A Sant’Elia, dove l’infinito abbraccia la terra e ne bacia i difetti e le virtù.
Mancavano pochi giorni al Natale nel “paese dei due mari”. Avevo dieci anni e i capelli del colore del sole, increspati ed infiniti come il mare che vedevo dalla finestra della casa dei nonni. Era come stare su una grande nave, o dentro un faro; certe notti la burrasca, illuminata dalla luna, dava l’impressione di stare in mezzo alla tempesta, facendo tremare le mura di quella piccola stanza più servizi. Sentivo i boati e l’irruenza dell’acqua sugli scogli: allora andavo sotto coperta, ascoltando mio nonno che se ne stava a sghignazzare a pochi metri dal mio giaciglio.
«Piccirì, addormi ca’ Gesù ti protegge».
Gesù mi proteggeva. Come, dovevo solo capirlo.
Quell’uomo astratto, conosciuto tra i banchi della chiesa, a messa, con gli occhi ancora impastati di sonno, mi proteggeva. Proteggeva me e i pescatori che di notte trasformavano il mare in un manto stellato con le loro lampare. Proteggeva la mamma che in quei giorni era in ospedale, ed il papà che prendeva il largo tra il sonno leggero del mattino. A me quell’uomo, in verità, faceva una gran pena: lo vedevo su quella croce, i chiodi sulle mani insanguinate, la corona di spine. Non riuscivo a sopportarlo a tal punto che un giorno cercai di tirarlo giù da un crocifisso tra lo stupore e lo sgomento dei parenti.
Poi, una notte di gennaio, mio nonno mi venne a svegliare. Me lo trovai ad un palmo di naso, con gli occhi azzurri e profondi che parevano brillare di luce propria.
«Sono arrivati» disse sorridendo tra le rughe disegnate dalle onde del mare. Battendo e sfregandosi le mani, con gli occhi ancora spiritati in un borbottio allegro, illuminato solo dalle piccole candele sull’altarino. Cominciò a vestirsi, come un piccolo bambino del profondo sud che scambia la grandine per la neve: maglione a collo lungo, pantaloni marroni, stivali, giacca, coppola. Estate e inverno.
«Andrea! Vestiti, forza, andiamo… Sono arrivati! Sono arrivati!» gridava.
«Ma chi? Che ti prende, nonno?» chiesi in tono polemico.
Mi prese tra le sue grandi mani, trascinandomi fuori, tra le stelle, avvolti solo dall’aria gelida della notte. La luna si ergeva all’orizzonte ed era talmente grande e bella da illuminare con il suo tappeto argenteo tutta la costa, proiettando le ombre delle barche sulla spiaggia.
«Devo farti vedere una cosa…»
Ansimava, gli fischiava il petto, ma continuò a correre nel buio tenendomi stretta in un pugno la piccola mano. Risalimmo il piccolo sentiero della collina a picco sugli scogli, battendo i denti. Dalla cima, un mare d’inchiostro circondava tutto ciò che i miei dieci anni potevano conoscere: la strada verso il molo, il piccolo cantiere, l’insenatura che spingeva il mare fin dentro le case lambite da ogni lato. Poi, quasi a tuffarmi nel vuoto, delle luci brillarono sotto il ricordo dei colori verdastri del giorno; dei riflessi cobalto, celesti, al sole. Erano luci artificiali che illuminavano quel Gesù che finalmente vedevo schiodato dalla croce, ma molto più piccolo, tra il bue e l’asinello ed alte figure che ne annunciavano la gioia della nascita.
Era un presepe, nient’altro che un presepe, ancorato al mare, a picco sugli scogli, ma piansi. Non compresi il motivo di quel moto interiore, ma quelle figure a me così lontane dal senso religioso non ancora maturo mi trasmisero pace. E poi, c’era la grandezza dell’animo umano che, sfidando il mare, ancorava le speranze e le preghiere a tutto ciò che dava un senso all’esistenza di vite bruciate dal sole e che versavano fin troppe lacrime in un mare già salato. Poi c’era mio nonno, un uomo buono, silenzioso, lavoratore, perso nei suoi pensieri; nei reumatismi che gli avrebbero bloccato le ginocchia; nella seconda vecchiaia incombente che l’arrugginiva come le ancore lasciate all’acqua e al sole.
A lui bastava quello per essere felice, per dare un senso alla vita: la magia di un momento, l’infinito della vita che proseguiva, che scorreva nel sangue di mani più piccole, come le onde del mare e il sospiro ad occhi chiusi prima di prendere il largo.
Oggi, a distanza di trent’anni, ci sono tornato. Il presepe sottomarino è già da un po’ che non lo fanno più, ma io qui ci torno lo stesso, anche se piove.
Vengo a trovare quell’uomo dagli occhi spiritati, tra le rughe increspate dai flutti che l’hanno visto invecchiare. Se guardo bene, è ancora lì che sghignazza ad ogni temporale, ad ogni boato: «Piccirì, addormi ca’ Gesù ti protegge».
Bellissimo racconto… leggendolo mi sembrava di trovarmi sui luoghi e rivivere quelle emozioni. Complimenti!
Grazie Max ;*
Caro Marco, a questo punto ti aspettiamo al varco! ;) A breve lanceremo un nuovo progetto e una nuova tematica. Inutile dire che spero vorrai partecipare. Non oso immaginare cosa tirerai fuori dal cilindro :P
Ho già dato :)