Venerdì 13 aprile, Palermo è stata svegliata da un forte sisma.
Venerdì 13 aprile, un altro terremoto culturale ha colpito Palermo: l’occupazione del teatro Garibaldi, che sorge a pochi passi dalla basilica della Magione nel quartiere della Kalsa, cuore pulsante di Palermo.
Il teatro venne inaugurato nel 1861 dallo stesso Garibaldi; dopo alcuni anni di inattività, venne riaperto negli anni Novanta, ma purtroppo, anni di incurie e lassismo lo avevano ridotto a un mucchio di pietre marcie, per cui sono stati effettuati alcuni lavori di riqualificazione che ne hanno modificato, ahimè, la struttura originaria. I lavori si sono conclusi (tra mille polemiche) definitivamente nel 2010, ma da allora il teatro è praticamente chiuso e inutilizzato. Almeno fino allo scorso venerdì, quando un “manipolo” di giovani artisti palermitani e comuni cittadini hanno occupato il teatro, istituendo il comitato “Teatro Garibaldi Aperto”, un’iniziativa che è stata sentita come un moto del cuore, per ridare trasparenza alla gestione della “cosa pubblica” che deve essere nelle mani dei liberi cittadini e non di questa o quella cooperativa ad uso e consumo di mafie varie ed eventuali.
Far rivivere uno degli spazi più amati e antichi di Palermo, sperando che faccia da effetto domino e che altre realtà facciano lo stesso: questo ha spinto il comitato all’occupazione.
Il consenso della comunità di cittadini di Palermo è stato unanime e sentito; in molti hanno mostrato solidarietà e pieno, totale appoggio, alcuni di loro dormendo, addirittura, dentro il teatro per dare sostegno a chi ha sposato totalmente la causa, mettendoci la faccia e andando anche contro le regole. Infatti, da domenica il comitato occupa “abusivamente” lo spazio che era stato concesso loro fino alla mezzanotte di domenica dal commissario straordinario Luisa Latella.
Altro che sisma! Un vero e proprio cataclisma che ha investito le coscienze e ha ridato speranze a noi giovani che giorno dopo giorno ci troviamo a vivere in una città che sembra rassegnata, una città, secondo le parole di Emma Dante (una delle figure più attive del teatro palermitano e nazionale), che non ha più speranze.
Buongiorno, Palermo! sembra levarsi da quegli spazi “malacumminati” che sanno di inconcluso.
“La tre giorni” si è trasformata in quattro, cinque, sei giorni. Giorni intensi, dove si è parlato, discusso, approfondito temi, ascoltato, gioito.
I migliori artisti della scena palermitana e internazionale si sono avvicendati sul palco “improvvisato”, in una quasi staffetta, tutti uniti in un unico coro: ridiamo ai cittadini gli spazi della cultura, basta al clientelismo, basta ai “fondi che non arrivano mai”, ché intanto la città muore sotto la spinta dei centri commerciali, della “munnizza” che invade le strade, dell’inciviltà che la fa da padrona, dei politici che con i loro faccioni dai cartelloni elettorali vendono posti in paradiso.
Non sarà facile, le insidie sono tante e ci stanno provando in tutti i modi a fermarli (tipo mandando quelli dell’enel a tagliare la luce!!) ma loro continuano stoicamente, perchè l’amore per l’arte e per la propria città è più forte di tutto, più forte delle minacce e dei poliziotti in tenuta anti-sommossa.
Pacificamente rimaranno lì dove è giusto che stiano, per dare un segno alla città: C’è ancora speranza e sì, noi palermitani siamo FIGHI. (Cit. Emma Dante)
Credits: foto di Pietro Vaglica
mi sono sempre chiesto e spesso svegliarmi con un qualcosa in più , di una notizia , un argomento , come il pome della discordia in una città come palermo dove stanziamo . una città dove vige il non senso delle cose , dove un cittadino non sa bene riconoscersi , che nn rivendica i suoi diritti , e tutto si lascia scivolare alle spalle a vantaggio dei furbi. dove un giovane di speranza è costretto a mirare fuori il proprio futuro . da queste iniziative , anche se son poche , bisogna trovare la spinta , dalla cultura e dalle conoscenze per ritrovare la strada , per mantenere vivo il nostro orgoglio di siciliano … la libertà , inalienabile principio dell’ essenza umana , per il bene proprio e di tutti . giovanni rubino