di Serena La Malfa
Un cieco esce la notte, fra l’una e le quattro, con un amico, cieco anche lui.
Perché sono sicuri di non incontrare nessuno per strada.
Se urtano in un lampione possono ridere quanto vogliono. E ridono.
Di giorno, invece, glielo impedirebbe la pietà degli altri.
(Albert Camus)
Ho ventinove anni e sono un dannato. Il mio girone è il vestibolo dell’AIDS.
Fino alla scorsa settimana pensavo di condurre una vita “normalmente perfetta”: stabilmente fidanzato da due anni (con una donna, s’intende); partite di tennis due volte a settimana; una carriera stabile e stabilita, nessuna allergia, un pesce rosso, dei buoni amici e appuntamenti regolari dal dentista.
Io pensavo di avere fatto tutto per bene. Già, pensavo…
Pensiero n. 2
Ho trent’anni e ho perso la fidanzata e il dentista; ma Armando, il pesce rosso, non mi ha abbandonato. Quanto agli amici, a rimanere sono stati quelli che non si sono preoccupati di restare in una stanza piena di zanzare in mia presenza.
Sono stato contagiato da una mia ex. Quando lo scoprii lo dissi ad Ada, la mia fidanzata, che, a sua volta terrorizzata, fece il test: lei non risultò sieropositiva. Del resto avevamo sempre fatto sesso col preservativo perché lei era contraria ad altri mezzi contraccettivi; diceva che le avrebbero “inquinato” il corpo. Probabilmente dovevo fuggir via già al primo appuntamento, quando mi disse che non le piaceva il cioccolato. Andiamo, che cuore può avere una persona che non mangia cioccolato?
Insomma, lei, dopo qualche tempo, mi lasciò. La lettera che mi scrisse subito dopo è un capolavoro di meschinità patinata di riferimenti letterari. Scomodò Orfeo e Euridice, Cesare Pavese e Vecchioni per dirmi, in poche parole, che tutto quello che si piange non è amore.
Probabilmente aveva ragione. Ciò non toglie che per me la pateticità avrà sempre i suoi slavati occhi azzurri.
Pensiero n. 3
Mi chiedono, chi velatamente chi col tatto da carta vetrata, se sono omosessuale.
Mi chiedono, chi velatamente chi con la delicatezza di una caterpillar, se mi buco.
Ogni tanto il rancore.
Ogni tanto l’ironia.
Spesso un vaffanculo.
Pensiero n. 4
Trovare una donna è complicato. C’è stata Ilaria, terrorizzata all’idea di baciarmi; Sandra che non aveva intenzione di preservare un rapporto che andava preservato con il preservativo; Noemi che avrebbe voluto avere dei bambini; Giada che li aveva già e temeva per loro.
Vivo storie per lo più schifosamente platoniche, tra fobie giustificabili e pregiudizi agghiaccianti.
Pensiero n. 5
Colleziono domande che iniziano con “È contagioso…?”
… l’uso dello stesso piatto, delle stesse posate e dello stesso bicchiere, l’utilizzo dello stesso bagno, o delle stesse lenzuola, una stretta di mano, un abbraccio, una carezza, un bacio, un colpo di tosse, uno starnuto, una scorreggia. Sì, anche quella!
Pensiero n. 6
Siamo in macchina, sotto casa sua. L’ho accompagnata a casa dopo l’ennesima serata sorprendentemente piacevole.
Usciamo insieme da due settimane; mi piace molto e per questo rimando…
Lei è bizzarra; mentre mi parla fa continuamente cose con le mani: scrive, disegna sui tovaglioli, gesticola. È come se avesse le sinapsi nelle dita. E quelle dita sono più curiose di quanto io riesca a gestire. Mentre ci baciamo le comincia a usare su di me. Il suo tocco è pieno, sicuro e sensuale. La sua mano sinistra mi accarezza i capelli; la destra fa un movimento lento verso il basso, poi risale, poi scende nuovamente. Arriva dove voglio e dove temo che arrivi. Mi sbottona i jeans; adesso tra la sua mano e il mio pene ci sono a malapena le mie mutande.
«Sali da me…» mi sussurra all’orecchio.
Maledizione! Sto per scoppiare. Non ho la lucidità per pensare a una scusa.
Respiro, la allontano, mi calmo e le dico con fare seccato: «Non stasera. Domani devo alzarmi presto».
È così allibita che riempie la macchina di silenzio e punti interrogativi.
Ma l’educazione prima di tutto; mi dice un “Ciao” che suona tanto come un “Fottiti”, e scende dall’auto.
Torno a casa con un frustrante dolore all’orgoglio… e alle palle.
Pensiero n. 7
No, non vivo una vita normale. Piuttosto, vivo una vita cucita su misura su di me.
Mi avevano proposto un intervento di chirurgia plastica per riempire le mie guance scavate – effetto collaterale della cura. Si tratta di un intervento gratuito per noi dannati, per renderci più “normali”. Ho rifiutato sia per via di questo termine così schifosamente politically correct, sia perché proprio per via delle mie guance scavate mi sono comparsi degli zigomi degni di Jude Law.
No, nessuna vita normale.
Sono una bomba disinnescata.
La sofferenza non dà diritti, dicono.