In ogni spazio concepibile vi sono dei margini e un centro, o almeno così ci hanno insegnato alla scuola elementare durante l’ora di geometria. Come ogni piano, anche la città, vista dall’alto, ci appare un’unità con un centro e dei margini.
Ma ciò che sfugge alla veduta aerea è che il ragionamento euclideo non coincide con la realtà urbana.
Se andiamo un po’ oltre l’osservazione astrattamente romantica della città ci accorgiamo che ogni variazione e ogni modificazione della stessa corrisponde ad una soddisfazione di un bisogno ben preciso, quasi sempre ascrivibile alla categoria di riproduzione di una certa economia (variabile a seconda delle epoche).
Un piccolo libro di David Harvey (Spaces of Capital: Towards a Critical Geography), geografo e studioso inglese contemporaneo, spiega chiaramente quello che possiamo constatare nella maggior parte delle città occidentali (o occidentalizzate): ogni nucleo urbano tende a riprodurre i rapporti di produzione del sistema economico vigente, nel nostro caso, il capitalismo neo-liberista.
Cerchiamo di capirci. Ogni qualvolta si utilizzano le parole produzione, riproduzione e capitalismo sembra di scontrarsi contro un muro teorico che non ci compete pienamente o, quantomeno, che non si capisce poi così bene e non si potrà mai afferrare pienamente. Ecco perché vorrei portare un esempio visibile vissuto in prima persona a partire dalla condizione di residente a Saint-Denis, periferia nord di Parigi.
Qualche mese fa, nella piazza principale della città, ho visto una folla che protestava davanti al palazzo del Comune. Mi sono informato sui motivi della contestazione e mi è stato detto che il sindaco aveva dato l’ordine di sgomberare due palazzi occupati da famiglie di sans-papiers (i nostri immigrati clandestini). La cosa che mi ha sorpreso è che l’ordine di espulsione non è stato emanato per motivi legati alla violazione della proprietà privata bensì in seguito ad un piano di rinnovamento urbano dello Stato francese, creato già nel 1977.
Lo scopo del piano è di migliorare l’habitat e rendere più salubri gli stabilimenti così da rendere più vivibile la città. Questo è quello che viene fatto passare dai media e dunque dall’opinione pubblica. Potremmo dire che questo è lo scopo di facciata, ecco. Quello che inquieta è che, una volta terminata la ristrutturazione dei quartieri e costruiti nuovi palazzi, queste case non vengono riassegnate secondo criteri sociali, bensì affidate ad agenzie immobiliari che si occuperanno di trovare acquirenti e/o affittuari.
In poche parole, lo Stato investe una somma di capitale che poi tornerà indietro sotto altre forme. Queste altre forme sono ciò che possiamo chiamare “riproduzione”. Per essere più precisi possiamo dire che il target dei fruitori dei nuovi quartieri residenziali sarà socialmente più elevato rispetto a quello del sans-papiers. Questa gente dovrà sicuramente arredare la casa, chiamare un ditta edile per fare eventuali lavori e tutto ciò che concerne la vita quotidiana. Dunque bisognerà costruire altri centri commerciali (o allargare quelli già esistenti), così da far girare l’economia e dunque riprodurre un sistema di produzione, di domanda/offerta già previsto. Ecco che quello che avevamo definito “centro” si sposta al margine periferico e diventa piccolo-centro, e così via, così da non avere un solo punto focale della città ma tante cellule autonome e allo stesso tempo convergenti.
Che fine hanno fatto gli immigrati clandestini, forse vi chiederete. Si sono organizzati in collettivo e chiedono di essere regolarizzati, continuano a lavorare in nero e continuano a lottare per quelli che dovrebbero essere i loro diritti in quanto residenti e lavoratori sul suolo francese. Rimangono al limite della vita cittadina, un passo al di là del margine.