Mos maiorum
Già me li immagino, gli sbirri, salire sugli autobus e chiedere informazioni circa il permesso di soggiorno di quei tre in fondo, visibilmente stranieri perché neri. Io sto perdendo il mio autobus, ma questo controllo tarda la partenza del mezzo. Penso subito che stiano cercando qualche fuggitivo o chissà quale criminale. Non mi viene subito in mente (perché non ci posso credere!) quella formula latina che a scuola era spesso accostata a Cicerone: “mos maiorum”. È da un po’ di tempo che a questo detto si associa un nuovo disgusto da parte mia. Ma oltre ad informare e ad incitare la popolazione di origine straniera al passaparola sulle nuove dinamiche di uno stato controllore più che accogliente, non si può fare dell’altro, forse.
Sprar, Cas, Cda, Cpsa, Cara…
La nausea per le divise, per coloro che sono dentro ai circuiti del volontariato e che non hanno il minimo tatto, che dimenticano cos’è un uomo quando parla una lingua diversa dalla tua. I soldi che entrano, i soldi che girano, i soldi che affossano eticamente qualsiasi tipo di progetto, puntando molto spesso all’importanza della contabilità che fa perdere lo stimolo a credere che certi centri siano lì per le persone. Le persone, se così ancora posso definirsi, stanno ferme davanti ad una tv, giocano al biliardino, camminano e si buttano a destra e a manca, sono attaccate al cellulare perché non hanno niente da fare, nessun libro da leggere, nessuna persona accanto che possa dar loro la speranza. Una volta ho fatto vedere ad alcuni di loro la mia carta d’identità: e come se ne conoscevano le fattezze! Tutti, con le facce curiose e gli occhi spalancati, la volevano toccare come fosse qualcosa di prezioso. E io che la tengo senza alcuna cura dentro il portafoglio…
I documentari che documentano
Una sera ti ritrovi in un cinema che è strapieno, proiettano in anteprima Io sto con la sposa e molte persone dovranno rinunciare ad entrare perché non ci sono più posti. Un film che non riesco ancora ad elaborare anche dopo parecchi giorni, e che molto probabilmente avrò bisogno di rivedere. In una scena, un muro giallo si fa carico di nomi, numeri e date. Sono quelli che non ci sono più. Sono quelli che dobbiamo fissare nella nostra memoria. E come su quel muro questa pellicola, imprevista nello scenario provinciale di questa penisola, si fissa nella memoria di chi non sapeva, di chi non ne aveva idea, di chi non ci crede ancora che sia una storia vera. E poi succede, qualche giorno dopo, che ti ritrovi faccia a faccia con dei migranti che stanno per andar via, stanno scappando e sono qui solo per necessità di transito.
Ecco, certe pellicole sono la realtà spiattellata davanti nuda e cruda, così com’è. Senza finzione.