di Chiara Vento
A Palermo c’è un grave problema (tra i tanti), quello della disoccupazione, che nel 2013 ha toccato punte da recessione (circa il 20%).
Tanta, troppa gente, non ha un lavoro, o ha un lavoro ma questo lavoro è in nero. E, cosa sicuramente più allarmante, c’è anche chi un lavoro ce l’ha e rischia di perderlo perché a breve non avrà una sede in cui svolgerlo.
Si tratta dei 4.500 lavoratori (tra dipendenti e lap) della società Almaviva, azienda leader in Italia nel settore dei call center in outsourcing. Si tratta di persone che per lo più sono entrate in azienda quasi per caso, con l’intenzione di farne un’occupazione temporanea da affiancare agli studi o da svolgere in attesa di trovare un lavoro “vero”, le quali però, a causa della crisi, hanno poi dovuto mettere da parte i loro sogni di gloria e sbattere la faccia contro la dura realtà. E così alcuni, che di certo da piccoli non sognavano di diventare operatori telefonici, hanno festeggiato la firma del tanto agognato contratto a tempo indeterminato nel 2007 e hanno iniziato a mettere su famiglia, a comprare casa e a investire sul loro futuro come avrebbe diritto di fare ogni individuo tra i trenta e i quarant’anni. Oggi quindi Mario ha due figlie che vanno all’asilo, Diego paga anche il mutuo, Giovanni ha preferito prendere casa in affitto con la moglie-collega di cuffia e ha lasciato il secondo lavoro.
Ebbene, tutta questa gente, che vive in un Paese in cui il lavoro stabile è un miraggio, potrebbe presto incrementare la già alta percentuale di disoccupazione, e questo non perché l’azienda rischi il fallimento, o perché magicamente il lavoro sia venuto a mancare, ma perché scadono (anzi, sono scaduti da tempo) i contratti d’affitto di una delle due sedi palermitane in cui lavora da anni, e nessuno si preoccupa di trovare una soluzione.
La vicenda, pur riguardando un’azienda privata, rappresenta tuttavia un problema “pubblico”, che le istituzioni locali non devono (o non dovrebbero) ignorare, dal momento che 4.500 lavoratori corrispondono ad altrettante famiglie che si sostentano proprio su questo stipendio.
Eppure, da svariati mesi, si assiste ad un triste quanto vergognoso scaricabarile in cui le due parti in causa cercano di esimersi dai propri doveri e dalle proprie responsabilità riversandoli l’una sull’altra davanti agli occhi stupiti e inermi dei lavoratori.
Stanchi di questo impasse che rischiava di assumere connotati politici, lo scorso 29 gennaio hanno così deciso di riversarsi in piazza per tentare di sensibilizzare la gente e di dare un segnale forte ad azienda e istituzioni. Probabilmente, anche a causa dell’eccessivo pacifismo che finora ha caratterizzato le loro proteste, nessuno è ancora consapevole che a Palermo esiste un’unica azienda che dà lavoro a 4.500 persone.
È stato un corteo festoso, con tanto di canti e di banda musicale. Niente cassonetti bruciati, niente atti di vandalismo verso beni comuni, niente scontri con la polizia. È stata una sfilata colorata fatta da gente perbene che, pur esasperata da una situazione che si protrae da mesi, crede ancora che una lotta pacifica possa dar loro la stessa risonanza mediatica che viene riservata quotidianamente agli operai Gesip o agli ex pip che purtroppo sovente hanno seminato scene di guerriglia tra le strade del capoluogo siciliano.
Al termine della giornata di protesta le istituzioni locali si sono impegnate a convocare entro otto giorni un tavolo tecnico tra sindaco, azienda, regione e prefetto al fine di individuare, tra i beni confiscati alla mafia, un immobile che possa contenere tutti coloro che attualmente lavorano per Almaviva Palermo e, allo stesso tempo, chiedere all’azienda garanzie sul futuro lavorativo di questi lavoratori. Futuro che, secondo una lettera inviata di recente (con un tempismo da Oscar) a tutti i dipendenti e firmata dall’amministratore delegato Andrea Antonelli e dal presidente Marco Tripi, sarebbe a rischio a prescindere dalla risoluzione del problema sede, a causa di una progressiva riduzione dei volumi di traffico telefonico dovuti alla tendenza dei committenti di inviare le chiamate all’estero (dove, si sa, il costo del lavoro è inferiore).
Il tanto atteso incontro (malgrado l’ennesimo preoccupante silenzio iniziale) si terrà oggi, mercoledì 12 febbraio, alle 18:30 presso la prefettura. L’augurio dei lavoratori è che inizino a delinearsi delle soluzioni concrete e immediate e che non si rimetta in scena l’ennesimo triste rimpallo tra le parti coinvolte.
D’altronde, si sa, la pazienza è la virtù dei forti, ma quando a rischio c’è lo stipendio con cui sfami tua figlia diventa difficile rimanere forti (e pazienti).
Grazie aabattoir per lo spazio che mi avete concesso.
Chiara Vento
Guardateli in faccia, trasmettete loro le vostre paure, rendete i loro sonni meno piacevoli… Siate dei Leoni che hanno fame, fame di verita’, basta bugie!
mercoledì 12 febbraio, chi non è in turno alle 17:30 presso la prefettura.
“Giovanni ha preferito prendere casa in affitto con la moglie-collega di cuffia e ha lasciato il secondo lavoro”.
Quest’immagine, nonostante tutto, è emblematica e tenera. Complimenti e speriamo bene.
Tanto i politici, “dicono” che non vi mollano :P
Chiara, grazie a te. Lo sai che quando vuoi puoi inviarci qualcos’altro. Mi dispiace non averti vista ieri al sit-in.
In merito all’articolo che dire? Purtroppo quella di Giovanni, Mario e Diego sono tutte storie vere, e accanto alle loro ce ne sono altre migliaia che non andrebbero ignorate. Scendere in piazza giorno 29 e sfilare al loro fianco è stato per me motivo d’orgoglio.
L’incontro di ieri, invece, per quanto mi riguarda, ha sollevato solo ulteriori dubbi sulla reale intenzione dell’azienda di salvaguardarci. Spero tanto di sbagliarmi,
Complimenti alla collega/autrice del pezzo per la capacità di raccontare quella che è la nostra situazione e a chi gestisce il sito per lo spazio concesso alla nostra causa dal momento che molti finora hanno taciuto in merito
Ho un figlio di 34 anni che da 3 lavora in questa azienda come lap, e se non troveranno una soluzione sarà il primo ad essere messo alla porta. Non è giusto che un laureato con 110 e lode e due figli debba vivere in questo stato di incertezza. Nessuno tutela questa generazione. Nessuno capisce che è un loro diritto costruirsi una famiglia e aver un lavoro con cui sostentarla.