Alla fine di tutto mi ero immaginato all’interno di un video che strizzava l’occhio a Vasco Rossi. Ognuno di noi in pigiama, cuffie in testa e l’indice medio sul sopracciglio, la panza, la barba di tre giorni e una voce che gridava a tutto il mondo una sola cosa: Noi siamo ancora qua. Eh già…
Ma non c’è nulla da festeggiare.
Personalmente, dopo una minaccia di licenziamento, settanta giorni di lotte, tradimenti, scioperi, paure, un trasferimento ed un trasloco, non ho più la forza di arrabbiarmi con chi esulta stappando spumanti di bassa qualità.
Non ho più la forza: è come se 3000 persone fossero state infilate dentro quelle palle di vetro con la neve e agitate ripetutamente solo per vedere l’effetto che fa. Speravo in una rivoluzione, in una soluzione immediata e invece, dopo averci dato l’illusione di una lotta che preservasse i nostri diritti, dopo settanta giorni d’inferno, la cura per un settore drogato come quello dei call center è ancora una volta fatta di ammortizzatori sociali e promesse di tavoli mensili, per un totale di diciotto mesi di “tranquillità”.
Mi aggiro tra le scatole della mia nuova casa e, tra un sorriso e l’altro, di colpo mi sento un estraneo. Vado a lavoro nella nuova sede; spiazzato guardo gli occhi dei miei colleghi divisi dal monitor (e dai pannelli) e per un po’ ritrovo quel senso di “abitudine”, di conforto, che in qualche modo ti fa sentire al tuo posto: postazioni simil-pollaio che coprono il viso lasciando scoperti bellissimi occhi. Occhi che bastano ad immaginare una vita, una storia, una persona, un collega ancora al suo posto. Occhi verdi, azzurri, marroni, neri. Occhi negli occhi di chi ha solo occhi per piccoli, piccolissimi occhi. Occhiali. Occhi arrossati. Occhi che non saranno mai più gli stessi. Occhi che agli occhi di chi apprezza riflettono qualità, cortesia, empatia, cura del cliente. Occhi che per altri saranno comunque sempre buste paga, risorse, numeri, costi, esuberi, operatori.
Ho visto di tutto in questi mesi e mi accorgo che, nonostante tutto, gli stessi occhi adesso provano a sorridere; si fermano per un caffè riprendendo posto all’interno della stessa palla di vetro con dentro le stesse case da pagare, le solite fatture da ritirare, gli imprevisti e i sogni: una scheggiatura sul vetro, una via di fuga imperfetta con o senza call center, che ami, odi o lasci, tracciata dal sole e dai colori che decidiamo di far passare con le nostre competenze e la consapevolezza che in fondo tutto cambia affinché tutto rimanga com’è, immutato, congelato, come la neve che, silenziosa, riprende il suo posto all’interno della palla di vetro. Prima di trovare il coraggio di andare via e fare altro, o continuare a rispondere per i nostri occhi e per quelli incollati alla tv, ai tablet, persi tra i terminal degli aeroporti, o i contatori della luce: Noi siamo ancora qua… eh già.
Gli occhi… specchio dell’anima: di questo nuovo assetto, ciò che mi colpisce è proprio il ritrovarmi a lavorare davanti all’anima di colleghi di cui spesso non conosco neanche il nome, perdendomi a volte così tanto nell’immaginare le loro vite che pure mi scordo di avere in linea il cliente…un’altra vita ancora! Forse anch’io ero caduta nell’inganno di concepirci solo come numeri… non mi ero più accorta dei loro capelli bianchi, delle loro rughe, del trucco che nasconde nottate, della barba incolta che racconta nell’esima corsa di quella giornata. Ero rimasta ferma a quando non eravamo genitori, a quando eravamo giovani, a quando siamo stati spensierati. Occhi verdi, azzurri, marroni, neri… gli occhi di Marco che invece non è mai caduto nel mio stesso inganno e si è accorto delle nostre anime ancor prima delle postazioni simil-pollaio! E non sono io a dirlo… lo dicono le sue parole. Francesca Faletra
Bellissimo commento francesca. Un abbraccio.
Grazie :*
non mi lascio ingannare dal ” Non ho più la forza”… tu di forza ne hai ancora tanta… la forza di non arrenderti… la forza per sorridere ancora… la forza per la cura del cliente…la forza per raccontare le emozioni… la forza che la tua famiglia ti dà e che tu restituisci loro… la forza di Marco Giglio… complimenti!
Un professore che stimo mi disse, a contatto con le mie idee illuse, che oggi non è più tempo di rivoluzioni in piazza, ma di cambiamenti culturali. Che sono lenti… purtroppo. Ma forti e duraturi. E che dipendono da noi.
La tua neve di maggio è questo: cambiaMento, faticoso, duro, sanguinoLento.
E, se non nevica, pare che alcuni fiori pare non spuntino.
Questa oggi è “la fatica di essere se stessi”.
condivido!