Pensando a Sbarbaro / e a certi suoi / (frettolosi) collocatori. / Dubbio a posteriori: / i veri grandi poeti / sono i “poeti minori”?
(Giorgio Caproni, Res amissa)
Tra la gente comune circola un’idea un po’ bizzarra: letteratura italiana è Dante, Petrarca, Boccaccio, Leopardi, Manzoni, Foscolo, D’annunzio, Pirandello e (se si è fortunati) Sciascia!
Secondo un pregiudizio piuttosto radicato, infatti, l’immenso patrimonio della letteratura nazionale si limiterebbe a quel centinaio di autori raccolti nelle antologie ad uso scolastico. Compendi minimi, a volte scritti male, a volte scritti bene, ma in ogni caso privi dello spazio sufficiente per rendere conto di tutto lo scibile in ambito letterario. Di conseguenza si usa un principio di “autorità” per scegliere chi includere e chi escludere. Gli scrittori inseriti nelle antologie sono quelli onorati dalla tradizione. La tradizione crea il canone letterario, cioè, l’insieme degli autori importanti che sono degni di finire nei libri di scuola. Inevitabilmente da questo processo di canonizzazione vengono tagliati fuori tantissimi autori “minori”. Ma si badi bene, gli autori minori non sono quelli meno dotati o con meno inventiva, sono semplicemente quelli a cui la tradizione non ha dato spazio. Pier Maria Rosso di San Secondo è uno di loro. Se, spinti dalla curiosità, si cercassero notizie sul citato drammaturgo e romanziere siciliano nell’enciclopedia Treccani on-line (di certo non vi potete aspettare di rintracciarlo in un manuale scolastico!), si troverebbero solo alcuni cenni sulla sua vita e sulle sue opere teatrali1, troppo poco per interessarsi a uno sconosciuto. Eppure Rosso di San Secondo fu uno scrittore intenso e prolifico, capace di analizzare la società a lui contemporanea in maniera impietosa e allo stesso tempo dotato di una grande sensibilità e attenzione per la psicologia dei suoi personaggi. Insomma è uno dei minori ma non è inferiore a molti dei grandi.
Nella consapevolezza che più della lode alle qualità dell’autore valgano i fatti, fatti che in questo caso sono parole, bellissime e acutissime parole, offro ai lettori alcuni stralci de Le donne senza amore, opera narrativa scritta attorno al 1918 e ancora molto attuale:
[…] come avesse portato già a lungo un fardello troppo gravoso per le sue spalle, si provò a effondere a Coluccio la pena dell’animo suo, simile a una bambina che domandi ad altri la ragione del suo male.
Coluccio era abituato a parlare con la moglie in un tono medio di falsetto, con un sorriso sempre soffuso sul volto e con la celia sempre pronta sulle labbra; perciò non trovò subito la parola adeguata al linguaggio della sua Lorenza. 2
Lorenza moglie-“bambina” del pittore Coluccio si è appena ritrovata ad affrontare un lutto. In seguito allo shock provato per il suicidio di un’amica, decide di aiutarne la sorella. Il marito di Lorenza, però, non sembra avere capito la gravità del turbamento della donna, né ritiene che quanto sta accadendo a sua moglie sia degno di particolare attenzione. Coluccio, infatti, pensa di portare Lorenza con sé a teatro con il pretesto di farla svagare e l’intenzione di usarla come graziosa accompagnatrice. Mi chiedo a chi non sia mai capitato almeno una volta nella vita di intrecciare una relazione amorosa con un partner che, in nome di una finta amorevolezza, fa il bello e il cattivo tempo. La nostra protagonista, però, ha capito qual è la reale natura del rapporto col suo consorte e le riflessioni che ne seguiranno saranno dolorosamente consapevoli:
E poiché Coluccio riprese a guardarla allarmato, ella, insistendo, intraprese una analisi critica spietata sui loro rapporti, e dimostrò come tra lei e lui, oltre quell’amorevolezza un po’ convenzionale, non era esistita mai una forte comunione di idee; tanto che sforzandosi di ricordare, non trovava nel passato nemmeno l’accenno ad un serio discorso fatto, o a uno scambio di pensieri.
Sante, più stupito che convinto, si scusò, dicendo d’attribuire la mancanza piuttosto alla placidità nella quale erano scorsi gli anni del loro matrimonio, che a loro colpa.
– È mancata l’occasione – concluse. 3
Il dialogo tra Lorenza e Coluccio si consuma nell’ambito di un matrimonio borghese degli inizi del Novecento, ma le parole e i pensieri che i due personaggi si scambiano hanno una eco profonda anche in noi contemporanei, forse perché cambiano le mode, cambiano i costumi, eppure l’essere umano rimane sempre lo stesso e Rosso Di San Secondo ebbe la capacità di immortalare l’umano al di là del suo svolgersi nel tempo. Ma cosa è un classico, se non qualcosa che supera il tempo?
1 http://www.treccani.it/enciclopedia/rosso-di-san-secondo-pier-maria/
2 Pier Maria Rosso Di San Secondo, Le donne senza amore, Sciascia editore, 2004, pag. 26.
3 Ibidem, pag. 28.
E’ vero, ci saranno sempre tanti sconosciuti che avranno scritto buone cose, scritte con il cuore.
Io stesso qualche giorno fa’, mi sono ritrovato in mano “Il Quartiere” di Vasco Pratolini , un libro ingiallito, ristampa del 1977… prima di allora non sapevo neanche chi fosse. Merita.
Sarà ma penso che, aldilà del canone imposto dalla tradizione (che nessuno però si prende la briga di contrastare definitivamente), sia la forma linguistica a recare successo o meno ad un’opera. In Italia la lingua cambia così drasticamente da un cinquantennio ad un altro, per non parlare dell'”italiano degli scrittori” dei primi del ‘900 (incomprensibile senza un dizionario alla mano), per cui le opere sconosciute e degne di un seguito avrebbero bisogno di:
-lettori in grado di comprendere e gestirne le forme linguistiche, ormai obsolete. Oggi si parla e si scrive un italiano “povero”, tranne in rari casi.
-motivazioni forti per una diffusione (valori, morale, rapporti con l’attualità, capacità di rappresentare il passato…)
-uno studio approfondito e comparativistico della Letteratura Contemporanea, spesso trattata come appendice dal mondo della cultura universitaria, che rimpiange i fasti del passato, non capendo che i buoni frutti si raccolgono entrando in contatto con le altre forme culturali, proprio come facevano i Big dei canoni, non restando a contemplare i soliti frutti del proprio orticello provinciale.