Al ritorno da Cinisi, dove ho passato la serata conclusiva per il ricordo di Peppino Impastato, leggo sul Fatto un articolo che, in sintesi, raccontava la triste moda odierna di compiangere i morti – un tempo folli e adesso per tutti eroi – e di parlar bene del loro operato a posteriori. Si faceva riferimento alla chiusura di Telejato paragonandola alla fine delle trasmissioni alla quale fu costretta Radio Aut: Pino Maniàci e Peppino Impastato, due uomini che sono stati ostacolati da questo Stato che si definisce libero nella loro diffusione (altro che diffamazione) di opinioni. Quell’articolo si concludeva, però, con un riferimento ad una querela – della quale non sapevo nulla – messa in atto nei confronti del Centro Siciliano di Documentazione “Peppino Impastato”.
Cosa è accaduto?
La storia inizia nel 2010 quando, in un’anteprima del secondo libro di Saviano su Repubblica, lo scrittore afferma che la riapertura del processo per i mandanti dell’omicidio Impastato fu da attribuire al film di Marco Tullio Giordana “I Cento Passi”; Saviano così scrive nel suo libro: “Poi dopo più di vent’anni, nasce un film, I cento passi, che non solo recupera la memoria di Giuseppe Impastato – ormai conservata solo dai pochi amici, dal fratello e dalla mamma – ma addirittura la rende a tutti, come un dono. Un dono allo stato di diritto e alla giustizia. Questa memoria recuperata arriva a far riaprire un processo che si chiuderà con la condanna di Tano Badalamenti, all’epoca detenuto negli Stati Uniti. Un film riapre un processo. Un film dà dignità storica a un ragazzo che invece era stato rubricato come una specie di matto suicida, un terrorista”; naturalmente, chi per oltre 30 anni si è battuto per avere un minimo di giustizia dai fatti drammatici del ’78 e non ritrovandosi menzionato, si è sentito tagliato fuori.
Il Centro manda una lettera firmata da Umberto Santino, il presidente, al giornale in cui si precisa:
“Ad onor del vero, dopo la sentenza istruttoria del maggio 1984, preparata da Rocco Chinnici e completata da Antonino Caponnetto, l’inchiesta è stata riaperta nel gennaio del 1988, in seguito alla pubblicazione nel 1986 del volume “La mafia in casa mia”, e successivamente nel giugno del 1996, grazie all’impegno del Centro Impastato di Palermo, della madre, del fratello e della cognata di Peppino e di alcuni compagni di militanza (…). Contro i mandanti del delitto ci sono stati due processi: il primo con rito abbreviato contro Vito Palazzolo è cominciato nel marzo del 1999 e si è concluso nel marzo del 2001 con la condanna a trent’anni; quello contro Gaetano Badalamenti in videoconferenza si è aperto nel gennaio del 2000 e si è concluso nell’aprile del 2002 con la condanna all’ergastolo. Il film è stato presentato a Venezia il 31 agosto del 2000 ed è andato nelle sale nei mesi successivi, quando i due processi erano già in corso e i lavori della Commissione antimafia vicini alla conclusione”.
Nonostante la suddetta verrà persino pubblicata sul quotidiano, sebbene con abbondanti tagli, il malcontento non verrà sopito ma, anzi, riprenderà vigore all’uscita ufficiale del libro “La parola contro la camorra”.
In esso, infatti, si trova citata brevemente la storia di Peppino Impastato e non quella che l’antimafia operante nei panni del Centro di Documentazione e dei familiari di Peppino avevano svolto per lunghi anni.
A questo punto, il Centro manda una lettera di diffida alla Einaudi, richiedendo la rettifica di quanto scritto a proposito della riapertura degli atti.
Ci si aspetterebbe una risposta affermativa o qualche apertura da chi, con “Gomorra” e le varie apparizioni televisive, aveva fatto della lotta alla camorra e alle ingiustizie criminali un modus vivendi. E invece le cose andranno in maniera diversa: la casa editrice risponderà dicendo che non c’era nulla da ritoccare e che, anzi, la parte lesa era la loro, dopo i toni “gravi e diffamatori” e la diffusione attraverso i media del problema posto. La storia sembra non avere un lieto fine. Saviano non proverà mai a rispondere e la sua casa editrice, avendo deciso di avere le ragioni sulla questione, rimarrà sui suoi passi nonostante ulteriori corrispondenze, persino collettive, nelle quali si sottolineava che “ciò che più indigna è la riprovevole minaccia di ritorsioni giudiziarie nei confronti di chi – i familiari e i compagni di Peppino e i responsabili del Centro Impastato – ha osato chiedere a una Casa Editrice di verificare e rettificare alcune informazioni per ristabilire un’importante verità storica. Si auspica che questa pagina infausta dell’editoria italiana non abbia nulla a che vedere con il prestigio di una Casa Editrice come la Einaudi e sia soltanto l’improvvida iniziativa di un Amministratore evidentemente non in grado di valutare la gravità di certe affermazioni, forse per carenza di strumenti culturali sulla materia dell’antimafia”.
Questo amaro in bocca non tende ad andar più via.
Ad aprile 2011 Liberazione informa che è stato querelato per aver raccontato la vicenda che aveva colpito il Centro Impastato e ne denuncia la probabile colpa di lesa maestà visto e considerato che “la sua parola, intesa come unica parola possibile, che perciò stesso esclude le altre, soprattutto se sono critiche nei suoi confronti, se ne raccontano limiti e inesattezze, se ne mettono in mostra la faccia nascosta o molto più semplicemente se dicono: «Noi la pensiamo diversamente da te»”.
Una vicenda incredibile, insomma, che mette sul fuoco un fritto misto di presunzione e incoerenza.
Forse non ci sono più i dibattiti di una volta – hanno smesso di dare i permessi – e per questo la critica è sempre di più l’arma dei potenti, i quali possono lanciare tutte le pietre che vogliono, che tanto hanno i soldi, un microfono e una trasmissione…
PS: una delle citazioni che apre Gomorra è rubata da Scarface ed afferma:
“Il mondo è tuo”.
Cos’è un incitamento dedicato al proprio ego spropositato?
Riferimenti:
http://www.centroimpastato.it/ultime.php3
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/10/11/quella-diffida-del-centro-impastato-a-saviano/70977/