Come state messi a satira?
Non so voi, ma a me è capitato, in alcuni periodi della vita, di non sopportare i comici.
Col senno di poi ho capito che non si trattava di scarso senso dell’umorismo, ma di una grave intolleranza al cosiddetto “spirito di patate” di certi buffoni da palcoscenico. Di quelli, per intenderci, che sono i primi a ridere alle proprie battute.
Il riso alle proprie gag è un po’ come il primo applauso del pubblico pagato, l’inchino ripetuto o il grazie anticipato: una nauseante forzatura.
Erano i comici inoffensivi quelli che vedevo, per caso, in televisione che mi portavano a cambiare canale, incazzata. Incazzata perché erano gli anni in cui il giullare per eccellenza era salito al potere. Erano gli anni del Bagaglino e di Facciamo cabaret, che ti distraevano, smorzando le tensioni con qualche caricatura o qualche duo canterino. Non erano programmi che mi attiravano. Forse perché allora ero un’adolescente che iniziava appena ad ascoltare i telegiornali e filtrava la vita politica attraverso i 99 Posse e Frankie nrg: una verve cupamente polemica.
O forse perché solo adesso che la satira s’è fatta un po’ più cattiva mi sembra che non serva semplicemente a distrarre, ma a catalizzare l’attenzione sui fatti, magari con effetto catartico.
Comici e politici si contendono la piazza sul versante della credibilità. Noi veniamo “rabboniti” in ogni caso, ma almeno coi primi siamo informati, mentre con i secondi siamo solamente gabbati.
Meglio ascoltare uno che prende in giro il Potere, piuttosto che ascoltare il Potere che prende in giro l’Uno.
Ma non voglio fare del qualunquismo, scusate, è solo l’effetto della campagna elettorale.
Non è un caso che io torni a riflettere sulla comicità.
C’è un comico che diventa serio, organizzato, arrabbiato, grottesco e, perdonatemi se non rispetto la par condicio: eroico, odiato, temuto e amato. È un comico che diventa politico.
C’è invece un politico che ha sempre avuto una naturale vena umoristica, buffa, per non dire triviale, becera, volgare, che ultimamente si sta gonfiando e ramificando, invadente e goffa.
Tutti i politici giocano con l’umorismo, c’è chi sceglie il sarcasmo aggressivo e chi l’elegante ironia. D’altra parte la battuta faceta è sempre stata l’asso nella manica di retori e uomini carismatici.
L’eccesso di umorismo, insieme ad altre variabili, ha rischiato spesso di azzoppare il senso critico. Ma altre volte è riuscito ad azzoppare l’abuso di potere.
È il fine a distinguere i mezzi. C’è chi ama far ridere la gente e c’è chi si fa portavoce della rabbia della gente. Non sono condannabili di per sé, ma in relazione al contesto.
Grillo che nei suoi spettacoli parlava del crack Parmalat rendeva omaggio alla satira più nobile (e nobilitante). Crozza, lungi dall’essere definibile “buffone” (come invece, a torto, ha fatto Marco Damilano nella rubrica “top e flop” dell’Espresso), è tagliente, sarcastico, la sua satira ha spessore informativo e lascia ridere amaramente chi l’ascolta, mantenendo acceso e vivo il senso critico.
Vauro «è come il buffone di corte, prima si è parlato seriamente, poi arriva lui» (cit. Vincenzo Sparagna, giornalista e disegnatore): ho sempre auspicato di scorgere aggressività nelle vignette di Vauro, a volte sembra mostrare i denti, ma non riesco ancora a capire se siano da latte o del giudizio. Per questo gli preferisco Biani e Makkox.
“Castigat ridendo mores”: se ridi e basta non è satira.
C’è, infine, chi non è classificabile in alcuna categoria, nemmeno in quella degli avventori da osteria, il buffone per antonomasia: Berlusconi, con le sue battute da “birichino” all’impiegata di Green Power.
L’ex Premier che fa le corna al vertice europeo. L’italiano che dà del “kapò” a Martin Shulz a Strasburgo.
Ecco, vedete, mi viene da pensare a quella barzelletta in cui in un bar ci sono un francese, un tedesco e un italiano che stanno discutendo su chi abbia tra loro più coraggio.
Ad un tratto il francese chiede: “Garçon, un coltello!”. Il cameriere lo porta e lui si taglia un dito.
Tocca al tedesco che chiede: “Cameriere, un’accetta, ja!”. Il cameriere la porta e lui si taglia una mano.
Tocca infine all’italiano che esita un po’, poi si alza e grida: “Cameriere! Una sega!”.
Forse farebbe ridere, se l’italiano immaginato non ci avesse mai rappresentato.
Nota: Pasquino è la più celebre statua parlante di Roma: ai piedi della statua si appendevano fogli contenenti satire in versi, dirette a pungere anonimamente i personaggi pubblici più importanti. Alcune “pasquinate” hanno rovinato, nella Roma rinascimentale, molte carriere politiche, e un celebre pasquinista, Pietro Aretino, per poco non ci lasciò la pelle. Tutti i tentativi di eliminare e zittire la statua si rivelarono inutili.