Le APL e gli iter selettivi

di Gregory Di Giovanni

In un mio post precedente avevo toccato il tema delle Human Resources aziendali secondo il punto di vista dei dipendenti di un’azienda, e mi era venuto naturale accostare le HR a degli avvoltoi; tuttavia, rappresentare solo un lato della medaglia di questo settore non renderebbe giustizia a ciò che di buono la parola HR può apportare nella vita di un lavoratore e/o di un candidato.
Può capitare infatti che un’azienda affidi il recruiting e la selezione ad HR che lavorano in quelle che nel gergo tecnico vengono chiamate APL (Agenzie Per il Lavoro). Se fatto bene, il lavoro nelle APL produce candidati in linea con quelli che sono i desiderata aziendali e fa in modo che la domanda si sposi perfettamente con l’offerta, perché la parola “selezione” equivale a SOLDI. Chi lavora in una APL, nonostante debba seguire multiple selezioni, ha la precisa responsabilità di trovare il giusto candidato per ogni ruolo, di far fare un’ottima figura alla propria azienda e di accaparrarsi il contratto e il corrispettivo monetario.

Non tutti sanno che una selezione costa mediamente circa 10.000 euro, questo perché una posizione vacante produce una low performance nel settore di riferimento, meno guadagno, una naturale richiesta di straordinari agli altri professionisti che lavorano in quella determinata area, il pagamento della “comanda” all’APL, oltre ai costi di gestione e all’apertura posizione per la risorsa da inserire, per cui sbagliare una selezione equivale a RADDOPPIARE i costi di selezione.

Questa premessa è fondamentale per spiegare nello specifico non solo come funziona un flusso di selezione, ma anche e soprattutto per spiegare quanto è importante la figura del recruiter con cui abbiamo a che fare ogni volta che ci candidiamo ad un ruolo.
Per la ricerca del candidato si usano dei criteri molto specifici, che partono da un job profile e da una job description; questi vengono inseriti poi in un annuncio di lavoro (detto job posting), passano per uno screening dei curricula e, dopo la suddivisione degli stessi in 5 categorie, si selezionano i candidati da chiamare per una prima intervista telefonica. L’intervista è importantissima perché in quei pochi minuti di conversazione il recruiter decide se chiamarti e proseguire la selezione oppure no.
Fare quindi una bella figura al telefono è fondamentale, bisogna essere decisi e capire al volo per cosa ti stanno contattando. Se ti sei candidato a una miriade di annunci, hai già sbagliato in partenza. Spesso infatti, pur di trovare un lavoro, ci candidiamo senza senso a tutto ciò che saremmo in teoria capaci di fare, ma non ci rendiamo conto che non tutto si sposa con quelle che sono le nostre caratteristiche e i nostri percorsi, per cui avere un ottimo filtro come un bravo recruiter è importantissimo per raggiungere l’obiettivo.

Dopo l’intervista telefonica, si viene convocati per un primo colloquio conoscitivo presso l’APL e, a esito positivo, si procede col primo vero colloquio con l’azienda commissionatrice.
L’azienda può essere in questo caso di due tipi: tecnocratica o manageriale. La prima è indirizzata a un tipo di personale molto tecnico, rigido nelle procedure, abituato a un tipo di lavoro standardizzato (tecnici e informatici, per esempio); l’altra è molto indirizzata a profili multiskill che fanno dell’apertura mentale e della preparazione il loro cavallo di battaglia.
È quindi necessario candidarsi per aziende che si avvicinano al nostro modo di essere, anche perché le APL sceglieranno solo candidati in linea con questi presupposti e se più candidati avranno profili simili, ciò che verrà scandagliato per fare la differenza saranno i loro hobbies, le loro qualità personali, il loro modo di approcciarsi agli altri.

Al colloquio in azienda il candidato vedrà il responsabile HR e l’uomo di linea (l’esperto/responsabile del settore in cui ci si è candidati) e inizierà così l’iter selettivo più tosto.
Il colloquio dura in media 40 minuti ed inizia con la classica frase: “Ci parli di lei; questo per dar modo ai candidati di sciogliersi ed aprirsi. Successivamente inizieranno le domande a tutto spiano sul ruolo scelto, sulle proprie aspirazioni, sul come e perché si è arrivati lì e verranno poste domande scomode per testare il grado di capacità di gestire lo stress. Ciò che sarà fondamentale è “pubblicizzarsi” nel migliore dei modi ed essere sicuri del perché si è lì, a prescindere dal fatto che si sta cercando un lavoro.

A questo punto l’APL torna ad essere il tramite tra noi e l’azienda: fornirà il primo feedback sulla valutazione del candidato e la data e l’orario per il nuovo colloquio. Se hai a che fare con un bravo professionista, questo ti chiama SEMPRE, sia in caso positivo che negativo. Tuttavia a volte, per mancanza di tempo o poca professionalità, la chiamata giunge solo a chi passa il turno.

L’iter potrà essere più semplice o più complesso in base al ruolo che si andrà a ricoprire; se ci si candida a un ruolo di responsabilità potrebbero esserci più iter selettivi, con annesse valutazioni psicologiche, test di ingresso per valutare le reali capacità del candidato, test sulla lingua internazionale e poi infine con il management.
Nella maggior parte dei casi, però, al colloquio fatto con HR e uomo di linea segue quello con il director o con il manager dell’area in cui lavorerà il candidato e qui si avrà già la percezione che tutto è diverso, perché ci si sta realmente giocando il posto.

Alla fine del colloquio inizia l’ansia a mille: ti chiederai come è andata, perché le impressioni che hai non sono mai reali e ciò che sembra andato bene spesso non lo è e viceversa. Il tuo punto di riferimento torna ancora ad essere il tuo recruiter. Non lo senti per giorni, lo ami e poi lo odi, non ti dà notizie se non parziali, perché la società non ha ancora deciso, perché la selezione è spietatissima.
Devi fidarti del tuo riferimento, che spesso “patisce” e fa il tifo per te soprattutto perché spera che tutto il suo lavoro non sia andato in fumo; devi aspettare a volte anche settimane e sperare che la risposta sia positiva.

Se verrai scelto, il recruiter ti farà compilare quello che viene chiamato “mansionario” (una lista dei compiti che dovrai svolgere nel nuovo posto di lavoro) e in questo caso il contratto potrà essere di due tipologie: assunzione diretta o assunzione subordinata. Nel primo caso diventi dipendente a tempo determinato o indeterminato dell’azienda commissionatrice, mentre nel secondo diventi “dipendente” dell’APL ma lavorerai dentro la società commissionatrice da dipendente a tempo determinato. Il tuo datore di lavoro sarà dunque l’APL: sarà lei a fornirti periodiche buste paga, feedback sul tuo operato e, se l’azienda ricercatrice non vorrà/potrà assumerti direttamente, potrà comunque continuare a farti lavorare per altri suoi clienti.

In sintesi, l’APL funge da società ricercatrice, ma può a sua volta diventare datore di lavoro temporaneo. In ambedue i casi i diritti del lavoratore sono gli stessi; cambiano solo gli interlocutori.
È importantissimo quindi sapersi candidare alle offerte di lavoro, essere obiettivi, saper scegliere gli annunci e soprattutto essere seguiti da APL serie. Cercare lavoro è un lavoro e se hai dalla tua parte un bravo recruiter sei a metà dell’opera!

4 thoughts on “Le APL e gli iter selettivi

  1. Post molto interessante, mi hai dato un sacco di informazioni che userò per farti tante domande xD

    Le dinamiche degli HR sono sempre state un mistero per me, ho sempre voluto parlare con un HR capo o meglio ancora con un dirigente di una grossa azienda per capire perché li usano in questo modo.

    In particolare mi sono sempre chiesto il perché anche nel caso di ricerca di tecnici si debba usare questo middleware di non tecnici che selezionano persone che fanno cose di cui conoscono ben poco.

    Ma partiamo da domande facili… che se ne fanno dei miei hobbies?

  2. Gli hobbies gli servono per capire se sei un serial killer: “Nel tempo libero mi diletto a sgozzare vergini sotto al chiaro di luna!” Ahahaha

    Scherzi a parte, articolo interessante :)

  3. Ah, quindi:

    – Collezionare coltelli è male.
    – Fotografare è bene.
    – Fotografare e collezionare coltelli è malissimo.

    Buono a sapersi xD

  4. Anche io ero parecchio scettico sugli hobbies,tanto che da anni non li mettevo minimamente nei miei cv,finchè ho scoperto e capito che una semplice passione può dare una chiave di lettura all’interlocutore sulla persona che “portresti essere” e se puoi essere un candidato che si avvicina al ruolo cercato.Il ruolo in una squadra di pallavolo per esempio può indicare la capacità di una persona di saper lavorare in team (il gioco di squadra nella pallavolo è fondamentale),può indicare quanto tu ti possa applicare a qualcosa e anche la tempistica,intesa come anni.indicare se sei una persona che segue il suo obiettivo fino alla fine mantenendo continuità o se invece si è portati ad essere orientati ad abbracciare qualsiasi cosa ci capita a tiro senza avere continuità nelle cose che facciamo.Il discorso è lungo,varrebbe la pena ampliarlo in un contesto diverso :)

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