– Tratto da “Tutta colpa della maestra” –
Manca poco. Per fortuna, sono quasi arrivato. Si fa presto a dire che il quartiere è sicuro: non esiste sicurezza per chi è diverso. Qualche bullo si trova sempre, disposto a picchiarti e magari a violentarti contro un muro, mentre i suoi amichetti ti tengono fermo. Non ci posso pensare. Perché la gente non riesce a capire? Mi piacciono le donne: e allora? È così da quando sono nato, non so che farci. Mentre i miei compagni si tenevano mano nella mano con i loro amichetti, sorridenti e ammiccanti, a me piacevano le bambine. Quante sberle ho preso, dalla maestra! “Smettila di toccare i capelli a Silvia!”
Le mie madri furono chiamate dal direttore, e si vergognarono da matti. “Guardate di tenere vostro figlio lontano da quelli di sesso diverso dal suo” tagliò corto lui con uno sguardo severo e insieme pietoso. Le sentii parlare, quella notte “Cosa abbiamo fatto di male, per meritarci un figlio etero?” sbottò mamma Daniela tra le lacrime, mentre mamma Simonetta cercava di consolarla “Credi, non siamo sole … Tu pensa che Luigi e Andrea, hanno tutti e due i figli così! Un maschio a cui piacciono le ragazze e una femmina a cui piacciono i ragazzi. Roba da matti!” Il silenzio di mamma Daniela per me fu come uno schiaffo. Poi andò anche peggio, quando provò a cercare una spiegazione genetica alla mia anormalità “Eppure … sono figli del loro seme, nati da un utero in affitto perfettamente a norma … Magari avranno avuto dei casi in famiglia di cui non sapevano niente!… ci pensi che roba? … “ “Proprio una bella sfiga” concluse mamma Simonetta con un sospiro.
Io, da quel giorno, per via della discriminazione – mia nonna Sara non mancò mai di ribadire che è meglio un figlio drogato che un figlio etero – asciugai in silenzio molte lacrime, mentre dentro di me pregavo un Dio giusto, del tutto diverso da quello che la Chiesa Omosessuale cristiana mi imponeva (tra l’altro, lo sanno tutti che i preti e le monache si danno un gran da fare, protetti dalle mura dei conventi). Capii infine che non mi sarei mai piegato alle loro ricorrenze farsesche, e all’obbligo di sposarsi solo tra persone dello stesso sesso! Perché mai dovevo sentirmi in colpa, poi? Dove stava scritto, che dovessi essere io, il “diverso”? Avrei trovato una ragazza con i miei stessi gusti “anormali”, e me ne sarei fregato, se anche non ci avessero fatto sposare, né ci avessero permesso di avere dei figli nostri, o di prendere insieme un mutuo e godere dell’assistenza medica riservata ai nuclei famigliari omosessuali. Altri prima di me hanno già cominciato a lottare, e anche alcuni genitori di ragazzi eterosessuali hanno appoggiato la battaglia, dando sostegno alle associazioni Arcietero. Parlano di voler dedicare una giornata a noi, per il nostro orgoglio, l’Eteropride. Chissà, magari un giorno anche le mie madri capiranno.
Entro e mi tolgo le scarpe per non far rumore, poi socchiudo piano la porta della mia camera e vado a letto.
Dopo un’ora, Simonetta e Daniela si alzano insieme e vanno mano nella mano a spiare Claudio che dorme. Il ragazzo ha spalle grandi e fianchi stretti, lineamenti armoniosi e gambe lunghe. Pare un angelo. “Non gli mancherebbe proprio niente, per essere gay. Che spreco!” pensano contemporaneamente.
(Questo racconto è nato da una bellissima idea di mio figlio, che ha voluto generosamente regalarmela perché la scrivessi. Insieme lo dedichiamo ai nostri numerosi amici omosessuali, a cui vogliamo un monte di bene).
di Roberta Lepri e Dario Germani
Bellissimo! Davvero una bella intuizione!
Sono felice di essere oggi su Abattoir! Grazie. Roberta Lepri
L’avevo già letto quest’estate. Ho trovato l’idea davvero originale!
Brava Roberta, questo pezzo va giù che è ‘na bellezza, come un buon vinello durante un lauto pasto, di cui però si scopre la robustezza quando ci si alza da tavola, euforici e alticci, e si fa fatica a reggersi in piedi e a capire dove ci si trova!
L.I.
Complimenti al figlio soprattutto! :) A testimonianza che tutti i pregiudizi non sono innati ma frutto della nostra “cultura”