Caro Andrea,
ti scrivo questa lettera sulla carta, poiché rimane l’unica forma non controllata di comunicazione. Sono di nuovo a secco. Anche i lavori in nero non si trovano più così facilmente: ogni agenzia assume i dipendenti dai profili dei social, e di sicuro non tornerò a correre tra i magazzini di una multinazionale per 10 ore, recuperando merce in meno di 12 secondi per il phon a €3,90 ordinato da Maurizio Rozzolini di Voghera. Poi c’è la questione delle carte di credito che, come ben sai, dal prossimo aprile dovranno essere associate ad un profilo identificato. Si fottano. Non ho alcuna intenzione di rendere pubblica la mia vita, né di essere seguito con il geolocalizzatore 24 ore su 24 per ragioni di sicurezza nazionale.
Quello che mi rende ancora più triste è la consapevolezza che questo sistema che chiamano vita è praticamente diventato la normalità; da 5 anni ormai la gente lascia che si entri nel suo portafoglio, nella sua intimità, se non addirittura dentro l’anima. Raccolgono milioni di dati, sanno con chi siamo “connessi”, cosa compriamo, cosa mangiamo, chi ci scopiamo, quando e come passiamo la nostra giornata. Molti se ne sono accorti e non aggiornano più il profilo, ma ogni cittadino è obbligato ad aggiornare almeno tre volte al giorno e fornire solo informazioni reali sulla propria identità, pena l’esclusione da qualsiasi utilizzo del suo profilo con la pubblica amministrazione, le banche, i centri commerciali. Senza il profilo non lavori, non compri, non vivi. Senza il profilo non fai amicizie, senza il profilo non puoi essere inserito negli elenchi delle offerte dei centri commerciali. Senza il profilo non sei felice, senza il profilo rischi di essere considerato asociale e quindi potenzialmente pericoloso. Senza profilo non puoi lavorare, varcare la porta in molte attività, banche, negozi. Senza il profilo, semplicemente, non esisti.
Restarne fuori, come abbiamo fatto noi due, significa tornare alle origini, rompere le catene e diventare padroni della propria vita. Non voglio fare parte di questo sistema, non voglio che i miei figli siano soltanto dei numeri per i miliardi delle multinazionali. Non voglio che mi si dica cosa mangiare, quando e perché. Voglio viaggiare liberamente, coltivare l’orto, perdermi, non essere rintracciato; voglio che i miei amici si chiedano dove sono finito, perché non mi sono fatto sentire, voglio guidare senza navigatore e perdermi nelle campagne prima di arrivare a destinazione. Voglio essere libero di leggere ciò che voglio e non ciò che piace alla massa. Voglio scrivere sul mio blog senza la pubblicità mirata, voglio usare la mia bici senza ricevere messaggi di offerte sul nuovo modello di mountain bike. Voglio viaggiare in treno senza il GPS. Voglio essere consapevole di ciò che mangio. Voglio scattare una foto con una polaroid e conservarla nel portafoglio, voglio guardare il mare e tenere quei momenti solo per me.
È la mia vita, non il loro business.
Fai il gioco che sai e raggiungimi.
Un abbraccio.
Marco
Bellissimo Marco! Complimenti. Fa riflettere.
Voglio uno smartwatch che mi tracci il numero di passi e i battiti cardiaci e le ore di sonno senza che quei cazzo di dati finiscano nel cloud, sono miei e non devono uscire dal mio pc!
( tralaltro, si può inferire veramente se stai trombando )
Voglio app per lo smartphone che non vadano a ravanare fra i miei dati sensibili per rivenderli ai profiler di pubblicità.
Voglio il tentativo di coniugare tecnologia e privacy che abbiamo perso da anni ormai.
A voler essere realisti, siamo già andati oltre. :O
Bella marco: mal di pancia. La Dóxa ci sommerge e scafazza il pensiero. Mi hanno detto che non vendono più la carta da lettere.
Vero. Anche i francobolli sono ormai rari. Eppure una volta vendevano le cartoline bianche, totalmente bianche, da 5 lire, che si riempivano fino all’ultimo spazio disponibile pur di comunicare quante più emozioni possibili. Oggi scriviamo “xkè” e perdiamo tempo guardando le spunte blu: qualcosa è andato storto.