N.B: Questo post, nato da una discussione su Facebook tra me, Enrico Flaccovio, Noemi Venturella e Vincenzo La Spesa, è stato composto a sostegno della tesi secondo cui i social network hanno delle grandi potenzialità positive. E voi lo dimostrerete articolando la conversazione nei commenti.
La discussione prende il “la” dalla condivisione di un articolo da parte di Enrico che cita me e Noemi e ci chiede cosa ne pensiamo, in quanto psicologa lei, social addicted io.
Il post riguarda il fenomeno dell’oversharing. Prima di addentrarci nel cuore della discussione, vediamo un po’ di cosa si tratta.
L’oversharing tecnicamente è quando si condividono in maniera eccessiva informazioni riservate ed esperienze troppo personali sui propri profili personali.
Questo post è molto interessante e ne consiglio la lettura. Ovviamente c’è chi lo fa in maniera del tutto bonaria e non necessariamente perché affetta da problemi di egocentrismo patologico, di cui si parla nel post di partenza.
Però – osserva Enrico – se ci guardiamo intorno è proprio vero: alcuni utenti sono un po’ ossessivi nel descrivere minuziosamente ogni minuto, ogni sfumatura della loro vita.
È come se fossero (se si sentissero) dei micro-vip che hanno costantemente bisogno di alimentare il loro essere “very important”.
Noemi da parte sua osserva che ormai è un fenomeno abbastanza (tristemente) palese, ma rilancia dicendo che è altrettanto inquietante lo scenario dei retro-vips che hanno costantemente bisogno di incensare questi “micro-vips” per essere “visti”.
Io da parte mia credo piuttosto che questo fenomeno sia una sorta di evoluzione (a volte distorta) dei rapporti.
Se ci pensiamo, prima dell’avvento dei social network, prima dei collegamenti multimediali, quando eravamo contenti o tristi per qualcosa o avevamo un problema ci rivolgevamo ai nostri amici condividendo fisicamente con loro i nostri stati d’animo.
Nella mia riflessione parto dal presupposto secondo cui per me la vita sui social network non è una alternativa, ma bensì una sorta di prosecuzione della vita reale, perché è reale anch’essa, a tutti gli effetti.
Per cui alla fine cambiano le modalità di condivisione, ma se una persona è fatta in un certo modo, per esempio è (come nel mio caso) molto espansiva, non è strano che condivida moltissimo e usi il social network come mezzo di comunicazione: magari prima faceva una telefonata o in tempi non tanto lontani mandava un sms, adesso invece sarà naturale (come lo è per me) postare una foto o un articolo sul diario o su un gruppo in cui si parla di determinati argomenti.
Fondamentalmente io credo che i social network colmino alcune distanze, soprattutto fisiche.
E per questo credo che, se vissuto in modo sano e con le dovute misure, l’uso di strumenti come i social network possa trasformarsi in qualcosa di positivo. Come questo post, nato da una discussione sul mio diario di Facebook.
È ovvio che se a usarli è una persona compulsiva, il suo uso sarà di riflesso compulsivo. Ma non sono affatto d’accordo nell’additare Facebook e compari come l’anticristo.
Anche perché, per esempio, io vivo (male) il fatto di avere i miei più cari amici lontani e se non fosse per i social network, a causa della routine quotidiana, perderei i contatti. Ok, non è la stessa cosa che viverci giorno dopo giorno e fianco a fianco, ma almeno li sento più vicini, quanto meno posso scambiare con loro battute di spirito o comunicare in modo veloce e istantaneo e aggiornarmi su quanto accade nelle loro vite.
Secondo Vincenzo i social sono un surrogato della vita sociale e poiché i surrogati per definizione non soddisfano, li si usa in eccesso finché non è la stanchezza a fermarci. “I social secondo me non colmano un bel niente, niente di sociale quantomeno”.
Anche Noemi è su questa lunghezza d’onda e se da un lato ammette che la vita sui social sicuramente è una prosecuzione della vita reale, qualche (serio) dubbio sul fatto che sia sana permane. E invita a pensare al solo fatto che si condivide con un molta gente (anche estranea o semitale) quel qualcosa che prima avremmo condiviso in modo diretto con qualche persona più intima!
E rilancia e nota un altro atteggiamento correlato all’oversharing, nel senso che ne è uno dei risvolti della medaglia.
Si tratta di una sorta di “lurking”, cioè tutte quelle persone che letteralmente vivono dando una “sbirciatina” ai profili altrui e leggendo quotidianamente le cose pubblicate dagli altri.
Si “aggiornano” sul mondo in questo modo, per usare un eufemismo. Però non scrivono niente, stanno sempre “off-line” e tacciono: si “nutrono” di altri senza dare alcun feedback.
Anche perché, effettivamente, questa realtà virtuale (come si diceva anche nell’articolo che ha dato il via alla discussione) ben si presta ai monologhi. Insomma, non presuppone quel dialogo e quello sviluppo maggiormente insiti nella comunicazione dialogica.
In pratica, scriviamo sui social network e le nostre parole sono delle bottiglie nel mare che non si sa a chi arrivano e perché arrivano.
Forse dovremmo interrogarci – continua Noemi – sul perché lo facciamo e sicuramente dovrebbe porsi questi interrogativi chi lo fa in modo esponenziale. Ma alla fine – nota – sono le persone come noi che se lo chiedono, quelli che lo fanno ogni tanto o con dei messaggi ben precisi.
Ma, effettivamente, chi letteralmente “vomita” al mondo-indifferenziato anche quante volte al giorno si cambia le mutande è probabile che non abbia neanche lo spazio per pensare e cercare un dialogo che non sia un dialogo di conferma e di incensamento. E (tra parentesi) non è nemmeno detto che quello che fa sia neanche un monologo, anche perché un monologo presuppone già un certo livello di elaborazione psichica. Più probabilmente – conclude Noemi – è una sorta di “agito” in forma di parola battuta su una tastiera (in psicologia si parla di acting).
Io chioso le riflessione di Noemi con questo pensiero che si sposta sul lato che mi compete.
I social si basano sulla condivisione, quindi se si “spiano” gli altri e non si condivide nulla non si è minimamente capito lo spirito di fondo di questo strumento, e si rischia solo di fare i “guardoni”. Di certo non sei “social”, ma a-social.
Penso a questi personaggi con un po’ di inquietudine, ma anche in questo caso credo che emerga in questo genere di comportamenti la personalità dell’utilizzazione.
Probabilmente – mi viene da pensare – si tratta di persone che amano stare anche nella vita reale davanti le finestre senza mai uscire, come quelle vecchine che si trovano ancora nei paesi sedute sulla porta ad osservare il passìo (le persone che passano).
Gente sola che nemmeno in questo caso riesce a connettersi con l’altro e creare legami, e per cui anche nella vita virtuale si è ritagliata questo ruolo.
A questo punto, Vincenzo fa presente che un aspetto tutt’altro che sano è quello delle pagine spotted che sono popolate da gente che scrive cattiverie e insulti sapendo di restare anonima. E che la cosa più preoccupante è che si tratta di gente che magari sei solito incontrare e che ti saluta come se niente fosse. “Avete presente – chiede Vincenzo – quelle tesi psicologiche sulla devianza che dicono che se si togliesse il “controllo sociale” quasi tutti diventerebbero deviati? Ecco, le pagine spotted ne sono la prova”.
In conclusione tengo a precisare che i social network sono UN mezzo e non IL mezzo di comunicazione e condivisione per antonomasia.
Ma è un mezzo importante per tutta una serie di motivi.
Per quanto mi riguarda sono motivi professionali, di affinità, di interesse, di amicizia e molto altro ancora.
E tu che ne pensi?
Condividi con noi le tue opinioni e partecipa a questa discussione.
I social network sono strumenti di comunicazione e di condivisione. Come tutti gli strumenti ci dovrebbe essere un libretto di istruzioni per il loro corretto utilizzo. Sia un motosega che un temperino servono per tagliare, ma non usiamo il primo per appuntire le matite. A proposito di strumenti, il problema principale è l’uso che se ne fa e la CONSAPEVOLEZZA che ha l’utente. La domanda che rilancio è: siamo educati ad un uso corretto e consapevole dei social network?
No, la maggior parte delle persone non sono educate.
Ma anche qui, credo che dipenda molto dal grado di educazione che uno ha nella vita “reale”. Se sei intollerante e sgorbutico nella vita quotidiana o sei hai la tendenza a lamentarti per ogni mimima cosa, probabilmente questi atteggiamenti si rifletteranno anche nell’uso dei social network.
Per quanto riguarda il manuale d’uso, te ne segnalo (se non lo conosci) uno favoloso: http://www.alessandrafarabegoli.it/manuale-di-buonsenso-in-rete-ebook/
Alessandra Farabegoli, content specialist si rivolge alle aziende, i consigli si possono benissimo applicare per i singoli utenti.
Ho appena scaricato il manuale d’uso, l’ho sfogliato e mi sembra interessante. Lo aggiungerò accanto alle mie letture in corso (La luna e i falò, …).
Io penso che il social network serva sì a condividere e comunicare, anche con persone lontane, comodo per informarsi, si è anche più vicini a certe realtà della propria città, no? Librerie, eventi, locali…favorisce la creazione di uno spazio comunitario, che a volte rimane virtuale, ma altre volte si concretizza in incontri, come ad esempio Il club del libro di Palermo. Ma non è il caso di tralasciare la costante tentazione cui cediamo tutti, di costruirci un’immagine e dare spazio, allo stesso tempo, alla nostra creatività, che ovviamente siamo felici se viene apprezzata e riceviamo qualche “like”. Nessuno sfugge a questo meccanismo, e ogni qualvolta scriviamo un nostro pensiero o pubblichiamo una foto, aspettiamo dei feedback, non abbiamo davanti uno specchio, abbiamo davanti un abito, una cameretta con dei poster, permettetemi di dirlo: “siamo uomini alle prese con la creazione”, per cui parte di noi si trasferisce sul “prodotto” e siamo felici se vende bene. Poi ci sono i casi patologici, ma tra i miei contatti io non ne trovo.
Altra cosa è lo spionaggio con chat off-line. Direi che anche la curiosità è un fatto antropologico. Personalmente a volte tengo la chat off line, altre volte l’attivo. La chat è una gran perdita di tempo, se si ha fretta, quindi si preferisce bazzicare i profili, lasciare qualche commento, o anche no, e via. Ma come si diagnosticano i casi patologici di chi non lascia mai feed-back? Non mi sembra plausibile.
Le pagine spotted sono state demonizzate sin da subito. Come già ho scritto altre volte, non sono da prendere sul serio, ma con un po’ di ironia. Se date un’occhiata vengono usate soprattutto per “dichiarazioni” o goliardate… quella usata in maniera più intelligente è spotted vucciria, un po’ meno devo dire quella della biblioteca di lettere. Ma fateci caso: appena ci sono “spotted” del tipo “oh, tu che eri vestita male ecc, fai schifo” (per fare un esempio, perché ci sono anche cose di sto’ genere), ebbene, cose di questo tipo ricevono subito dei commenti negativi, non sono accettate o ben viste dalla “comunità”. Una comunità di gente che dovrebbe comunque auto-disciplinarsi, ma è pur vero che le aspettative, quando si tratta di esseri umani, di rado vengono soddisfatte, e la “patologia” è sempre in agguato, pronta a far vittime o “carnefici”. Credo però che gli amministratori delle pagine spotted potrebbero, in questo senso, costituire un filtro/censura, e la cosa si risolverebbe.
Non condivido la maggior parte del commento… sicuramente pensare ai social come l’Anticristo è follia. Però andiamoci con le pinze. Vediamone il bianco e il nero. Siamo equilibrati e non scissionisti.
Purtroppo conosco molta gente che ha ed ha avuto una “doppia vita” o addirittura delle “doppie identità”; che è andata incontro a dipendenze, a ossessioni ed a misconoscimenti di una vita vera fin troppo reale e normale, in ragione di una virtualità molto più eccitante, solo solo poiché facilmente idealizzabile. Tu non sei un tipo di questi sicuramente, ma guardati meglio intorno e coglierai dei segnali!
In merito, rispondo a questa tua affermazione: “Ma come si diagnosticano i casi patologici di chi non lascia mai feed-back? Non mi sembra plausibile.” Dicendoti che non è così! Proprio poiché da molte ricerche effettuate (in campo psicologico e dalla nostra stessa facoltà in primis) il fenomeno sta risultando massivo, si stanno predisponendo strumenti per monitorarlo e “diagnosticare” i cambiamenti che elicita, tra cui le patologie di cui stiamo parlando! Non è affatto fantascienza ( :
mmm io non sono un’esperta, quindi approfondirò. Grazie comunque agli autori per l’input ;)
Grazie a voi per animare questo dibattito!
^_^
Io non faccio una grande distinzione tra vita-reale e vita-su-facebook. Quando le capacità tecniche si evolvono di conseguenza cambia anche la percezione umana e il comune sentire spazio-temporale. Pensiamo all’invenzione del treno, dell’automobile e infine dell’aereo! L’Uomo con la “U maiuscola”, a mio modesto parere, non esiste. Non possiamo paragonare i mezzi di comunicazione moderni ad un ipotetico Uomo che dovrebbe comportarsi in un certo modo per essere ‘sano’ e con delle relazioni ‘vere’. La resistenza alla tecnologia ‘tout court’ la fa vivere male e oppone il presente ad un’immagine ideale e quasi trascendente di Umanità. Come ogni strumento, è l’utilizzo a determinarne il valore e non il contrario: facebook non è ‘cattivo’ e non è neanche ‘buono’, può essere usato bene (criticamente, selezionando i contenuti, creando reti sociali) o male (il mero voyeurismo, l’appiattimento emotivo). Un rischio estremo, ma comunque non trascurabile, è quello di ridursi all’attività del proprio Profilo, eliminando quasi completamente il contatto fisico con gli altri. Questo è il fantasma da debellare ed è qui che dovrebbe intervenire l’autoregolazione del singolo. Ma i social-network non sono un problema nuovo, già la pornografia massiva in rete tende a creare il medesimo ‘gap’ tra vita-vera e vita-non-vera, tra masturbazione compulsiva e vita sessuale soddisfacente. La mia interpretazione sta nel vedere questi cambiamenti tecnici come ampliamenti del campo vitale della comunità che può trovare altri spazi di comunicazione, di espansione e auto-creazione. Certamente le devianze saranno sempre presenti ma, come dicevo a proposito della pornografia, non ci sorprendano più di tanto!
Trovo questo commento molto intelligente e lo sposo in pieno, tranne che per quest’ultima parte: “La mia interpretazione sta nel vedere questi cambiamenti tecnici come ampliamenti del campo vitale della comunità che può trovare altri spazi di comunicazione, di espansione e auto-creazione.” …che poi è anche quella di cui discutevamo con Marilisa. Non perché tu abbia detto una cosa sbagliata, anzi. Ma perché oggi troppo spesso noi tutti non troviamo più di tanto “altri spazi di comunicazione, di espansione e auto-creazione.”
ci appiattiamo sulle modalità (molto più superficiali) dei social. E’ l’evoluzione, hai ragione. Ma non ci porterà (psicologicamente parlando) del buono e basta.
Io invece nel commento mi ci ritrovo alla grande. E’ proprio quello che intendo. :)
Riflessioni giuste e dovute. Le faccio spesso anch’io (anche sul mio blog).
Condivido con te Marilisa il discorso ” guardi e non condividi, che tristezza”, ma che dire…i guardoni ci sono sempre stati e ora hanno più mezzi per vivere la loro vita attraverso le emozioni degli altri. Contenti loro! Io poi ho il problema contrario. Nella home, facebook ha deciso di non mostrarmi tanto le info degli amici quanto quelle delle pagine e io, che non sono curiosa, mi perdo tante notizie :( però condivido molto e uso anche qualche restrizione, che non guasta mai.
Per quanto riguarda l’oversharing, ti dirò, negli ultimi anni, ho raggiunto una grande serenità social. Nel senso che all’inizio tutto mi sembrava doppio. La mia di vita e quella degli altri era a rischio irrealtà e falsità. Documentare per forza, esibire, ostentare, perché??? Oggi invece le mie due identità (Zia Cin e Cinzia) sono diventate un unicum. I miei amici, nella vita reale, mi chiamano Zia e condividono con me molto grazie ai social. Tutto è diventato naturale e vero. Tutto si è avvicinato. Superate le avversità dei primi anni, vivo la faccenda in maniera molto positiva. L’unico problema che ancora ho è quello di tenere separate le amicizie virtuali con quelle reali, destinandole a piattaforme social differenti. (me lo chiedevo anche in un mio post dal titolo: Facebook: profilo pubblico o privato?) .Ma credo che una soluzione non ci sia e che in fondo la divisione non sia neanche giusto farla. Il mondo social mi ha regalato amicizie nuove e sincere. Mi ha fatto conoscere personalità uniche. Basta capire che queste persone, dietro i loro pc, esistono davvero. E tenerne conto. Con tutte le conseguenze del caso ;)
Concordo. Ed anche mantenere un buon livello di lucidità, sincerità e consapevolezza sui risvolti delle cose (come scriveva qualcuno nei primi commenti), che dalla tue parole traspare!
Ben detto! :)
Sui social se fingi di essere qualcuno che non sei, sai come ti sgamano?
Vale per le persone, vale per le aziende che si approcciano ai social.
Buonasera, direi che l’argomento è stato affrontato da molti punti di vista e c’è poco d’aggiungere, se non il descrivere come io vivo la cosa.
Il mio utilizzo dei Social network è molto basato sulla conversazione, per questo motivo non amo molto FaceBook, sono quasi obbligato ad essere presente per lavoro, ma lo utilizzo solamente per condividere cose che ritengo interessanti o per cazzeggiare. Twitter invece è più vicino al mio modo di vivere social, dove riesco a parlare con le persone, a cercare un punto di contatto, così quando ci riesco si crea una relazione e a quel punto mi sento appagato. Dal mio punto di vista, I SM devono darci una possibilità di conoscere persone lontane che in altri modi non potremmo scoprire, finalizzando la relazione a conoscere dal vivo i nostri migliori social amici. Ho provato quest’esperienza con una decina di persone e conoscerle dopo averci parlato per mesi è stato davvero interessante. Non parlo solo di relazioni d’amicizia, ma anche di quelle professionali che si stanno arricchendo in maniera esponenziale con il passare del tempo.
La maturità deve darci la misura, deve farci dire basta o scegliere come impiegare al meglio il nostro social tempo, ma soprattutto credo che quello che siamo on line deve rispecchiare esattamente ciò che siamo off line, altrimenti la fatica del recitare diventa presto insostenibile.
Che dire, Matteo? Un signor commento e una signora opinione che condivido in pieno spirito social!
Tempo fa ho scritto proprio per il tuo blog un guest post in cui dichiaravo apertamente il mio amore per i SN, beh, quell’amore è ancora vivo e le aspettative che ripongo in questo strumento dalle grandi potenzialità sono molteplici.
Per citare un noto fumetto “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, motivo per cui ogni cosa ha bisogno di essere dosato e usato tenendo sempre i piedi per terra. Non si deve optare per una vita social più appagante, ma integrarla in modo armonico e ottimizzare i tempi. Ci sarà il tempo del social, il tempo dell’off-line e la qualità di entrambi questi tempi dovrebbe essere ben vissuta in maniera sana. Tutti gli eccessi storpiano.
“Cum grano salis”. La locuzione latina è, secondo me, appropriata. Perché, come in qualsiasi aspetto della nostra vita, il buon senso dovrebbe essere la nostra linea guida. Specialmente nel rapporto con i social media in cui il buonsenso dovrebbe essere il nostro faro. Concordo molto con quanto scritto nel post da Marilisa. Non bisogna demonizzare i social network, piuttosto l’utilizzo che se ne fa. In pratica siamo noi che decidiamo che cosa condividere, con il nostro bagaglio di motivazioni, desideri e autocompiacimenti. Certo è che i fenomeni dell’ego ipertrofico e il lurking sono, secondo me, i due volti “patologici” della stessa medaglia.
Già, pensa che io conosco gente che usa FB o Twitter per lagnarsi da mane e sera di tutte le “immani” disgrazie che Zeus gli scaglia contro… Va beh, inutile dire che se qualche tempo fa gli avessi fatto un colpo di telefono, avrebbe fatto lo stesso.
I social sono un luogo in cui potersi esprimere chi ha necessità di esprimersi e diventano luoghi di sfogo per chi ha bisogno di una valvola per depressurizzare. Non è detto però che tutti vogliano assistere a questo exploit. :)
Ovviamente il punto è proprio questo, però vorrei dare a partire da una frase di questo commento un altro spunto (che parte da questo argomento e poi si amplia) di riflessione. lo scrivo in fondo perché riguarda tutti però!
Proprio tu sei una di quelle persone lontane che mi stanno arricchendo da un punto di vista umano e professionale e prima o poi sono sicuro che ci incontreremo completando il percorso iniziato con un follow.
;) Sono sicura di sì! :)
Innanzitutto grazie per tutti questi commenti!
Questi post a quattro mani e i vostri commenti seguenti sono molto gratificanti per Abattoir, poiché sono l’esplicitazione dell’importanza feconda del confronto che ci ha portato a dare vita a questo spazio. Quindi grazie a voi che ogni tanto ci fate vedere che serve!
Detto ciò, voglio darvi un nuovo input a partire da una riflessione che condivido: “l’utilizzo che se ne fa. In pratica siamo noi che decidiamo che cosa condividere, con il nostro bagaglio di motivazioni, desideri e autocompiacimenti.”
Siamo sicuri che la maggior parte degli esseri umani oggi abbia le strutture interiori per decidere con equilibrio che uso fare di un social come facebook?
Non parlo necessariamente di voi che sapete qui argomentare (e credo/spero non solo difendere) la vostra posizione, ma dell’altra gran fetta di popolazione che facebook raccoglie.
Io non ne sono affatto sicura.
L’poca attuale, “liquida” (Z. Bauman) e destrutturata e deresponsabilizzante, spesso perfino “disidentitaria” e satura, è anche più brava a darci Mezzi in vece di “motivazioni, desideri e autocompiacimenti” adeguati… equilibrati, per usare un termine ricorrente (e giustissimo) in questi commenti.
Ed ecco, è qui che facebook non è il demonio in sé.
Forse, se esiste il demonio, è quell’uomo (non quello che fruisce di tutto ciò) che ce lo dà in pasto dopo attenti studi psicosociologici, essendo dunque ben consapevole degli effetti che ciò ha. che soddisfano i suoi (i loro?) fini.
Noi possiamo affrancarci da tutto questo NON COLLUDENDOCI.
La collusione è una cosa terribile e terribilmente inconscia…
Ci riusciamo? Ci riesco? Spero di sì, ci provo almeno. Proviamoci!
E con questo mi ricollego infine alla riflessione di qualcuno lassù che parla di fare buon uso del nostro tempo sui social (ovviamente non prendendosi in giro, tutti possiamo dire che un pomeriggio a lurkare le foto degli altri è buon uso… collusivo – appunto -, narcisistico e o parassitario però (: ).
…E ancora grazie degli stimoli che mi date per riflettere!
Leggendo le vostre riflessioni non posso fare a meno di linkarvi qui uno dei miei post sull’argomento http://paroladiziacin.blogspot.it/2013/04/facebook-profilo-pubblico-o-privato-due_26.html giusto per rimanere sull’onda della discussione.
Le domande sono tante (tipo quelle esistenziali) e io mi avvalgo, come voi, dei consigli di chi potrebbe, perché no, pensarla anche diversamente da me ;)
Bisogna ammettere che dalla fine degli anni ’60 circa (il classico passaggio dal metodo di produzione ‘fordista’ a quello ‘post-fordista’) le regole del marketing sono radicalmente cambiate. Il tuo discorso sul produttore che impone un metodo artatamente studiato per intrappolare gli allocchi non mi sembra che possa funzionare in un mercato fondato sulla richiesta dei consumatori. Il marketing moderno ha il Consumatore (notare il maiuscolo, prego) come ‘centro’; una sorta di rivoluzione copernicana della produzione che non crea falsi bisogni (cosa falsamente data per scontata da moli complottisti o presunti tali) ma intercetta (bel termine, mi piace molto) correnti di pensiero e di azione trasformandole in piattaforme e format variabili. Dunque, tirando le somme, mi sono un po’ perduto, ecco: non condivido l’atteggiamento maternalistico-protettivo quando si parla di nuove tecnologie. Ripeto un po’ quello che avevo scritto precedentemente. Uno strumento non ci può essere negato o peggio ‘regolato’ da una qualche Autorità, altrimenti bisognerebbe fare lo stesso con gli altri strumenti come i coltelli, i peni, le mani o i le puntine da disegno.
No, aspetta. Il 1° punto è che ovviamente la negazione no, è repressione.
Il 2° è che la regolazione dovrebbe essere innanzitutto Intrapsichica (presupponendo – ed è questo su cui io volevo interrogarmi con voi – che la larga maggioranza delle popolazione abbia le strutture mentali per autoregolarsi equilibratamente).
Che poi possano servire anche delle norme esterne (quantomeno morali o deontologiche) non mi pare follia, altrimenti avvalliamo il cyberbullismo e non consideriamo l’autolesionismo derivante dall’uso dei coltelli una patologia!
Per il resto, invece, sono in forte disaccordo, ma probabilmente abbiamo una formazione diversa.
Per come la vedo io, è l’opposto:
Il mercato è collude con la richiesta dei consumatori che ignorano i loro bisogni strutturali (perché non ignorarsi sarebbe la strada più difficile) ed hanno bisogno di riempire vuoti (interiori) con oggetti di godimento immediato. OGGETTI. Non sostanza, spesso. Altrimenti non si butterebbero le cose con questa facilità, secondo me : P
Sicuramente è vero che il mercato intercetta ad hoc queste correnti di pensiero e di azione trasformandole in piattaforme e format e oggetti perfetti per l’uomo-del-momento …Che non è più quello del momento dopo!
Ma io questo non lo sminuirei semplicemente con l’idea che il mercato “soddisfa i bisogni dell’uomo, che è bravissimo a leggere”.
Il potere, la finanza, l’economia soddisfano i loro bisogni di crescere attraverso la soddisfazione di alcuni bisogni dell’uomo, ovvero quelli materiali, con cui volutamente (soprattutto negli ultimi anni!) saturano i bisogni intrapsichici.
Non sono falsi bisogni per come intendi tu, ma sono bisogni parziali, oggettuali, mimetici, grazie a cui la collusione produttori(anche di potere!)-individuo produce continuamente ricchezze (per pochi) e consenso.
“Il marketing moderno ha il Consumatore (notare il maiuscolo, prego) come ‘centro’”; VERO! Perché tramite questa centratura fa soldi e si alimenta!
Ma chi è il vero centro se il consumatore compra ciò che il potente decide di produrre, facendo credere alla società che quello sia IL giusto, LA norma? La produzione oggi modella la società impartendo mode, costumi, stili di vita e di pensiero precisi. La bidirezionalità dell’influenzamento esiste, ma è comunque asimmetrica!
E’ il mio angolo visuale, non necessariamente corretto, ma ti assicuro che da parte mia non c’è complottismo; d’altronde “noi” psicologi “campiamo” curando queste patologie…. non abbiamo ritorni economici e carrieristici (semmai solo etici!) a lanciare questi “messaggi” a chi vive dentro un pc, a chi non sa chi è fuori dalle chat, a chi dipende dallo shopping compulsivo o dalla chirurgia estetica o dal gioco d’azzardo patologico e non vive più al di fuori di ciò.
P.S.: sì, stiamo allargando il campo, ma non credo sia un male!
Prima di tutto ci tengo a farvi i complimenti per la bella analisi, sia di Marilisa che di tutti gli altri. Si è scaturita una discussione degna di nota dove tutte le opinioni hanno un fondo di verità. Come diceva Matteo ormai avete detto tutto, ma ci tengo a dirvi cosa sono i social per me. Io li ho scoperti “dopo vecchia”, solo due anni e mezzo fa (adesso ho 35 anni, quindi sì, l’ho scoperti da “vecchia”). Fino ad allora avevo una pagina Facebook che aprivo molto raramente e solo con un preciso scopo: vedere cosa facevano i miei amici. Avete presente una di quelle pagine dove dai l’amicizia solo a chi conosci veramente, quindi di persona? Poi ho scoperto il mondo del web e con lui tutti gli annessi e connessi, social compresi. Il primo amore è stato Twitter: il social “condivisore di conoscenze”. Poi sono venuti gli altri e piano piano ne ho scoperto la potenza, tanto che adesso non potrei più lavorare senza le pagina nascoste di Facebook. Ma io i social li uso per lavoro e li vedo sotto un’altra luce. E li ho scoperti da vecchia. Come mi comporto? Esattamete come nella vita reale, con una piccola differenza: se mi fanno arrabbiare riesco a sdrammatizzare, mentre invece, nella vita reale, salto al collo come un dobermann :D
Credo che in fondo ognuno di noi sia così: chi è rompiballe sui social lo è anche nella vita reale, oppure vorrebbe esserlo, ma non ne ha il coraggio. Chi è invidioso, poi, lo vedi lontano 10 km, esattamente come nella vita vera.
Una cosa sto sbagliando: distinguo i Social dalla vita vera e in realtà nel mio caso non è esattamente così. Sui social ho costruito il mio futuro, quello della mia famiglia, ho conosciuto il mio socio e tanta bella gente. Alla fine non riesci più a distinguerli e credo che per chi come noi fa questo mestiere, sia inevitabile.
Da brava lettrice web non ho letto perfettamente tutti i commenti, quindi mi scuso se ho ripetuto concetti già espressi (il post però l’ho letto tutto ;) )
Il nostro modo di abitare la rete è legato al concetto secondo il quale un contenuto creato da molti acquisti un valore più grande ed unico rispetto alla somma dei singoli. Condividere non è solo ritwittare un post altrui, ma offrire il proprio aiuto nel momento in cui si percepisce il bisogno. Tuttavia è necessario creare un profondo dialogo per captare un’esigenza derivante da una persona che non si conosce, in quest’ottica la conversazione diventa essenziale e il valore del social network è quello di dare la possibilità di comprendere il bisogno d’aiuto altrui.
Sono davvero contenta di questo momento “social”. Oggi abbiamo condiviso idee ed opinioni. In vero spirito social! Grazie a tutti/e!
Non sentivo una visione così ottimistica della rete da almeno 10 anni xD
Siamo sempre gli stessi esseri umani, sempre le stesse scimmie evolute che riescono a mantenere attive circa 150 amicizie.
Io accetto molto raramente eppure ormai sono a 393 tra colleghi di due facoltà diverse e amici e compagni di palestra di due corsi diversi, non si può avere empatia per tutta questa gente e nemmeno comprendere il bisogno di aiuto altrui, specialmente poi quando si è sommersi da esibizionisti che espandono i loro sbalzi di umore fino ad apparire affetti da disturbo bipolare.
Che valore avrebbero poi le foto della festa di ieri notte o il fatto che mi piaccia la nutella? la qualità delle informazioni trasmesse è in massima parte bassissima.
Mi dispiace ma non riesco ad attribuire questo ruolo ai social.
Per questo preferisco twitter, le conversazioni sono atomiche, non parlo con una persona in base a quanto la conosco ma solo in base alla discussione corrente ( con qualche eccezione ovviamente, alcuni contatti li conosco abbastanza ma di altri sono solo follower ).
Io devo dire che, nonostante la tua visione si parecchio estremista, per una volta mi ritrovo più in lei che in quella di altri eccessivamente ottimisti (oppure, nel migliore dei casi, molto equilibrati, per loro fortuna).
Continuo però a sostenere che questi equilibrati che si sono espressi qui sono una minoranza rispetto “al resto”! Quando si parla di fenomeni sociali, se li vogliamo vedere tali, penso che dobbiamo allargare il campo a tutti coloro che li compongono… Mi piacerebbe, in sintesi, che questi “tutti” fossero così equilibrati come sembrate voi commentatori, sarebbe tutto migliore (:
Consiglio la visione di questa puntata di South Park in cui Stan si trova a combattere contro il proprio ‘Profilo Facebook’! :D http://www.southparkstudios.com/full-episodes/s14e04-you-have-0-friends
Secondo una recente ricerca svolta da Bitly, i link postati dagli utenti su social network come Facebook e Twitter sarebbero in grado di attirare l’attenzione dei navigatori soltanto per poche ore concentrate immediatamente dopo la loro pubblicazione. Naturalmente questa considerazione non sarebbe valida nello stesso modo per tutte le tipologie di link, vi sarebbero infatti collegamenti a news sulle quali l’interesse si spegnerebbe molto velocemente e altri che riuscirebbero a sucitare maggiore seguito; in ogni caso la “vita media” di un link non supererebbe le due ore.