Ieri è stata la giornata del Primo Maggio, festa dei lavoratori, giorno difficile da festeggiare in questo 2012 in cui il lavoro scarseggia, non ha garanzie o lo si perde direttamente. Il posto fisso non esiste già più, ma non c’è neanche la flessibilità per una mobilità che sia realmente dinamica.
Oggi le fabbriche e i negozi chiudono, per mancanza di credito e di innovazione, fagocitate da nuove aziende che provengono da fuori, come se questi colossi non sarebbero mai dovuti arrivare nel Bel Paese, culla della cultura conservatrice e paternalistica.
Oggigiorno la festa dei lavoratori non dovrebbe ancora guardare al presente con nostalgia per il passato ma dovrebbe essere momento di riflessione critica verso il futuro, cercando nel passato esempi concreti per uscire dalla crisi. Quando una fabbrica chiude, spesso non è per esaurimento di richiesta del prodotto fabbricato, ma per cattiva gestione del capitale che non è stato investito sufficientemente in innovazione e formazione. Quando un’azienda chiude gli spazi, le macchine e il personale con esperienza e competenza restano e se nessun’altra azienda li riassorbe, rimangono lì a lasciar morire il loro potenziale.
Nel 2001, a causa della famosa crisi finanziaria avvenuta in Argentina, l’imprenditore italiano Luigi Zanon dichiarò fallimento della sua grossa fabbrica di ceramica nel cuore di Neuquén. La crisi finanziaria però non coincideva con un diminuimento dell’attività lavorativa: Zanon esportava la sua ceramica fuori lo stato argentino e quindi la produzione non cessò fino alla serrata del padrone.
Convinti del valore del loro lavoro, gli operai, riuniti in sindacati di lotta per la richiesta degli stipendi arretrati, decisero di occupare la fabbrica e continuare l’attività lavorativa in autogestione, creando poi una cooperativa che rende ad oggi la fabbrica ex Zanon una fabbrica ancora molto produttiva, come si può vedere dal loro sito web www.ceramicafasinpat.com.
Ceramica FaSinPat è il nuovo nome della fabbrica che ha nel suo nome la sua identità di fabbrica autogestita, infatti FaSinPat sta per Fábrica Sin Patrón (Fabbrica senza padrone).
Altra idea per combattere la crisi e difendere il proprio posto di lavoro può essere la riconversione dell’industria, come è successo in Italia dopo le grandi guerre. Pensiamo a tutte quelle fabbriche belliche che poi si sono riconvertite in fabbriche civili. Chi produceva aerei da guerra usò le macchine e le competenze per produrre aerei per passeggeri civili, per esempio.
Dobbiamo, quindi, ripartire da noi, dalle nostre competenze e dalla voglia di lavorare. Dobbiamo accogliere l’appello di Gramsci e unire la nostra intelligenza, il nostro entusiasmo e la nostra forza per riconvertire il mondo del lavoro.
Inoltre, la riflessione sul lavoro che dobbiamo fare deve toccare anche una seria riflessione sulla formazione, infatti bisogna demitizzare “il pezzo di carta” e dare importanza alle reali conoscenze. Oggi viviamo nel paradosso di una classe d’istruzione medio-alta in cui molte persone hanno un diploma o una laurea perché i loro genitori non volevano che finissero a fare gli operai, ma oggi con quel diploma o con quella laurea sono bloccati dentro un call center. Nel frattempo in Italia si cercano sarti, panettieri e saldatori; e se questi posti vengono occupati dagli immigrati o le aziende si spostano in paesi dove trovano questi operai, non facciamo altro che lamentarci. Intanto in Italia c’è un’abbondanza di avvocati che fino a poco tempo fa non potevano nemmeno farsi concorrenza e gli ospedali cercano infermieri e diversi altri specialisti.
La riflessione sul lavoro deve quindi ridare dignità al lavoro e quindi alla relativa formazione. Forse più che un liceo sportivo sarebbe opportuna una scuola professionale per saldatori?