Docenze perdute in un mare di parole

Chiamano specialisti

fantomatici docenti

che opportuno sarebbe

ritenere elementari.

 

Li ritengo riempitivi

che la mia poca dose di coraggio

mi obbliga ad ascoltare,

a scrivere stupidi appunti,

a promettermi di non cadere in tali abissi

di noia, un giorno.

 

Le lezioni, le parole, una cantilena,

lo sguardo è fisso su una vecchia edizione,

o gira a vuoto, alla ricerca dei modi migliori

per passare il tempo che una generazione,

quella tra le 12:00 e le 14:00, perderà. 

 

A volte sono affabili, altre vicini:

sottolineano con la voce grossa

le risposte esatte alle loro domande

sempre uguali, mai appassionate,

di un esame scomodo che gestiranno.

 

In verità, essi sono lontani

dal resto di un’aula

che si svuota piano, piano,

e che si fa rappresentazione

di un quadro di De Chirico.

 

Le ombre rimaste, ora,

cercano un appiglio oltre la tenda della finestra

o preferiscono deridere gli strafalcioni

della demenza senile.

 

Dalla cattedra non riceviamo spesso saluto,

né uno sguardo interessato ad una ricezione

più o meno effettuata. Le docenze usano

inondazioni di parole generose

 

e gli idraulici sono, guarda caso, incapaci

di sanare un problema di dialettica;

e le giovani parole,

un tempo vive e curiose,

si fanno ora sottili, sempre di più, per poi scomparire.

 

Definiamo inutili, allora,

i maestri

che hanno tanto da dire

non per gli allievi.

 

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