Siamo dentro o fuori l’era postmoderna? Molte volte ci si trova a scherzarci su, indicando con questo termine qualcosa che difficilmente può essere inglobata nella “normalità” del moderno o, altre volte, si fa prima ad etichettare in questo modo qualcosa che supera la concezione di modernità, che è proiettata direttamente nel futuro. In verità, in tutto ciò c’è un fondo di coerenza, ma se ci fermassimo ai modi di vedere del popolo, forse peccheremmo di incompletezza oltre che di superficialità. Non che con questo post raggiungeremo chissà quali traguardi riempitivi, ma almeno cercheremo di rifletterci su per capire un po’ di più sulla Postmodernità.
Lyotard (nel ’79) e Jenks (negli anni ’70 e ’80) sono stati i maggiori divulgatori della concezione postmoderna, il primo nella filosofia e nelle scienze umane, il secondo nell’architettura e nell’arte: le origini sono indicate tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, prima in America e poi in Europa, e coincide con il passaggio da un periodo generalmente noto come “boom economico” – frutto del neocapitalismo imposto dal dopoguerra – ad un altro, connotato dalle tinte scure della crisi petrolifera degli anni Settanta. Informatica e cibernetica si impossessano del vivere quotidiano e condizionano sempre di più le esistenze umane.
I linguaggi cambiano e fanno sempre più spesso riferimento alle tendenze dei media di massa. Inizia a concretizzarsi la sfiducia nei confronti di tutto ciò che è moderno, si individuano i limiti,e si comincia a mischiare le carte dello scibile per dar vita a qualcosa di nuovo, visto che “tutto è stato già fatto” e sembra non mancare più nulla.
La corrente che vuole sfruttare l’onda di quest’epoca è il Postmodernismo che avrà modo di apparire nelle sue innumerevoli vesti (opere letterarie, edifici e costruzioni, modelli di comportamento) e una sua caratteristica è il senso di impotenza del soggetto davanti “ai rischi di totalitarismo impliciti in ogni logocentrismo”; ad esempio, è semplice pensare al potere della tv che ha condizionato generazioni e generazioni sin dalla tenera età con i suoi linguaggi omologati, o ai cartelli pubblicitari che, affissi in ogni dove, ti portano volente o nolente a considerarli come dei consigli utili ai quali bisogna far caso. Poi si parla di crisi di valori e fondamenti come cause di un generico destino umano; ancora, le “cose” assumono una valenza “sentimentale”, diventano lo specchio della propria personalità e si fanno carico di significati totali.
Visto che non ci può essere novità in senso letterale, in un’epoca del genere, al massimo si può reinventare il già fatto, si mette in pratica il citazionismo e una frontiera sempre alla moda è la combinazione dei generi.
In realtà, sembra di assistere ad uno smembramento delle tradizioni, una folle corsa verso il superamento dei confini ormai raggiunti, i quali così vengono mascherati da un senso di illimitatezza perché condizionati dai repentini e intercambiabili modelli di comportamento che ci condizionano, appunto postmoderni.
La realtà? Com’è la nostra vita?
Come sappiamo benissimo, la nostra giornata inizia e si conclude con il cellulare in mano: possiamo pensare di farne a meno? Sì, rispondereste, ma in questa società?
Secondo, oltre al cellulare, Internet ha messo le radici in maniera più pervasiva: la cultura, le informazioni, gli apparati burocratici, i passatempi, il sesso (!), ormai passano da lì come se avessimo acconsentito ad un trasferimento di sede della nostra realtà: “la realtà reale si è spostata nella realtà virtuale”.
Anche se non ce l’hanno comunicato, nella nostra carta d’identità avrebbero dovuto inserire “postmoderno” tra i segni particolari, perché la questione ci include fin sopra i capelli.
Essa naviga e chissà per quanto tempo ancora avremo paura di perderci nei labirinti dei nostri giorni, o penseremo di essere al centro di qualche fantomatico complotto.
Chissà se ne usciremo da questo stato di incoscienza che rimbomba tanto quando ci pensi un attimo, e chissà cosa ci aspetterà appena dopo aver trovato la soluzione a questo gigantesco enigma che è la nostra vita attuale.
bel post, Gas! :)
“Forse il postmodernismo è anche figlio della perdita pirandelliana della propria identità a vantaggio della maschera, anzi delle maschere. Forse il postmodernismo è anche figlio di quello strano teatro di Beckett; forse è fratello di un Brizzi dei giorni nostri, con la sua narrativa personalissima; forse, forse… forse è nipote di quel Bukowski che oltre le parolacce e il grottesco urlava contro la vita e per la vita contemporaneamente. Forse è Nathan Never il nostro eroe post-moderno o Dylan Dog, entrambi costantemente alla ricerca di cose diverse, ma almeno alla ricerca… Oppure siamo noi gli eroi post-moderni, ognuno eroe di se stesso.” (Ignazio Graffeo)