E insomma, nelle puntate precedenti abbiamo detto troppo.
Mi resta però una domanda: Chi si smuove veramente? Chi si sporca le mani? Chi scende in strada e prova dal basso a migliorare l’esistente? E, ancora più nel concreto: chi darebbe metà della propria cena a un barbone? Chi raccoglie la merda del proprio cane e/o ha un posacenere da borsetta e/o fa la raccolta differenziata?
Sarà che l’uso di quei “neuroni specchio*” che ci obbligano a immedesimarci nell’altro deve ancora conquistare il nostro pianeta per realizzare finalmente il detto biblico “NON fare agli altri ciò che NON vorresti fosse fatto a te”.
Sarà che la logica commerciale genera automaticamente competizioni, guerre ed egoismi ideologicamente naturalizzati che, con un trucco non tanto magico, ci appaiono modi di vivere naturali, ovvi, in cui si è autorizzati a sopraffare per sopravvivere!
E invece, leggo e mi convinco del fatto che la cultura del dono sarebbe la salvezza dell’umanità. Perché il dono – non quello di Natale, ovvio! – è “un pezz’i core”, contiene l’affetto e lo spirito del donatore, la voglia della continuità di un legame. Ho un’amica che non è ricca, ma mi fa spesso regali di cuore, e questo è uno dei suoi pregi più splendidi. Io spesso non posso ricambiare, ma per me è come una sorella, e questo pare che basti anche se mi sento in debito. Il miracolo del dono è proprio questo: crea un senso del debito che è, in fin dei conti, gratitudine che non va pagata e che genera affetto.
Forse il dono, allora, è il vero Dio che ci dà la vita regalando costole. Una costola donata è metaforicamente ciò che crea le “comunità” (da cum + munus: “mettere insieme dei doni”); è un modo di guardare alle cose in cui “insieme” significa vedere Altro, fare i conti con l’Altro, non farsi i cazzi propri perché ci piace ciusciarcela e cantarcela da soli, creare un luogo in cui abbiano legittima cittadinanza l’affetto e il rispetto dell’Altro, estraneo o familiare che sia. Perché noi discendiamo dagli Altri…!
Ma questa è la società dello scambio commerciale, non del dono! Oggi il dono senza secondi fini non può essere concepito. È un peso che crea zavorre laddove si tende invece a sciogliersi da tutto per essere Liberi in ogni momento. Perfino dall’amore. Perché non c’è bisogno di stare in relazione qui, non c’è nessuna “eccedenza di contratto” o di affetto, viene meno il legame; restano, al massimo, produzione, denaro e missili da impiegare per guadagnare petrolio, convenienza e benedizioni corrotte dal Vaticano. Oggi i grandi della terra cosa donano? Donano bombe ai bambini in guerra; o fanno l’elemosina una volta al mese per comprarsi il Paradiso, mentre costruiscono villoni abusivi e buttano il cibo scaduto in eccesso.
Mia nonna mi ha nutricato dicendo che “non si buttano le cose da mangiare perché i bambini muoiono di fame”; sono cresciuta con lo spettro dei bambini del Biafra e così ora sono accippata e mi sento in colpa quando non do gli spicci ai lavavetri abusivi (anche se penso che non sia giusto darli ai loro aguzzini tramite loro).
Non lo so, sinceramente sono confusa.
La secolarizzazione ci ha lasciato privi di valori e di punti di confine tra il “troppo” e il “troppo poco”, così se si va sul “troppo” ci si crocifigge di volontarismo e ci si sfonda di doveri (= morte e frustrazione) e se si va sul “troppo poco” si sopravvive, ma dentro si crepa gretti, ciechi, egoisti e nazisti. Cosa scegliere?
Non ho risposte scontate, visto che tutti vogliamo innanzitutto sopravvivere. Ma ho chiaro dentro di me che la salvezza è nella relazione e nel barlume di sincerità del dono.
Abbiamo bisogno di solidarietà, di ritrovare relazioni che ci aiutino a orientarci in questo casino, a convivere degnamente aiutandoci l’un l’altro senza Pilati pronti a lavarsi le mani pur di restare principini e principessine sul pisello, sempre giustificati a farsi grattare le palluzze dai servi negro-mulatti-bangladesi di turno.
Una politica della civiltà dovrebbe mettere al centro delle nostre vite solidarietà e responsabilità tra vicini di casa e civiltà planetarie. “Democraticità”, “altruismo” e “fiducia” sono gli ingredienti basilari di un cambiamento sociale che sia prima di tutto umano e culturale… Che, penso, può essere solo frutto di relazioni responsabili e paritarie.
Ma – anche se tutti la inneggiamo a parole su Facebook – la vogliamo questa democrazia? Questa responsabilità?
Perché sembriamo dis-habitués. Ma mi è troppo difficile pensare alla possibilità di un cambiamento, se i rapporti umani si sviluppano in un habitat strafatto di ego-ismo, corruzione, fascismo mentale, “mi nnì futtu” & “futti futti, tanto Dio perdona a tutti”, familismo amorale e compra-vendita di voti, favori, seggi, moralità, leggi, anime, amici.
Proviamo ogni giorno a rispondere a questo, invece di pregare Dio di non mandarci le bombe sulla testa mentre stiamo accendendo il mutuo per comprare gli elettrodomestici 6.0.
Si è sempre preferito aspettare una comoda rivoluzione,
la quale, si affermava, sarebbe giunta come un ‘evento’.
Si è tuttavia sempre elusa l’idea scomoda secondo la quale
nulla si verifica, che non sia provocato da noi stessi.
(P. Sloterdijk – Devi cambiare la tua vita)
(Fine.)
* Neuroni presenti nella corteccia motoria che si attivano tutte le volte che facciamo qualcosa imitando ciò che abbiamo già osservato negli altri. Ciò dimostra ad esempio:
- che i processi di rispecchiamento da cui deriva l'empatia sono biologicamente programmati;
- che l’uomo è un “essere sociale”, biologicamente programmato a essere empatico; se non lo è, è perché qualcosa sta pervertendo la sua natura biologica!