Ogni anno nei canali televisivi e radiofonici ci ricordano costantemente di pagare il canone televisivo, detto anche Canone RAI giacché il ricavato di questa imposta viene versata interamente alla RAI, che non dimentichiamo essere una società per azioni.
Il canone televisivo si configura come una imposta sul possesso e risale al 1938, quando al posto della televisione c’erano le radio.
L’imposta sul possesso significa che solo per il fatto di possedere un televisore e avendo quindi la possibilità di vedere i canali RAI devi pagare una tassa. Avere un televisore significa comunque avere la possibilità di non vedere i canali RAI, ma questo allo Stato non interessa.
Questa imposta inoltre non è un’imposta con tariffe differenti per differenti mezzi come avviene con le auto, il cui bollo si paga in proporzione alla potenza dell’auto.
Se hai una tv 42″ con 3D o un 14″ con il tubo catodico di 30 anni fa, la cifra da pagare è sempre la stessa, con la differenza che i primi avranno un servizio migliore rispetto ai secondi che si vedranno diminuire le dimensioni dello schermo con trasmissioni in 16:9 (le bande nere sopra e sotto l’immagine) e poi oscurare la ricezione per non aver acquistato il decoder per digitale terrestre.
Da questa imposta sono esenti solo persone ultra 75 con un reddito inferiore ai €6713,98 annuali.
Ogni anno, mentre cercano di persuaderti che il canone si deve pagare, la crisi avanza e sempre più persone dichiarano di non volerlo pagare. Si diffondono poi altre false notizie, come quella che l’Italia è l’unico paese ad avere questa imposta, cosa assolutamente falsa perché, come si può leggere nella sezione inglese di Wikipedia, il canone viene pagato nell’Europa dell’Est, ma non solo. Nelle altre nazioni invece il servizio pubblico è garantito solo dallo Stato, che prende i soldi da… ovviamente da altre imposte derivate dai cittadini, indistintamente dal possesso o meno dell’apparecchio televisivo.
La RAI che prende oltre i soldi del canone, prende quelli della pubblicità (mentre in Germania il servizio pubblico riceve anche un’ulteriore sovvenzione statale) che nasce nel 1954 con la coscienza che tramite la televisione si sarebbe livellata, standardizzata, la lingua e la cultura degli italiani. Questa missione culturale ai giorni nostri si è palesemente persa e per rincorrere la concorrenza con i canali commerciali (da Mediaset a La7 che campano di sola pubblicità) si sono adattati alle logiche di mercato, dando sempre più spesso attenzione più alla forma che ai contenuti, così si fanno trasmissioni dai contenuti scadenti ma visti dalle persone e sui cui gli sponsor pagano per essere presenti negli intervalli pubblicitari.
Personalmente, non sono così sfiduciato verso la “massa” e credo che se trasmettessero trasmissioni culturali le vedrebbero, basta farle con la semplicità che Piero Angela impersonifica da anni con le sue trasmissioni. La “massa” alla sera cerca la tranquillità, il divertimento, la distrazione dalla giornata pesante e tende agli spettacoli di varietà. Bene, la RAI, dovrebbe prendersi il compito di dimostrare che si può fare varietà in modo sano, senza trasmettere volgarità.
RAI non significa, inoltre, soltanto produzione, ma anche ricerca e innovazione dei mezzi di comunicazione e pertanto sperimentano nuovi modi di trasmettere e nuovi modi di fruire del servizio. La RAI si è prontamente attrezzata di canali Youtube, di streaming e trasmissioni on demand.
Peccato che usino delle tecnologie che si basano su formati proprietari, quindi difficilmente accessibili a chi (nonostante paghi il canone per le altre tv) voglia vedere le trasmissioni online ma ha fatto la scelta etica di utilizzare software libero.
Nonostante quanto detto però credo che la RAI vada supportata con critica e non semplicemente non pagando la tassa (l’agenzia delle entrate non accetta giustificazioni) perché ancora su RAI 3 ci sono trasmissioni interessantissime, ci sono i TG Regionali, in RAI si fa innovazione e informazione, basta non seguire i due canali di massa.
E poi io sono di parte, vivo ascoltando Radio2, anche se gli apparecchi radiofonici sono esenti dall’imposta!
Milly Carlucci risponde alle polemiche sul cachet stratosferico di alcune stelle (Bobo Vieri in primis):
“Ballando porta soldi, fa cassa: telepromozioni, pubblicità, iniziative commerciali. […]
…siamo uno show che vive di star. Non è solo questione di ascolti. Bisogna vendere un prodotto.”
In un altra intervista diceva che per le grandi star gli spettatori televotano di più e già solo con i soldi ricavati dai televoti i cachet si ripagano del tutto.
Il problema è proprio questo: la tv pubblica non deve essere uguale a quella commerciale. Altrimenti che motivo c’è di finanziare qualcosa che potrebbe funzionare allo stesso modo con i meccanismi di mercato?
Al contrario mi piacerebbe fare affidamento su una TV pubblica che rende servizi utili, forse con meno share, ma che insegni, informi, faccia partecipare la gente alla politica, unisca. Non una TV che arraffa il canone, offre un programma dove lo spettatore guarda ballare e non impara a ballare, guadagna sui soliti stolti che televotano per partecipare in modo passivo, ma che attivamente pagano una ulteriore “volontaria tassa” che fa arricchire i pochi famosi e che (1 euro qua, un euro la, una lotteria lì) si impoversicono. Questa televisione crea ulteriore differenza tra ricchi strapagati e stolti autotassati. E sarebbe la tv pubblica?