Vaclav Havel, un castello, l’arte e l’Europa

Era il 1976, era una Praga grigia, sepolta dalla coltre del comunismo dell’ultima ora, quello di Gustav Husak, ma se ben vi foste messi in ascolto, oltre il rumore degli stivali dei militari, oltre il rumore pomposo delle parete, avreste potuto sentire il rock dei Rolling Stones, avreste sentito poesie di poeti “proibiti”, ragazzi parlare di teatro, cinema e musica di luoghi oltre le frontiere comuniste. Colore, psichedelico sotto il grigio di una Praga cupa, e così in clandestinità, tra le birrerie, nei vicoli più stretti, la città pulsava ancora dopo la sua Primavera, niente era morto, era lì, sotto la coltre di fumo, sotto la finzione del tardo comunismo, i colori e l’arte urlavano ancora più forte, in un mondo altro, pulsante.
Era, sempre il 1976, quando la ribellione nacque per la difesa della musica, di un gruppo, i “Plastic People”, quella stessa musica della clandestinità adesso difesa con i denti alla luce del giorno, la libertà dell’arte, la libertà della bellezza, impossibile da sacrificare: impossibile non ribellarsi.
Questa era Praga, la quiete che ribolle, al centro dell’Europa, pulsante, allontanata, fuori da un mondo che viene coltivato nelle sue viscere e che acquista suono di libertà, musica e parole, qui, sono la ribellione, qui hanno un valore differente, qui hanno il prezzo di ogni singolo individuo.
Tra le stradine di Praga, tra le birrerie e i teatri clandestini si muoveva Vaclav Havel, accusato di essere “nemico del popolo”, perché di famiglia borghese e così la sua formazione avvenne in quel “sottosuolo” praghese, così psichedelico e vivo.
Nella seconda metà del 1970, Havel era così famoso in tutta Europa per la volontà di volere liberare la sua terra da quel cordone rosso che la divideva da tutto il resto dell’Europa, liberare l’Europa dalla menzogna comunista. Così, quando nel 1977 venne arrestato, in tutta Europa vi fu una mobilitazione mai vista prima, di politici e intellettuali.
La sua lotta per la democrazia ha portato, vista la situazione del suo paese, a maturare l’idea di un’Europa unita così come lo era stata per difenderlo, un’Europa unita in un blocco di paesi che non crea esclusione, ma che dia forza a un’idea democratica, che includa. Un’Europa libera dal comunismo e dai nazionalismi.
Ricomposizione e dignità dei singoli, libertà e ricchezza della diversità in un progetto che mira all’accoglienza. Era il 17 novembre 1989, la rivoluzione di Velluto, gli studenti chiedevano la fine di un regime e la speranza di un’alternativa democratica, questo è il senso del loro slogan “Hevel al castello!”.
Ed Al castello vi arrivò, portando con sé quel sogno teatale di libertà e dignità dei singoli e trasformandolo in un sogno politico, collettivo: un castello, un uomo e la speranza che la finzione del teatro si trasformi in realtà, fino al 2003.

Un intellettuale, artista e politico che si spento, ricordando a tutti quanto di utile ci sia nell’arte e nella bellezza, quanto di pratico, di necessario per il destino degli uomini: l’impossibilità di guardare e non proferire parola.

Ecco perché un grande artista fu un grande politico.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.