di Yuri Di Liberto
Un “pazzo”, uno “squilibrato”, un “folle”, un “malato mentale”, ecc. il 28 aprile 2013, ha fatto fuoco, in un gesto di cieca ferinità – o forse – di assoluta lucidità, davanti Montecitorio, ferendo gravemente due carabinieri. I media, ancora una volta, di fronte ad un evento come questo, continuano indefessi a battere sul ferro caldo (è il caso di dirlo) della vulgata “un gesto di follia”.
Caratteristico di questo atteggiamento mediatico è un certo modo di gestire l’insurrezione della Realtà (in termini lacaniani, il mai concettualizzabile), per mezzo di fini strategie linguistiche.
Andando allo stratagemma precipuo di questa retorica della follia, vorrei dire che quello che veramente viene messo in gioco è un appiattimento della follia alla mera dimensione del gesto riprovevole. In questo senso, i tg che hanno divulgato la notizia sono tutti leibniziani inconsapevoli.
Mi spiego. È stato Deleuze a ravvisare in Leibniz il principio di reciprocabilità di qualsiasi proposizione analitica. Se io dico, ad esempio, che “una figura geometrica con tre angoli è un triangolo”, essendo questa una proposizione analitica – ed essendo costitutivamente vera – posso affermare anche il suo reciproco, ossia che “un triangolo è una figura geometrica con tre angoli”1.
Mi pare che, nell’attualissima retorica della follia, l’operazione messa in gioco dai media sia esattamente la stessa; tutta la figura della follia viene appiattita sul gesto riprovevole, l’atto scabroso, sicché, se “il folle è colui che spara davanti a Montecitorio”, allora vale anche il suo reciproco, “colui che spara davanti a Montecitorio è folle”, assorbendo così qualsiasi significatività sociale alla mera dimensione della tautologia “il folle fa cose folli”, riportando tutto all’ombra dell’interlocutore tacito di ogni tg: l’individuo “normale”.
Cosa avviene veramente in seno a questi giochi di prestigio giornalistici? Forse viene proposto un nuovo discriminante per la follia, giacché, se essa si palesa come mera esteriorità – nel gesto socialmente pericoloso -, non solo sto suggerendo un modo per rintuzzare il rimosso (S. Zizek) di ogni politica (l’imprenditore suicida, l’operaio che non arriva a fine mese, il lavoratore in nero, ecc.) ma sto anche fornendo una facile equazione (a mio avviso strategicamente reazionaria) tra crimine e follia. Equazione spettrale, quest’ultima, che si ripresenta in chiave sottilmente nuova. Dico che si “ripresenta”, e che non si tratta di un’assoluta novità, perché la “sinergia” tra poteri polizieschi e teoria psichiatrica è già stata finemente descritta da Foucault2, laddove a partire dalla prima metà del XIX secolo, per un atto di legge, l’amministrazione locale doveva far passare al vaglio del sapere psichiatrico i presunti sospetti che, una volta esaminati dagli psichiatri, venivano poi, se ritenuti folli, internati.
Ciò che invece sentiamo adesso è un discorso più fine, generalistico, e grossolanamente giustificazionista: i media fanno passare un’immagine rincuorante e volta a mantenere lo status quo a tutti i costi, “i folli si ribellano = coloro che si ribellano sono folli”.
Viene da chiedersi: cosa ne sarà dei veri folli? O forse – mi correggo – che ne sarà dei veri ribelli?
1 Cfr. Giuliano Antonello, Prospettiva Deleuze: Filosofia, arte, politica, ed. Ombre corte, 2011, pag. 164.
2 Cfr. Michel Foucault, Mal faire, dire vrai: Fonction de l’aveu en justice, cours de Louvain, 1981, University of Chicago Press, UCL Presses Universitaires, Fabienne Brion, e Bernard E. Harcourt (eds.), 2012.
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* Sottolineiamo a scanso di equivoci che Abattoir è contro ogni forma di violenza; ad ogni modo pensiamo che l’articolo scritto da Yuri Di Liberto dia importanti spunti di riflessione a proposito del ruolo dei media nel “raccontare” la crisi economica che ci ha investiti.
Tra i vari, un non tanto vecchio nome: Massimo Tartaglia. Chissà che fine ha fatto…