Di Maria Josè Campisi
Mi trovo a guardare molta televisione rispetto a quando lavoravo, visto che ho un bimbo di tre mesi da crescere e sto tutto il giorno a casa, o quasi.
Ormai, si può dire che conosco la programmazione televisiva quasi al completo, e non è di certo un vanto. In particolare, da qualche giorno mi sono fermata a guardare “Il principiante – Il lavoro nobilita” tramesso sul canale Cielo del digitale terrestre, che ha per protagonista nientedimeno che il principe Emanuele Filiberto di Savoia. Sono stata tentata di cambiare canale sin da subito, poi, però ho voluto farmi del male e ho visto l’intera puntata.
Il programma parte con questo annuncio: “AAA Principe volenteroso, versatile e di bella presenza, disposto a rimboccarsi le maniche, cerca un lavoro per provare la vita vera. Vuoi offrirgli un’opportunità?”.
In pratica, il principe si mette alla prova con un lavoro “vero” proposto dai telespettatori di Cielo: ha provato a fare il pizzaiolo, a lavare cani, a lavorare in un bar.
Ma ce lo vedete il principe a lavorare?
Abituato com’è a godersi la bella vita, ad avere servitori al suo cospetto, si dimostrava inadeguato nei lavori che via via gli venivano proposti.
Tuttavia, pian piano, era arrivato a provare divertimento in ciò che faceva e ad instaurare un buon rapporto con i colleghi e con il superiore.
Di certo, il programma era fortemente schematico e “recitato”, nel senso che venivano interpretate delle parti sia dal principe sia dagli altri partecipanti: tutti, insomma, erano ben diretti dal regista.
Dalla visione di questo programma, però, ho tratto una mia idea sul “cambiare continuamente lavoro”: sono convinta, infatti, che il lavoro che duri per tutta la vita sia rassicurante, ma anche noioso, stancante e demotivante.
L’idea di cambiare spesso lavoro permetterebbe di conoscere nuove realtà, di provare nuove esperienze.
…Ognuno di noi da piccolo aveva un sogno nel cassetto che da grandi può risultare difficile realizzare. E se poi, realizzando il sogno, ci si rendesse conto che non fa per noi, che non ne siamo all’altezza?
Ecco pronto un altro lavoro nuovo di zecca che magari ci appassiona molto di più. Cambiando gruppo di lavoro si potrebbero scoprire anche nuovi lati dello stesso mestiere, nuove modalità di intendere il lavoro e il luogo di lavoro, nuovi modi di fare le stesse cose, ma con una filosofia aziendale diversa e, magari, migliore.
Credo anche che avere molto talento, senza la spinta di altrettanto vigorose motivazioni, non porti a nulla perché si rischia di rimanere improduttivi. Il grosso talento è aiutato dalla gran quantità di lavoro, di dedizione, di attenzione, dalla ricerca spasmodica di situazioni che possano insegnare qualcosa sia dal punto di vista professionale sia da tutti gli altri punti di vista, nondimeno da quello umano.
Fortissime motivazioni possono spingere le persone anche al di là delle proprie reali capacità. Una motivazione vera, profonda, è una molla incredibilmente potente ed efficace che porta all’impiego fruttuoso di ogni nostra più piccola energia. Cambiare spesso lavoro potrebbe aiutare a trovare una buona motivazione e a trarre fuori il meglio da se stessi.
Purtroppo esiste un grosso grossissimo problema: la realtà del principe è solo sua, non esiste qualcosa di simile per noi esseri umani “normali”. C’è bisogno di lavoro (di qualsiasi lavoro) e la mia è una pura, meravigliosa utopia.
Forse, se potessimo, continueremmo a giocare all’infinito, come se fossimo ancora bambini: un giorno lavorare in un luna park, il giorno dopo in un hotel e l’altro ancora in una grande multinazionale…
…che dite, lo propongo a Monti?
Anche io penso che sarebbe bello sperimentare nella vita, però è, come dici tu, un lusso, a parte i casi in cui è una necessità. Mi hanno detto molti, però, che in Inghilterra sono i “capi” stessi che ti fanno sperimentare, affidandoti varie mansioni, perché tu possa trovare quella ideale. In certi casi, invece, può diventare frustrante, come mi hanno raccontato degli ex impiegati delle Poste, che dopo essersi fatti “il mazzo” ed essersi specializzati in un certo reparto, venivano spostati (per varie ragioni, non per le stesse che, a quanto mi hanno detto, usano gli Inglesi). Sarebbe bello se lasciando il lavoro, scadendo un contratto a tempo determinato, si avesse la possibilità di trovarne un altro, o nello stesso campo o diverso…peccato che, appunto, non è possibile…a meno che non si sia poliglotti e non si sia disposti a spostarsi tutta la vita in giro per il mondo!
Beh, l’assunto principale di Marx era che la differenza delle proprietà dei privati era effetto della suddivisione del lavoro e non ci poteva essere abolizione della proprietà privata senza abolizine delle divisioni del lavoro (e non come poi è stata intesa…).
La divisione del lavoro crea inoltre le classi che tendono a perpetuarsi nel tempo (o almeno così ai tempi di Marx, oggi la scala sociale è un tantino più mobile).
Il citato Monti è quell’illuminato che disse in televisione che il posto fisso è una monotonia e credetemi che per molti è così, perché la loro indole non gli permette di stare fermi su una cosa a lungo e spesso queste persone sono imprenditori, creativi nell’arte di fare affari. Probabilmente si riferiva alla propensione dei giovani a non rischiare nel mondo del lavoro come imprenditori e cercare la rassicurazione del posto fisso, che ti ammazza ogni tipo di creatività dietro il bancone di un ufficio.
Qualcuno obietterà che la creatività si potrà sfogare nel tempo libero, ma il tempo libero è solo un *prodotto del lavoro*, infatti è il tempo che abbiamo libero dal lavoro e come se non bastasse, per goderti il tempo libero devi lavorare. Palestra, cinema, teatro e libri, infatti hanno un costo.
La mobilità nel mercato del lavoro non sarebbe affatto un male, se ci fosse una reale meritocrazia che ti permetta di essere valutat@ per il lavoro svolto, dando fiducia al lavoratore che anche se non ha esperienza in quel settore può sempre sbracciarsi e imparare.
Anche io avevo pensato a Marx, ma appunto, sono società ideali, purtroppo. Richard Sennett ha scritto un saggio sul lavoro “flessibile”, ragionando anche sul tempo libero. E’ sicuramente più realizzabile, come ideale di vita, il seguente: lavorare part time, che sia mezza giornata o che sia mezzo mese, o mezza settimana, avere del tempo libero nel quale spendere la propria creatività, o comunque vivere il privato, e tutta quella sfera della vita che chi lavora tutto il giorno non si può permettere di godersi, ferie a parte. Il mio prof di filosofia probabilmente ha influenzato questo mio ideale, dato che lo praticava e propugnava…e sembrava piuttosto felice e soddisfatto della propria vita e scelta (era insegnante part time e credo lo sia tuttora). Anche questo è un’utopia, per l’appunto, perché comunque in questa società ci sono troppi dislivelli economici legati alle posizioni sociali…
Il discorso di Monti io l’ho interpretato diversamente, più che essere imprenditori in genere, credo suggerisse di essere imprenditori di se stessi, vale a dire che,se perdi il lavoro, te ne trovi un altro, senza troppi drammi… che è appunto quel di cui parla Sennett descrivendo la società americana…questo implica sicuramente soddisfazioni, ma anche insicurezza, precarietà… e poi qui, proprio qui, non siamo in America, non ci sono tutte queste aziende, e se ci vogliamo muovere in Europa dobbiamo conoscere le lingue, oltre a quella inglese… Se uno vuol fare quel tipo di vita deve necessariamente sentirsi e vivere come cittadino del mondo, perché se si accontenta dell’Italia, dipenderà, come le aziende, dallo spread…
Mah… secondo me Monti aveva proprio intenti troll con quella frase.
Non sarebbe la prima volta, la sua sottile ironia che i giornalisti addirittura lodano è una presuntuosa presa per il culo, come quel parlamentare che si lamentava che si guadagna poco a stare in politica.
E anche il programma del savoiardo fa parte di quei programmi che si seguono per quello strano senso di indignazione che quasi fa piacere provare vedendo personaggi inutili con privilegi immeritati, tipo il programma di paris hilton che cerca la sua amica del cuore xD