicina sorridendo. Il turista si guarda intorno e cerca di farsi strada tra i numerosissimi passanti che confluiscono per quella strada. Ma è troppo tardi, l’uomo gli è ormai accanto: Josè sospira e si prepara a respingere l’assalitore.
“Ciao amico! Spagnol? English? Doich? Sei italiano?” chiede l’uomo, sempre sorridente.
Josè ci mette qualche secondo a rispondere. Poi opta per l’italiano: una sua zia, appassionata di Dante, glielo aveva fatto studiare quando era bambino e qualcosa se la ricordava. Josè non avrebbe mai immaginato che gli sarebbe tornata utile questa piccola eredità, tanto meno per controbattere le “ottime” ragioni di un venditore fasullo.
“I – italiano” articola timidamente.
“Amicoooo miooooo!!! Comm’ sì simpatico!!!” ruggisce l’uomo. “E sei pure troppo fortunato perché mi hai incontrato a me” aggiunge sogghignando. Poi, senza quasi riprendere fiato, prosegue: “Guarda amico visto che mi sei simpatico e parli pure italiano ti voglio fare un regalo, guarda un po’ qua.” E socchiude guardingamente il giubbotto mostrando a Josè un I-Pad nuovo di zecca. “Questo è nuovissimo, mai usato lo vuoi provare?” continua il venditore. Josè è riuscito a vedere bene il tablet, sembrava perfetto, nuovo, con tanto di pellicola protettiva sullo schermo. Un piccolo piacere che il buon uomo si concede di tanto in tanto, è una partitella a Poker con alcuni suoi amici, giusto per il brivido dell’emozione, per il gusto della sfida. «Ok» pensa, «Tutt’al più gli dirò di no. Andiamo a vedere. Chip!» e annuendo segue il venditore in un vicolo ombroso lì accanto. Qui l’individuo si sente libero di sfilare il tablet dalla giacca e lo mette proprio in mano a Josè, dicendogli “Provalo, provalo! Guarda, funziona, è nuovo!”. E comincia a spiegargli tutte le caratteristiche – 32 giga, Wi-fi – mentre lo stesso turista armeggia con i polpastrelli sullo schermo. Ed effettivamente a Josè sembra che sia proprio nuovo e originale, è l’originale, ultimo modello, praticamente mai usato. Sarà rubato? Josè decide di vedere cosa s’inventerà lo pseudo – venditore.
“Tu come hai questo? È rubato?” gli chiede mettendogli l’oggetto sotto il naso.
L’uomo impallidisce, ma dissimulando, alza le mani e dice: “Rubato? Ma che dici qui non ruba niente nessuno!!! Ho la faccia di un ladro? Io sono un bravo ragazzo! Ho fatto una scemenza, senti, visto che mi sembri una brava persona, ti racconto tutto il fatto.”. E circondandogli le spalle con un braccio, lo guida ancora più internamente al vicolo, senza smettere di parlare. “A me questo coso mi piaceva assai, me lo sognavo la notte. Ma mia moglie, quelle le femmine sono tutte cacacazze, conosci questa parola?” Josè non ha il tempo di rispondere perché quello continua: “Certo che lo sai! Ho visto l’anello, sei sposato pure tu. Comunque mia moglie diceva che non me lo dovevo comprare perché i soldi ci servono, lei fa i servizi, cioè le pulizie, io faccio il muratore, teniamo due bambini e i soldi sono sempre pochi. Poi però ci siamo appiccicati, abbiamo litigato, e io per dispetto me lo sono andato a comprare. Mo’ però, se voglio fare pace, devo recuperare i soldi, altrimenti stasera è meglio che non mi ritiro a casa! Hai capito?” Josè ha seguito per sommi capi il logorroico discorso del suo interlocutore, ma ne ha capito il succo. Non crede alla storiella della moglie e dei bambini, anche se lui gli sta mostrando le foto di due ragazzetti abbronzati sullo stesso I-Pad. Andiamo, chi venderebbe un tablet con sopra le foto dei propri figli? E proprio mentre lo pensa, l’uomo comincia abilmente a schiacciare icone dicendo “Però adesso le cancelliamo eh? Allora ti piace? Lo vuoi fare un affare?” Il venditore torna all’attacco. Josè gli rivolge un’occhiata sospettosa, pensando «Chissà quanto mi chiederà?». Poi decide: “Ok” dice “quanto vuoi?”.
“Guarda”, risponde il “bravo ragazzo”, “proprio perché sei tu e mi stai simpatico, e oggi è la tua giornata fortunata facciamo 250 euro. Io l’ho pagato molto di più, ma almeno così mia moglie vede la buona volontà”. Sorriso a 32 denti.
250 euro!!! Per un congegno che costa quasi tre volte tanto!!! Josè è davvero tentato da quello che è evidentemente un grande affare, ma, trattandosi di un furbo che ovviamente l’oggetto l’ha rubato, decide di alzare il tiro: apre la zip dello zainetto, fruga qualche istante e ne estrae un mazzetto di banconote.
“Ti do 100. 100 euro”. Esclama con determinazione.
“100 euro???” Ripete l’uomo in jeans, incredulo. “Guagliò tu non stai bene, così mi offendi” continua strappando praticamente il tablet dalle mani di Josè, che resta sbalordito mentre l’altro si lancia in uno sproloquio in cui il povero uomo riesce a distinguere solo le parole “scatola originale”, “affare” e “coglione” mentre tira fuori uno scatolo e vi ripone accuratamente l’articolo, richiudendo il tutto in una busta di plastica bianca, di quelle che ormai sono fuori legge perché inquinano e non sono biodegradabili. “Ti saluto” sbraita infuriato verso José, scimmiottando un saluto militare, e poi, con la busta in mano si allontana verso l’angolo che dà verso la strada principale. Si ferma, si volta, dando le spalle al traffico, si appoggia al muro con la spalla destra, lo sguardo posato su Josè (che ancora lo guarda a bocca aperta), le gambe incrociate, dando l’impressione di riflettere. Poi con un guizzo, si stacca dalla parete, si avvicina sorridendo a Josè, lo afferra per un braccio e gli dice: “Va bene, visto che sei tu, va bene 100. Ma proprio perché mi sei simpatico. Però fai presto che me ne devo andare.” E già gli fa scivolare la busta bianca tra le mani mentre conta le banconote da 20 che il turista teneva ancora in mano. Saluta di nuovo Josè, stavolta con una stretta di mano e con un “è stato un piacere fare affari con te” e si allontana frettolosamente verso l’interno del vicolo, sparendo tra la folla.
Josè tarda qualche istante a riprendersi dalla rapidità di quello che è successo. Sorride soddisfatto guardando la busta bianca e pensando alla faccia che farà sua moglie vedendo questo regalino. Decide di provarlo subito, e si siede alla trattoria lì affianco. Scioglie il nodo della busta e prende la sottile scatola nera. La apre e con mani tremanti estrae lentamente, come trasognato, un fascio di cartone marrone piegato e schiacciato. Gira e rigira la scatola tra le mani: non ha nessuna scritta. Sobbalzando dalla sedia si guarda intorno alla disperata ricerca dell’uomo in giacca di pelle. Cammina fino all’angolo lato mare, si dirige verso l’interno. Poi sospirando si risiede alla trattoria. Ripone la scatola nella busta come l’ha ricevuta e la mette sul tavolino davanti a sé. E resta lì, il viso tra le mani, a contemplare il suo pacco…
La fronte è quasi schiacciata contro la finestra. La pipa pende dalle labbra che disegnano un sorriso amaro. “Che pezzi di m…”, pensa. Lo ha visto lui, da lassù quello che ha scambiato la busta mentre il truffatore era in piedi appoggiato allo spigolo dell’edificio di fronte. Ha visto tutto. E adesso guarda quel povero diavolo che come un cavallo pazzo percorre il vicolo in cerca di quello che l’ha fregato. Gli dispiace, certo. Prende le parti del povero turista truffato e pensa che altrove i turisti sono trattati con rispetto, con ospitalità, perché le persone capiscono che il turismo può fare la ricchezza di una località. Dà agli imbroglioni il merito di essere incredibilmente abili, ma che pezzi di m…! E lui potrebbe prendere il telefono e denunciare tutto. O scendere e dare aiuto al povero turista che se ne sta imbambolato a fissare il suo “acquisto”. Ma niente. Aspira ancora la pipa maneggiandola con delicatezza. Si gira verso il suo bell’ufficio. E se ne fotte.