di Annalisa Bracciante
Lunedì pomeriggio, 14:30. Vado a fare la spesa in un orario di scarsa affluenza. Spingo il carrello tra gli scaffali ricolmi di merci colorate. Gli espositori sono carichi di dolciumi e delizie che solleticano l’appetito. C’è il cioccolato in offerta! Mi lascio tentare dalla sua confezione dorata con le scritte rosse e nere e un’immagine che mi dice a gran voce: “mangiami!”.
Il mio giro per il supermercato continua, questa volta, però, seguo più attentamente la lista: latte, pasta, yogurt, carne. Arrivo alle casse, lì un’impiegata sorridente mi porge lo scontrino. Poi sposto lo sguardo un po’ più in là e trovo un altro sorriso, un sorriso ben più mite e sincero della quotidiana paresi facciale della commessa. È Gion! O meglio, io lo chiamo così. Il ragazzo non ha alcun cartellino e anche se lavora presso il supermercato non è un suo dipendente. Lui aiuta a riempire le buste della spesa e a portarle fino alle macchine. L’ho chiamato ragazzo, ma in realtà è un uomo dall’età indefinibile. Ha la pelle nera solcata dalle rughe, i capelli folti e ricci, due grandi mani ruvide e uno sguardo mite.
Non trattengo il mio sguardo su Gion a lungo perché mi vergogno. Mi vergogno della mia golosità che mi spinge a comprare un cioccolato a buon mercato pagato col sangue di chissà-chi, chissà-dove. Mi vergogno della nonchalance con cui casalinghe imbellettate fanno cadere una piccola monetina dorata e pretendono di essere trattate come delle padrone; “Tu, cioccolatino, prendi le cassette d’acqua! E sbrigati!” dice lo sguardo di certe donne. Mi vergogno di chi, arrabbiato per le proprie miserie, grida: “A casa!!! Tornate a casa!!! Qui lavoro per voi non ce n’è!”. Insomma, mi vergogno di chi continua a pensare che il mondo non sia la propria casa e di chi pensa che un africano non è proprio fratello, ma solo un pezzente che è venuto a rubare il lavoro-degli-italiani.
Per molti italiani trovare un lavoro dignitosamente retribuito è un grande problema, nonostante si abbiano in tasca una o due lauree. In alcune regioni d’Italia la disoccupazione sfiora persino il 50%. Viviamo in tempi di crisi economica (il crollo del NASDAQ, lo spread che sale, la decrescita del PIL…) e di crisi politica (la polveriera mediorientale, il nazionalismo U.S.A., i fragili equilibri europei, la nascita di nuove super potenze: i BRICS), in cui il mito di una pacifica esistenza basata sul consumo è sfiorito.
Prima la gente era insoddisfatta, ma grazie a una maggiore stabilità economica poteva coltivare il suo sogno di un’esistenza allegramente consumista. Adesso la gente è insoddisfatta, disillusa e arrabbiata, profondamente arrabbiata. Io, donna-bianca-26enne-qualunque-siciliana, non ho mai creduto che un’esistenza basata sulla ricerca e l’acquisto di beni secondari desse la felicità, ma riesco a capire la prospettiva di chi ci credeva. Se io, donna-bianca-26enne-qualunque-siciliana, posso comprendere le ragioni di un consumatore-uomo-bianco-50enne-veneto, perché quel consumatore-uomo-bianco-50enne-veneto non dovrebbe capire le ragioni di un uomo-nero-40enne-bel sorriso-africano? Cosa c’è di tanto diverso tra un uomo di colore che viene da un Paese povero per cercare un po’ di felicità e i nostri nonni che agli inizi del XX secolo, spinti dalla miseria, solcavano l’oceano?
Qualcuno potrebbe rispondere che è diversa la nazionalità: noi siamo italiani e loro “marocchini”. Qualcuno potrebbe dire che il pane che questi marocchini vogliono mangiare è il pane italiano. E allora signore e signori miei quello che vi dirò non vi piacerà. Quel che vi dirò è che se c’è una differenza, c’è tra voi e i vostri nonni. Voi siete dei nipoti annoiati, grassi, egoisti e viziati, mentre i vostri nonni erano affamati di vita, pieni di begli ideali, generosi e felicemente poveracci. Cari nipoti forse i “marocchini” assomigliano più di quanto non vi immaginiate ai vostri nonni bianchi.
A coronamento di questo articolo voglio far notare quanta evoluzione ci sia in coloro che urlano “ci rubano il lavoro”: https://www.youtube.com/watch?v=E7cfvaZVZpo Emergenza culturale e politica!
Bell’articolo, cade a fagiolo, oggi mezza mattinata spesa al supermercato semi-vuoto: c’e’ sempre un ragazzo che da’ i carrelli, ti aiuta con la spesa o ti dice semplicemnte buongiorno… non è poco, è un servizio onesto,dignitoso e utile, io stesso a volte tra casse d’acqua, cartoni di latte, sacchetti mi faccio aiutare ben volentieri.
Ringrazio sempre e do’ quanto c’e’ nel carrello e qualcosina in piu’ se capita.
Un Grazie detto con sincerita’ “guardato” negli occhi poi, credo sia meglio di una moneta da 50 centesimi.
Ciao
Marco.
Mi chiedo spesso se si possa monetizzare la gratitudine… Sembra un po’ troppo retorico e moralistico, però vorrei non me lo dicessero quel grazie-occhi-negli-occhi per qualche centesimo che sembra sempre troppo poco per quel grazie-occhi-negli-occhi. Gli ultimi a conoscere la gratitudine non possono che essere gli Ultimi.
Prenderlo cosi’ come viene..l’importante è il rispetto. Ciao