Dilettantismo artistico open space: cronache delle “voci al cubo”

di Fabio Campoccia

Quando ero bambino volevo diventare musicista.
A otto anni cominciai a studiare pianoforte. A otto anni e mezzo smisi di studiare: la maestra che me lo insegnava si trasferì in un’altra città, quindi non mi diede più lezioni.
Chi lo sa, se avessi continuato, adesso magari sarei un virtuoso del pianoforte che va in giro per l’Europa a fare concerti. Ma la mia carriera da bambino prodigio finì prima di iniziare.
Tuttavia non rinunciai! La mia personalità artistica ormai era bella che formata e pochi anni dopo mi misi a studiare la chitarra. Mio zio mi regalò una chitarra classica con un ponte piegato a 45 gradi e le corde di ferro: praticamente una tortura medievale sotto forma di strumento musicale. Ma io imparai lo stesso e a 14 ann imisi su  il mio primo gruppo rock. In realtà a quei tempi non avevo le idee chiare su cosa fosse il rock, tuttavia con un distorsore alla chitarra tutto fa brodo: io suonavo “rock” e me ne fottevo! Suonai la prima volta in un locale vicino alla mia scuola (il Cannizzaro). Devo dire che fu un vero disastro, ma mi divertii parecchio.


Quella sera, tornando a casa ubriaco per la bottiglia di birra che avevo bevuto (avevo 14 anni, ero ancora agli albori della mia carriera di bevitore), mi guardai allo specchio e giurai a me stesso che nella vita avrei fatto il chitarrista rock e non avrei raggiunto i trent’anni di età perché sarei morto prima, osannato di successo, strafatto di alcool, droga e vizi! Cool!
Pochi anni dopo mio padre mi prese in disparte, mi guardò schifato e mi disse: “non si può vivere di cose futili (si riferiva alla musica), scegliti una facoltà, studia, cercati un lavoro… un lavoro vero, con uno stipendio vero, e non perdere tempo.”.

Così non feci più il musicista rock ma diventai ingegnere.

Fu terribile ricevere la prima “doccia di realtà”, ma quella, ahimè, fu una perla di saggezza.
Devo dire che il “consiglio” di mio padre mi ispirò una domanda su cui nel corso degli anni avrei meditato a lungo: l’arte può essere un mestiere? Deve essere pagata? Si può sperare di guadagnarsi da vivere scrivendo, suonando, recitando, etc.? O l’arte dovrebbe essere… come dire… open source?
Naturalmente è impensabile che un bravo attore non sia pagato. Sarebbe come equipararlo ad un “dilettante”, cioè uno che lo fa per diletto e non per lavoro. Ed è giusto che le due categorie siano fortemente separate. Non confondiamo i veri musicisti, che hanno dedicato decenni allo studio, con le band del sabato sera. L’arte è una cosa seria, e impegnativa.

Tuttavia in una città piena di idee come Palermo, il fenomeno del “dilettantismo” si è diffuso a macchia d’olio come ottimo compromesso tra il disinteresse totale e il dedicarsi interamente all’arte come mestiere. Ormai tutti si autodefiniscono “artisti”. E la cosa fa un po’ sorridere, ma paradossalmente non penalizza i professionisti, anzi mette in giro idee che (penso) migliorino il panorama culturale della città, magari preparandoci all’arte vera.
Un dilettante non è così tanto interessato alle aspettative del pubblico, non è quello il suo mestiere. A volte produce clamorose forme di cattivo gusto, rappresenta il Brutto con la b maiuscola. Ma, se è intellettualmente onesto, nel suo piccolo è capace di studiare, migliorarsi e soprattutto si mette a sperimentare. E magari traccia delle strade folli e fuori luogo che un professionista si guarderebbe bene dal percorrere.

Io sono rimasto un dilettante, a vita.
Ho continuato a suonare, poi ho cominciato a scrivere.
Qualche anno fa io e il mio collega Pigi Arisco abbiamo applicato l’idea dell’arte dilettantistica al progetto “Storie al Cubo”, creato col proposito di fornire uno strumento a chiunque volesse sperimentarsi ed imparare la scrittura.
www.storiealcubo.com è un sito su cui si postano racconti brevi e inediti. I racconti devono essere collegati tra loro (cioè estesi) parlando di personaggi, luoghi e azioni presenti anche in altri racconti. Navigando sul sito è così possibile passare da un racconto all’altro approfondendo, per esempio, le vicende del proprio personaggio preferito.
Dai nostri “dilettantismi” sono nati alcuni tesori, racconti che noi giudichiamo veramente belli.
Così, nel corso dei primi tre anni di Storie al Cubo abbiamo organizzato dei reading periodici e ci siamo accorti che la gente si diverte, oltre che a scrivere i racconti, anche a leggerli e ad ascoltarli dal vivo, in pubblico.

L’ultimo progetto su cui abbiamo lavorato si chiama “Voci al Cubo” e consiste nel portare questi spettacoli in radio: abbiamo registrato dieci puntate audio, ognuna contenente tre racconti tratti da Storie al Cubo e letti dalle voce degli autori, su un sottofondo di musica in licenza creative commons.

Trenta storie, scelte tra le 300 contenute nel sito, frutto del lavoro degli “scrittori” di Storiealcubo.com.
Abbiamo poi creato un CD (con copertina totalmente autoprodotta ed autoincollata!) con tutte le puntate e stiamo prendendo contatti con alcune radio a cui lo regaleremo con la promessa di ascoltarle in onda.
Presenteremo il progetto sabato 13 ottobre alla Libreria Bar Garibaldi, porteremo una cinquantina di copie del CD e le regaleremo a chi ne fa richiesta fino ad esaurimento scorte. Inoltre, chi volesse può scaricare il CD direttamente dal link che ho riportato sopra.

Vi chiederete: perché?

Solo per rendere Storie al Cubo una palestra creativa a cui tutti i “dilettanti” della scrittura possano avvicinarsi senza aspettative professionali ma pieni di idee e immaginazione.
Questo è stato ed è tutt’ora il nostro obiettivo: niente soldi da guadagnare e nessuna carriera artistica da intraprendere, solo sperimentazioni, alcuni (pochi) racconti “veramente belli” e serate in cui il pubblico ci ripaga interessandosi. Il tutto gratis e open-source!
Ovvero, nessun costo, tanto di guadagnato e per tutti.
E insomma, ci vediamo il 13 ottobre!

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.