di Michele Scarpinato e Gas Giaramita
Gli accordi di Dublino parlano chiaro: ad un migrante viene data la possibilità di accoglienza da parte di un solo stato europeo, cioè quello che riesce ad identificare il suddetto e a registrare le sue impronte digitali. Questa operazione è innanzitutto poco chiara al momento della registrazione ed è limitante perché non permette spostamenti autonomi se non quelli d’obbligo e molto spesso inaspettati da un centro d’accoglienza all’altro. La soluzione adottata per esempio dalla maggior parte dei siriani sta nel rifiutarsi di dare le impronte, consci dell’inadeguatezza del sistema Italia e perché molto spesso hanno altre mete da raggiungere, come la Svezia.
Il sogno di molti è quindi quello di superare il confine italiano e ritrovarsi nel cuore dell’Europa.
La stazione di Milano non è che uno degli innumerevoli luoghi di sosta, che si spera sia temporaneo ma che poi si trasforma in un centro d’accoglienza improvvisato alla bell’e meglio, in cui migranti si ritrovano a passare le notti e le giornate, per non restare in mezzo alla strada e per sperare di lasciare prima possibile questa terra che li condanna ad una condizione di limbo. L’emergenza siriana è l’emergenza del migrante tout court proveniente da qualsiasi luogo di sofferenza e guerra. L’emergenza viene fuori perché lo stato è incompetente in materia di immigrazione e tra la paura di un’invasione di “turchi” e la complicità nei riguardi dei grandi magnati dell’accoglienza (Caritas, ad esempio) non si riesce a progettare granché di costruttivo né per loro, né per noi.