Llegaste a mi vida y la llenaste de fe,
al principio tuve miedo,
pero luego comprendì que tù haces mucho bien.
Gracias te doy mi Niña Blanca,
por todas las bendiciones que le has otorgado
a esta devote tuya que quiere estar a tu lado,
porche tù eres esa luz que faltaba en mi camino.
Santissima Muerte, gracias por estar conmigo,
por cuidarme y protegerme.
Mi fe està contigo.
(preghiera dedicata alla Santa Morte)
La niña blanca si presenta magra magra, flaquita, piuttosto scheletrica. Viene chiamata in molti modi: la madrecita, la protectora, la milagrosa Nuestra Señora de la Muerte. Avete capito bene: MUERTE.
In Messico viene venerata come una Madonna e le sue effigie “spaventose” sono ovunque, fra le bancarelle dei mercati, riprodotti su amuleti, sui cruscotti delle macchine, orgogliosamente tatuate sulla pelle dei suoi devoti.
La Signora Morte è piuttosto vitale a dire il vero, visto che i santuari che la accolgono sono un viavai intenso di persone provenienti da ogni angolo del paese che le donano ex voto, pacchi di sigarette, alcool, viveri e tutto quello che secondo loro potrebbe ingraziare la Madrecita.
Il culto è particolarmente sentito nel “barrio bravo” di Tepito, a Città del Messico, covo di narcos e delinquenti, porto franco per spacciatori e luogo di cieca violenza dove ogni giorno si assiste a vere e proprie esecuzioni. In realtà per chi ci vive, Tepito è il posto migliore del mondo, anche perché è tra i pochi barrios ad aver mantenuto una fortissima identità culturale: vi si parla ancora una lingua strana, che è un misto fra l’antica lingua atzeca, l’inglese e lo spagnolo.
Il culto della Niña blanca, come affettuosamente viene chiamata in Messico, fino a qualche anno fa era del tutto clandestino. Era consuetudine tenere nascosta in casa una piccola “santina” della Señora Muerte dal potere taumaturgico; le donne, a bassa voce, tra un rosario e l’altro, bisbigliavano preghiere rivolte alla Madrecita.
Nuestra Señora di Guadalupe, il contraltare cristiano e “legale”, è di gran lunga meno “recettiva” rispetto a desideri, preghiere e voti. In pratica, dove non arriva la Madonna di Guadalupe arrivano le lunghe dita scheletriche della Niña Blanca; ad esempio, non puoi chiedere alla Guadalupe di toglierti un maleficio. Di contro, la Signora Morte si muove su un terreno decisamente più oscuro, pur non essendo affatto, a dispetto della sua natura, una divinità negativa. Tutt’altro: è una divinità vitale e portatrice di prosperità e fortuna.
I santuari dedicati alla Santa Muerte, erroneamente definita anche la Madonna dei narcos, meritano un discorso a parte. Intanto al centro di tutto c’è sempre lei, la magnifica statua scheletrica adornata da un vestito pomposo che può avere colori diversi, ad ognuno dei quali corrisponde un particolare potere taumaturgico. Di norma, i colori che maggiormente troviamo sono il bianco e il nero.
La cosa sicuramente più interessante da un punto di vista squisitamente sociologico è che i messicani non intendono la morte come mero passaggio (obbligato!) dalla vita terrena a quella ultraterrena, ma piuttosto come elemento estremamente vitale che invade l’esperienza dei vivi. La morte viene costantemente evocata, quindi esorcizzata, anche attraverso una spietata ironia, attraverso cuentos che si tramandano di famiglia in famiglia.
Anche in Sicilia, per certi versi, si avverte un’attenzione, oserei dire morbosa, nei confronti della morte, non solo per quanto riguarda il culto dei morti, ma proprio nel voler traslare la morte nel quotidiano, nel “vivo”, anche attraverso l’ironia di battute che evocano la morte, esorcizzandola: “si laria comu a muorti”, “putissi muoriri i subitu”, “megghiu a muorti” sono tutte boutade linguistiche che rafforzano il forte legame con la morte, anche come “complice” di battute.
Certo, siamo ben lontani dal culto della morte intesa come divinità foriera di prosperità, ma a mio avviso, in Sicilia, la morte è ha in sé qualcosa del “terreno” che si traduce in una serie di pratiche che tendono a renderlo un elemento estremamente vitale pur nella sua accezione negativa.
Heidegger dice: “siamo esseri per la morte”. E questo significa che tutto assume senso e pienezza e “colori” (P. Sloterdijk) proprio perché non siamo immortali e ce la godiamo meglio (in teoria), senza perdere tempo. Bisognerebbe smettere di occultarla, dunque…
(Ho voglia di cibo messicano.)
Anche io, sluuurpp.
La occultiamo, ne abbiamo paura, ma in realtà è l’unica certezza che abbiamo in questa vita. aahahah
La morte nei tarocchi è considerata come presagio di rinascita dopo la morte, un cambiamento.
“Il tredicesimo arcano è il simbolo della trasformazione, della rinascita, della liberazione e rappresenta la fine di un ciclo. Tutto cambia e si evolve. Il suggerimento è di cavalcare il tempo.”
È incredibile come i significati antopologici cambino così tanto anche a riguardo della “Morte”. Il numero 13 in altri paesi rievoca la morte e quindi la sfortuna, proprio per il 13° arcano. In Italia “fare 13” (al totocalcio) vuol dire “fare bingo”, vincere qualcosa.