È un grigio pomeriggio settembrino. Il cielo è a tratti terso e a tratti nuvoloso e minaccia pioggia.
Il pomeriggio tranquillo di un sabato dove niente e nessuno potrà farmi alzare dal mio divano rosso per nessun motivo. Né un citofono squillante che suona né un telefono con vibrazione e suoneria al massimo! Non un genitore nostalgico o una zia ritardataria negli auguri di compleanno. Non potrà schiodarmi da mio bel sofà puzzolente nemmeno un impellente stimolo vescicale o un appetito chimico. Niente!
Perciò mi godo in religioso silenzio “Il ritorno di Cagliostro” di Ciprì e Maresco ridendo sotto i baffi, spaparanzato sul divano, coperto da una trapunta a dir poco eccessiva considerato il periodo.
Ma ad un certo punto succede l’impossibile! Il frastuono che mi fa sobbalzare in piedi è graduale e devastante, breve e terrificante.
Mi catapulto rapidamente alla finestra.
Il rumore mi fa pensare ad una grande credenza piena di bicchieri di cristallo e piatti pregiatissimi che distruggendosi va in frantumi. Come se fosse caduta almeno dal secondo piano direttamente nell’atrio sul quale si affaccia il mio palazzo.
Quindi sono affacciato alla finestra in preda ad una crisi di panico, girandomi ora a destra ora a sinistra, cercando di capire dove fosse caduta la credenza contenente gli antichissimi cimeli di una nobile famiglia parmigiana.
Invece, non senza un pizzico di rammarico, constatai che nel parcheggio dell’atrio che sorge tra il mio palazzo e un altro non c’è nessuna credenza distrutta!
Affacciandomi scorgo soltanto un cristiano sulla cinquantina che scarica dal cofano della sua macchina la spesa appena comprata.
Sentendo aprire la veneziana, il signore mi guarda come per dire: «Prego? Posso aiutarla?». Mentre io, a bocca aperta e dall’espressione incredula, mi chiedevo pacificamente tra me e me: « Chi mminchia ci talii, facci i cazzu! Ummiriri ca u scrusciu u intisi sulu io!?!?!? »*.
Offeso e indispettito, rientro e riprendo a vedere il film.
Turbato e rassegnato al fatto che sia successo qualcosa di gravissimo, ma che non mi sarà data possibilità di sapere che cosa!
Non riesco ad immergermi alla appassionata pellicola, che vengo catturato nuovamente da uno stridio acuto e squillante, come di qualcosa che strisciava contro qualcos’altro. Mi catapulto nuovamente al davanzale, sporgendomi pericolosamente ben oltre il baricentro del mio corpo. Scruto nuovamente a destra e a sinistra, poi ancora a destra e di nuovo a sinistra.
E solamente girando per l’ennesima volta la testa sulla destra che scorgo l’impossibile: dal parco limitrofo un faggio vecchio e ammuffito è letteralmente caduto squarciando il fianco di un palazzo accanto a quello dove vivo io.
Dalla mia stanza si vede chiaramente che alcuni grossi rami sono entrati dentro un appartamento al terzo piano direttamente dalla finestra.
In giro non si vede nessuno. Le finestre sono tutte serrate e sembra che in tutta la città solo io abbia capito che qualcosa non va!
Che fare? Come reagire? Ci sono morti, feriti?
Quell’albero è caduto solo o qualcuno l’ha spinto?
Sogghigno allibito pensando che se vivessi ancora a Palermo, tutto il quartiere sarebbe già appollaiato con calia e semenza ad ammirare la tragica sequenza di – un albero che cade dentro la stanza del piccolo Salvatore – una madre disperata che grida il nome del figlio – che comunque sa perfettamente non essere in casa – ma il solo pensiero l’affligge talmente tanto da gridarne le gesta terrene al padre eterno e ai santi che gli gironzolano intorno!
Qui non è così.
Non percependo nessuna reazione, prendo in mano il telefono intento a chiamare i Vigili del Fuoco, la Polizia, la NATO e il Circolo degli Alpini reduci di guerra.
Ma poi succede finalmente qualcosa.
Riesco a malapena a sentire la voce. Un flebile quanto rassegnato sibilo che viene probabilmente proprio da dentro l’abitazione. Una voce femminile che, molto pacatamente, esclama: «O mio dio!!».
Dato il tono e la situazione tutta, decido di non chiamare nessuno.
Qua come minimo mi denuncerebbero per stalking!
Ma cazzo, un albero di 30 metri cade su una palazzina e nessuno ha sentito niente? E quel cretino che mi fissava dall’atrio! Mi guardava proprio come se gli avessi sputato in testa! Ma sono già arrivati i pompieri e la zona è in sicurezza.Tutto si risolve per il meglio, senza feriti fortunatamente, e la vita continua.
Forse c’è una certa abitudine a sentir cadere alberi da queste parti o forse è solo rispetto per chi la natura riesce ancora a viverla serenamente.
Io, sono nato in un parallelepipedo di cemento, a due passi dal mare sì, ma anche dalla munnizza e dalle macchine in fiamme. Ricordo che davanti casa mia c’era un grosso ulivo centenario, ho questo vago ricordo. Un giorno mi chiesi che fine avesse fatto l’unico ulivo della zona nell’arco di 20 km. Sarà andato bruciato nella vampa di San Giuseppe del 1998 chi lo sa, nemmeno ci facevo più caso.
Perché la bellezza di certe cose si avverte solo quando non ci sono più e un albero oggi per farsi sentire deve cadere. Deve morire e sacrificarsi, per ricordare a tutti che un tempo quel palazzo davanti a lui non c’era ma ce l’hanno messo per frenare la sua caduta.
Il povero cadavere dell’albero la domenica mattina seguente, verso le 6:30, veniva brutalmente sezionato in grossi tronconi da due grossi boscaioli discesi per l’occasione dai paesi limitrofi per una gara di motoseghe proprio sotto la finestra della mia stanza …
Ma questa è un’altra storia.
*«Che accipicchia guarda, perdio! Non mi venga a dire che l’incredibile frastuono sia stato avvertito solo dal sottoscritto! Suvvia!».
Esilarante!
…ci stava una foto, da vero stalker zoom-dotato