di Pigi Arisco
Solo. Mi sento solo.
Che assurdità, un uomo con una moglie e tre bambini che si sente solo. Eppure è così. I bambini sono ad una festa di compleanno, Marisol, mia moglie, è a lavoro, oggi fa lo straordinario pomeridiano. Ed io sono qui, sprofondato sulla poltrona, il telecomando poggiato sulla coscia. In televisione un documentario sulla savana. Discovery Channel.
Di che mi lamento? Beh, mi lamento del silenzio.
Non riesco a dormire con questo silenzio; sono le 4 del pomeriggio, di solito a quest’ora in casa mia c’è un macello. Televisione accesa a tutto volume con le sigle dei cartoni animati giapponesi, i miei figli che fingono battaglie interstellari sui divani, Marisol che lancia dalla cucina dei concretissimi proiettili di legno a forma di cucchiaio… È un cecchino quella lì, capace di centrare la chiappa di un bambino in movimento a 10 metri di distanza. Un fenomeno. I bambini lo sanno bene, infatti dopo il primo colpo, cercano tutti riparo dietro sedie, divani, tavoli, e soprattutto piombano in silenzio, persino il respiro è ben calibrato per non fare rumore.
Ecco, in questo momento c’è quel tipo di silenzio. Non riesco a dormire con questo silenzio. Eppure dovrei. Questa è la settimana dei vampiri. Cos’è? La chiamiamo così, in fabbrica. È la settimana dei turni di notte. Ogni trimestre ce ne tocca almeno una. In barba a qualsiasi regola contrattuale dobbiamo fare ben cinque turni di notte consecutivi.
Stamane sono rientrato a casa alle 9. La casa in silenzio, ma con ancora l’eco della confusione mattutina. Ovviamente non è un’eco sonoro, ma sono tutte quelle piccole cose che ti ricordano il rumore, la concitazione. I letti disfatti, l’asciugamano caduto in bagno, le mutande del giorno prima al centro della stanza dei bambini, le tazze della prima colazione con le briciole intorno. C’è ancora odore di caffellatte in cucina. Sembra quasi di sentirle le risate dei bambini e le urla di Marisol. Santa donna. Lavora e gestisce quelle meravigliose pesti durante tutto il giorno, quando dormo. Eh sì, la settimana dei vampiri significa questo. Dormire di giorno, cenare con la famiglia, e mentre tutti i componenti si rilassano per sprofondare nel sonno ristoratore, devi prepararti per uscire.
Marisol, nonostante l’abbia pregata migliaia di volte di andare a dormire appena le pesti crollano, si alza con l’ultimo briciolo di forze per prepararmi il caffè. Poi si siede con me al tavolo della cucina, con le braccia conserte poggiate sul tavolo, la testa piegata dalla stanchezza e gli occhi semichiusi dal sonno, ma con un sorriso che scalderebbe pure un cuore congelato. Avere accanto una donna simile è la più grossa fortuna che mi sia mai capitata, e vi assicuro che non sono state poi così tante. Molti mi dicono che anche il lavoro all’AgriGroup è una fortuna, che lavorare per un’azienda così grande è una buona cosa. Bah. A guardare questo documentario su Discovery Channel non mi sembra proprio. Guarda quel leone, all’ombra di un albero in attesa che una delle sue infinite mogli gli porti il cibo, ed una volta consumato il suo pasto, via con il sesso, lì, senza vergogna, davanti a tutti. Mica male!
Che culo i leoni, loro sì che fanno una bella vita, loro sì che sono fortunati. Io con Marisol non ho neanche il tempo di una carezza, ci incrociamo soltanto, lei che esce di corsa, io che ritorno stanco. Ed ora sono qui in silenzio, un silenzio angosciante. Il leone ha finito di fare l’amore ed ora si addormenta all’ombra del suo albero, sazio. Soddisfatto. Libero. Che culo i leoni…
Mi addormento. Adesso sogno di essere nella savana tutto nudo sotto un albero, i bambini sono da qualche parte a giocare, Marisol mi porta un cesto pieno di frutta fresca, il suo seno abbondante è coperto dal cesto di vimini, ma sotto… santa donna! Sotto è completamente nuda, erano anni che non mi soffermavo ad ammirare il suo pube. E poi adesso è più bello! Alla luce del sole, con i riccioli che vibrano per la leggera brezza che li investe. Sento le farfalle nello stomaco, non ho più fame, non ho più sete, ho solo voglia di lei. Marisol capisce, mi sorride, posa il cesto di frutta accanto a me mostrandomi il suo abbondante seno. Mi ci tuffo con un ardente desiderio… di tenerezza. Non voglio fare subito l’amore, ho troppo bisogno di dolcezza, ho bisogno di poggiare la mia testa fra i suoi seni, di sentire le sue dita fra i capelli, le carezze sulle braccia ed i baci sulla fronte. Poi il momento della passione arriva, facciamo l’amore selvaggiamente, rotolandoci sull’erba pungente, mentre tutti gli animali della foresta ci guardano con un misto di noia e curiosità. Facciamo l’amore in mille posizioni come non l’abbiamo mai fatto. Ad un certo punto mi ritrovo a ruggire ferocemente sopra di lei. Sussulto, mi sveglio.
C’è Marisol che mi sorride tenendomi una spalla. «Lucio, ma che stavi sognando? Avevi un sorriso da ebete stampato in faccia!».
Imbarazzato mi sollevo sulla poltrona nascondendo con il braccio l’erezione, riesco a dire soltanto: «Mah niente, sciocchezze, sognavo i leoni».
Marisol mi guarda il braccio ben piantato sui pantaloni, sorride con gli occhi e mi dice: «Forza leoncino, che stasera è la tua serata fortunata. I bambini restano a dormire da Francesca. Ti ho preparato la cena».
«Davvero? Siamo soli? Ma che ore sono?».
«Sì, siamo soli, sono le 10.30 di sera e se sei riuscito a dormire fino ad ora è perché ho fatto tutto in religioso silenzio. Vieni a tavola».
Ceniamo, all’inizio imbarazzati da tanta intimità, restiamo in silenzio non sapendo cosa dire, senza bambini da rimproverare, con la paura di dire qualcosa di stupido o scontato. Ma poi, come sempre Marisol risolve tutto, comincia a fare la buffona, a dire scemenze, finché non scoppiamo in una bella risata comune. Il resto della cena prosegue allegramente. Alla fine lei va a prendere la frutta, la vedo arrivare con il vassoio in mano, istintivamente guardo in basso, verso il pube, si ferma, guarda anche lei.
«Che c’è, sono sporca? Ho cucinato senza grembiule, lo sapevo, mi sono macchiata la gonna!».
«Ma no, no, stai benissimo, è che… pensavo… che culo i leoni!».
Mi alzo, le tolgo il vassoio di mano, l’abbraccio e la bacio pieno d’amore e tenerezza. Lei ricambia, mi carezza la nuca con una mano ed il fianco con l’altra, poi, sempre con la mano nel fianco, mi allontana da sé. Mi guarda, mi sorride, e mi sussurra all’orecchio:
«Hai dormito troppo, leoncino. Adesso è tardi e devi andare. Ma sei fortunato, domani non lavoro. Non ti stancare troppo stanotte, e quando tornerai a casa potrai riscuotere il tuo premio».
«Non lavori? Perché?».
«Come perché? A te la settimana dei vampiri ti scombussola proprio, domani è il Primo Maggio. Noi, lavoratori normali, non lavoriamo».
Già, il Primo Maggio, la festa dei lavoratori, nessuno lavora, non ci sono consegne da fare, non ci sono fornitori in arrivo, è il giorno giusto per la pulizia dei macchinari in fabbrica. Ed ecco che la squadra dei vampiri comincia fin dalla mezzanotte l’organizzazione delle “pulizie di primavera”, come le chiama il padrone.
Mi godo il sorriso di Marisol con la tazzina di caffè in mano, poi prendo la giacca, le chiavi della macchina e via a lavorare, di Primo Maggio. Giusto il tempo di carezzare Vito, il nostro cane che da dentro la cuccia, di nascosto, mi manda dei piccoli mugolii di saluto. Il pigrone! Neanche si alza per salutare il suo padrone. Domani col cavolo che gli porto il solito cornetto con crema, anche perchè tutti i bar saranno chiusi… Basta! Continuare a pensare al Primo Maggio mi farà venire l’ulcera. Forza Lucio, è un giorno come gli altri, pensa a far bene il tuo lavoro, che quando torni Marisol ti aspetterà tutta nuda come nella savana.
La notte scorre tranquilla, con i colleghi facciamo proprio un bel lavoro. La macchina imballa-fieno è talmente pulita che potrebbe essere rivenduta per nuova, l’abbiamo smontata in ogni sua parte, pulita ed ingrassata per bene. Adesso è proprio un peccato doverla sporcare di nuovo per il collaudo. Franco prepara il fieno, Roberto è alla guida del mezzo, sta facendo manovra, proprio mentre il sole sta sorgendo. Che meraviglia, questo significa che sono le 6 del mattino, ancora due ore e potrò correre a casa. Il rumore dell’imballatrice è veramente forte nel silenzio della notte. Poi, un secondo, ma che dico, una frazione di secondo, un lembo della camicia viene agganciato dai sottili denti di metallo, vengo risucchiato dentro. La mia mano, il mio braccio per intero, parte del mio petto vengono inghiottiti dagli ingranaggi, poi finalmente i macchinari si fermano, non sono fatti per macinare ossa e muscoli. Vedo i miei amici che si affannano a smontare i denti, corrono, urlano, piangono, ma io non li sento quasi più. Sento solo freddo ed il sole non splende più, sembra stia tramontando. C’è sempre più buio, sempre di più, sempre di più…
Note:
GROSSETO, 1 MAGGIO 2010 – Un operaio agricolo, Lucio Rossi di 33 anni, è morto in un incidente sul lavoro nella campagna di Alberese, vicino a Grosseto. L’uomo stava lavorando con un’imballatrice per fare le ruote di fieno quando, per motivi da chiarire, è rimasto incastrato tra gli ingranaggi della macchina agricola. Il suo corpo è stato trovato da un collega che ha chiamato i soccorsi.
A Lucio, a tutti i caduti sul lavoro ed a tutte le Marisol.
Grazie di avermi fatto immergere e affezionare in poche righe a Lucio, morto sul lavoro il primo maggio, festa dei lavoratori.
Bello e commovente, bravo.
Grazie mille. A volte un trafiletto sul giornale scatena qualcosa. Hai voglia che qualcuno dedichi qualche parola in più a quel ragazzo morto il giorno che avrebbe dovuto stare con la sua famiglia. In Italia la media è di due morti sul lavoro al giorno! Ed ognuno di loro lascia vedove, figli, mutui da pagare… Lucio ha avuto il trafiletto perché è morto il 1 Maggio. Gli altri neanche quello.