racconto di Fabio Ceraulo
Don Peppino aveva fatto tanto per quella città.
Era venuto da lontano, aveva cavalcato tra cannonate e colpi di baionetta, subìto ferite, amarezze, era riuscito a ottenere che fosse accorpata al nuovo mondo e che non fosse più posseduta da orde barbare.
Era poi ripartito, convinto di aver fatto il proprio dovere fino in fondo.
Tornò diverse volte e la gente ogni volta lo riconosceva per strada e lo salutava, lo osannava, lo adorava.
Venne perfino con le stampelle a farsi vedere in pubblico, perché, in fondo, anche lui aveva ricevuto tanto da quel luogo.
Poi, un giorno, ebbe la malsana idea di andare a riprendere le sue armi, le divise, le sciabole e tanto altro che gli apparteneva, presso il posto di lavoro dove aveva prestato servizio con umiltà e riverenza. Bussò.
Lo fecero attendere, ma nemmeno lo riconobbero.
Poi aprì un anziano signore con addosso una strana uniforme. Squadrò Peppino da testa e piedi e gli chiese: “Chi è lei? Cosa è venuto a fare?”.
Peppino lì per lì fu colto da perplessità.
In quel posto, dove c’erano ancora le sue cose, di solito, lo riconoscevano tutti, lo ammiravano e gli spalancavano le porte, gli chiedevano perfino l’autografo.
“Sono venuto a riprendere la mia roba…”, rispose all’anziano.
“Si metta seduto lì” – disse l’uomo indicando una vecchia e sgangherata sedia – “Vado a chiedere al direttore”.
Peppino, sempre più stupito, si mise a sedere e attese. Dieci minuti, venti, trenta…
Poi, finalmente, tornò l’anziano e gli consegnò una busta. Senza dire niente.
Gliela appoggiò sulle mani e andò via.
Mentre si allontanava, si girò verso Peppino e disse soltanto: “Chiuda la porta quando esce, che se no entra freddo!”.
Peppino non capì, ma non potendo fare altro, aprì la busta.
Una calligrafia bella, pomposa, con caratteri d’altri tempi: “A partire dal prossimo 15 gennaio, la S.V. è sollevata dall’incarico e dovrà lasciare queste stanze e il lavoro in esse svolto. Firmato: La Direzione”.
Peppino, esterrefatto, ricadde sulla vecchia sedia e rimase immerso per interminabili minuti nei suoi pensieri.
“Ma come? Sollevato dall’incarico? Io che ho quasi dato la mia vita per questo posto!”.
Ebbene, andò proprio così. Garibaldi non morì a Caprera nel 1882.
Visse ancora per tanti anni. Poi, quando venne a reclamare la roba che era sua, gli fu detto, in modo freddo e senza gratitudine, che era stato licenziato.
Sì, avete capito bene. Garibaldi è stato licenziato.
E ora passa le sue giornate a giocare a dama con altre persone anziane, seduto al Giardino Inglese o a Villa Bonanno. Ma non si dà pace, non ha capito e vorrebbe capire. Nessuno però glielo spiegherà.
Nessuno spiegherà il perché di questa decisione ai tanti universitari che lo seguivano e che andavano a studiare le sue gesta nella biblioteca di quel luogo.
Più di centomila volumi chiusi in una stanza, impolverati, fermi.
Andò a parlare con le autorità che dirigevano quel posto, chiedendo magari una cassa integrazione. Lui, abituato a far inginocchiare davanti a sé imperatori d’Austria e i re Borbone…
È andata così.
Da oggi anche Garibaldi, a Palermo, è uno dei tanti disoccupati che gironzolano per le strade, senza meta.
Non fa proteste, però. È civile ed educato. Non rovescia cassonetti e non fa blocchi stradali, lui abituato a imporre barricate agli invasori. Lui…
È rimasto solo a chiedere spiegazioni.
Lo hanno abbandonato anche Bixio e gli altri. Solo qualche nostalgica camicia rossa lo ha accompagnato, dopo averlo riconosciuto per strada. Una strada piena di aperitivi rinforzati, I-phone e wi-fi che nemmeno sa chi sia.
Ma lui tira dritto e con dignità giura che gliela farà pagare cara. Magari a cannonate. O a schioppettate.
Ma, ahimè, i fucili, le sue vecchie care carabine con le baionette e i cannoni sono rimasti negli uffici dove gli hanno consegnato la lettera di licenziamento.
Nemmeno una spada o un pugnale per ricordo o per riconoscenza gli hanno dato. Niente.
È rimasto solo, a mani nude, a cercare un perché, vagando senza meta e con la barba lunga nei pressi di piazza S.Domenico, davanti al museo della Storia Patria.
Che forse non riaprirà più. E tutte le sue cose rimarranno lì, come ammassate in una lavanderia che ha chiuso improvvisamente i battenti lasciando la gente in attesa con la biancheria da lavare.
Cose sporche, fetenti, marce.
Ma non si sa perché…
Il racconto di Fabio Ceraulo fa riferimento ad uno dei tanti (purtroppo) incresciosi fatti che interessano la nostra città, Palermo, ormai cimitero di monumenti e palazzi chiusi.
Qualche settimana fa è stato comunicato che avrebbero chiuso, a causa di un finanziamento non pervenuto (strano, eh?), la Società Siciliana Storia Patria, la Biblioteca e il Museo del Risorgimento che era stata innaugurata soltanto nel 2010.
Era dal 1873 che la Società era ospitata nel chiostro di S. Domenico e la biblioteca vanta ben più 250.000 volumi sulla storia della Sicilia dal XVI al XIX secolo.
Erano in quattro a lavorarci e tre di loro hanno già ricevuto la lettera di licenziamento.
Si tratta di un ente privato che, come tanti ormai a Palermo, è destinato a vivere con i finanziamenti della Regione. Ma così non è stato per il 2012.
E per questo il Museo della Storia Patria dal 16 gennaio 2013 è stato costretto a sbarrare porte e portoni e tenere nascosto agli occhi di tutti il suo patrimonio che è un pezzo di storia di tutti i siciliani.
E da quest’anno le tante scolaresche che erano solite frequentare il Museo non potranno ammirare le armi e le divise di Garibaldi e i suoi mille.
Il Museo della Storia Patria, dedicato alla storia del Risorgimento Siciliano, e la Biblioteca custodivano tesori inestimabili, ma nulla si sa di che fine faranno.
Fabio Ceraulo, autore del libro “Palermo nascosta” (per i tipi di Dario Flaccovio Editore) che da anni lavora nel settore turistico, si è fatto promotore qualche settimana fa, insieme al gruppo Facebook di cui è ideatore, di una protesta che ha mobilitato, domenica 10 febbraio 2013, circa 50 persone che, nonostante la fredda e piovosa giornata, hanno deciso di manifestare insieme ai dipendenti del Museo e della Biblioteca Storia Patria contro la decisione di chiudere il Museo del Risorgimento.
La protesta aveva un valore simbolico. E si sono ritrovati lì, una domenica mattina, al freddo e alla pioggia, come se fossero dei normali visitatori in attesa dell’apertura.
Un’apertura che, a quanto pare, purtroppo non avverà a breve. Si aspetta.
Ma i Palermitani credo siano un po’ stanchi di aspettare, sono stremati da questa moria che sta colpendo la cultura della nostra città.
L’ho detto tante volte, ma non lo ripeterò mai abbastanza: Palermo ha tanto da dare, è un gioiello grezzo, è come una vecchia signora che si è lasciata andare, come una madre anziana abbandonata dai suoi figli (ingrati) sola in un ospizio. Sola, povera e sulla via della follia. Perché c’è da diventar matti davanti questa realtà.
Dovremmo fare veramente (e seriamente) qualcosa e chiedere a gran voce che lo stato dei fatti cambi.
La Regione Sicilia (e anche i Siciliani) dovrebbero capire (ma non solo a parola) che il mare e le belle giornate non sono più sufficienti per attrarre turisti.
Palermo non è solo estate. Palermo è, o quanto meno dovrebbe essere, soprattutto anche cultura.
Abbiamo la fortuna di esser stati una terra crocevia di popoli che ci hanno lasciato innumerevoli regali, dei regali che ora noi stiamo semplicemente buttando in una di quelle discariche abusive che trovi passeggiando per le strade del centro storico.
Serve investire sul patrimonio artistico per dare ai turisti un motivo valido per tornare. Perchè i turisti che decidono di venir a passare qui le vacanze parlano della nostra terra con compassione.
I turisti devono poter dire: vado a visitare una città europea, Palermo, dove ci sono palazzi, musei, scavi archeologici e ANCHE il mare.
Palermitani, che ne dite, è il momento di avere anche noi compassione della nostra città?
Facciamo qualcosa?
Forse è vero che in Italia abbiamo troppa bellezza, non riusciamo più ad apprezzarla, ma soprattutto non ne cogliamo il valore monetario. Non conosco Palermo, (purtroppo) ma conosco tante altre città che si sono ritrovate in situazioni simili e non hanno saputo reagire con decisione. Investire nella cultura ha il duplice scopo di attirare visitatori e di dare lavoro ai tantissimi giovani laureati che non chiedono di meglio.
che tristezza.