I rom non vogliono lavorare, non hanno intenzione di integrarsi e amano vivere da nomadi. Detto in altri termini “hanno una cultura troppo diversa”. Quando si tira in ballo la Cultura, quella “con un gran Cul”, come direbbe Franck Lepage, si pone una distanza incolmabile che rende impossibile qualsivoglia comunicazione. Ci sono solo due modi per reagire alla Differenza Culturale: o una mistificazione immaginata/immaginante dell’Altro oppure un radicale rifiuto.
La Cultura, possiamo constatare, fa dei danni enormi, soprattutto quando ci si sforza di vederla anche là dove non c’è. Pensare che i popoli e gli individui restino sempre uguali a loro stessi in saecula saeculorum è un’illusione da antropologi di infimo ordine.
Leggere la storia e le migrazioni attraverso la lente della Cultura provoca abominevoli derive del pensiero (si veda ad esempio cosa scriveva Max Weber a proposito degli slavi polacchi emigrati in Germania).
Molto spesso, quello che si crede inciso come un bassorilievo sul nostro corpo e sulla nostra anima non è altro che una proiezione senza alcun fondamento veritiero. A volte basterebbe parlare con i diretti interessati, sedersi accanto a loro e fare delle domande, giusto questo per rendersi conto dell’infondatezza di tutta la valanga di discorsi sulle Culture e sulle eredità ancestrali trascendenti, immobili e immodificabili.
Domenica scorsa, con un paio di compagni e compagne del centro sociale Attiéké, sono andato di fronte al supermercato Leader Price di Saint-Denis, proprio ad un passo dal grande Stade de France e dal boulevard périphérique. Lì, nel parcheggio, ho trovato una parte degli abitanti del campo rom sgomberato a forza e distrutto dai bulldozer una decina di giorni prima.
Erano lì, con le loro macchine stracolme di pacchi ed erano seduti sul prato. I bambini, quando ci hanno visto, hanno iniziato a correre verso di noi dandoci una grande accoglienza. Gli adulti ci hanno offerto delle mele e ci siamo seduti insieme a loro. Abbiamo discusso di pratiche politiche da adottare, abbiamo ascoltato quello che avevano da proporre e loro hanno ascoltato quello che noi avevamo da dire. Cosa è venuto fuori dalla discussione? Che questi “zingari” provenienti da Romania, Bulgaria e Spagna vogliono una casa (se possibile un appartamento a famiglia, dato che non si trovano molto bene con gli altri vicini), vorrebbero lavorare, rivendicare politicamente le loro azioni (subite dallo Stato e compiute in quanto atti di resistenza, in quanto diritto di esistere ed essere visibili) e mandare i figli a scuola. Eccole qua le richieste dei rom, senza paternalismi né sottomissioni, desideri addirittura fin troppo in linea con il sistema economico neoliberista!
Mi avrebbe stupito se avessero chiesto grandi terreni in cui costruire allevamenti e vivere in un’idilliaca condivisione dei beni! E invece no, per quanto ai media piaccia mistificare questa strana cultura nomade, la realtà è leggermente differente.
Il nemico lo abbiamo creato fin troppo bene per separarlo dalle immagini incise sulla sua pelle di zingaro. I nostri occhi lo percepiscono immediatamente come Altro e diventa difficile fare un passo indietro e ritrovare le origini di questa invenzione.
Pericoli di lesa maestà all’ordine sociale precostituito sulle differenze e le classi. Che rendono difficile perfino la conoscenza. Hai fatto una gran bella cosa, vorrie vedere dei video! Ne hai da mettere su youtube?
E in ogni caso… Quanto riusciamo ancora a essere Lombrosiani….(?)
Certa “gente” non muore mai.